L’eterna lotta degli inglesi con la segnaletica stradale

Terminal Communication

Tutti posseggono l’intelligenza e l’attenzione, la cautela, la capacità di concentrazione, lo spirito d’osservazione, il senso e la presenza di spirito necessari per mettersi al volante responsabilmente, e raggiungere la propria meta senza il sopraggiungere di eventi catastrofici o incidenti. O almeno, questo è ciò che deve ottimisticamente pensare l’ingegnere urbanistico, colui che sopra il tavolo progettuale, sia vero che virtuale, traccia la ragnatela di sottili linee e punti d’interesse, che nel tempo si trasformeranno in vie d’asfalto per i pendolari. Con la penna in una mano, il globo della scienza infusa dentro all’altra, che sfavilla d’incomparabile e profondo desiderio. Ciò perché, affinché si realizzi tale condizione di massima, occorre un equilibrio tra i due princìpi, della funzionalità e semplicità d’impiego. Che talvolta può essere difficile da mantenere. Che in altri momenti, particolarmente fortunati, si configurerà spontaneamente del profondo mare dell’occulto desiderio. E che in determinati casi, invece ahimé, lì resterà sommerso, fino al verificarsi delle condizioni più…Abissali.
Sulla carta, non sembrava tanto male, come idea: siamo presso il molo portuale del traghetto di Rosslare, che dalla sua sede presso la punta sud-est dell’isola d’Irlanda, si occupa dal 1906 di trasportare gli automobilisti fino all’antistante Inghilterra. Dove, a giudicare dalla soluzione adottata, c’era un piccolo problema di traffico all’imbarco. Perché naturalmente, nessuno sceglie d’implementare una cosa simile senza il più gravoso dei pretesti, che tante strade per l’Inferno lastricò, una buona, orribile intenzione. Sostanzialmente, una barriera. Incolpiamo, se davvero è il caso, la presente telecamera stradale, che come da sua prerogativa era stata utilizzata per creare un valido compendio degli altrui comportamenti in questa sede. Dunque sembra quasi di vederla, la figura professionale dell’addetto alla questione, uno studio effettuato sopra i nastri analizzati di parecchi mesi o settimane, che fiduciosamente postula: “Se la fila per il TERMINAL si forma sempre su due corsie, mentre le automobili che vanno sulle NAVI sono relativamente poche, allora di sicuro c’è un errore. Poco male. Tutto quello che devo fare, è…” Una follia? Un colpo di genio? Sarebbe troppo facile parlare, senza prendere atto dell’intera situazione. Il fatto è che al momento della pubblicazione del presente bizzarro video-documento (eravamo addirittura nel 2010) lo svincolo multi-corsia di Rosslare si era arricchito di uno spartitraffico divisorio, mirato a trasformare l’ultima delle corsie SHIP nella seconda per il TERMINAL, raddoppiando quindi lo spazio a disposizione per tale agognata meta. Il risultato…Beh, giudicatelo voi. Il fatto è che l’automobilista medio, quando si mette al volante, non è davvero cosciente di quanti dei suoi gesti siano frutto di un velocissimo processo di ragionamento, e quanti invece derivino dai meccanismi semi-automatici, frutto dei suoi (potenzialmente) molti anni d’esperienza. Portando a reazioni che, come avviene per l’istinto animalesco, non possono che basarsi su un catalogo di esperienze pregresse. Riassumibili nella presunzione secondo cui, se in terra c’è una freccia, quella è chiaramente latrice di un messaggio, che potrebbe riassumersi in: “Mio caro amico, passa di qui.” E non certo, “No! Stai attento alla barriera!” Ogni deviazione dalla norma è un potenziale pericolo, dunque? Possibile. Persino, probabile. Il fatto poi che le scritte siano tutt’altro che chiare, unito a un improvviso, apparente bisogno collettivo di accostarsi ed urinare, di certo non aiuta.
Ma è del resto proprio lì nelle isole di Gran Bretagna, che ormai da più di mezzo secolo si perpetra il mantenimento del problema collaterale, una soluzione tanto complessa e bizantina al problema del traffico che soltanto un amore sconfinato per la tradizione, unito ai lunghi anni di onorato servizio, potrebbero giustificarne l’esistenza continuata. Il suo nome è Rotatoria Magica, e come per ogni altra esistenza dotata di una tale apposizione fiabesca, la sua storia nasce da un’incomparabile leggenda.

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I magnifici misteri della trascrizione giudiziaria

How to Steno 101

Ventisei studenti silenziosamente riuniti dentro a un’aula, mentre l’insegnante legge un brano dei Promessi Sposi, poi commenta. Sarebbe assai opportuno, no, persino necessario, annotare sul quaderno il nesso e il succo del discorso, che sicuramente si presenterà di nuovo, in forma di domanda, all’ora di verifica verso la fine del semestre. Ed è quindi certamente vero, che scrivendo e riassumendo il vasto eloquio, trasformandolo in un minerale nato dall’inchiostro e dalla cellulosa, costoro stiano facendo soprattutto un gran favore a loro stessi. Ma è altrettanto giusto, se vogliamo, ribaltare la questione in senso longitudinale. Per vederla soprattutto in questo modo: c’è qui un colui/colei che dall’intero scambio partecipativo, riesce a trarre un ben più significativo beneficio. Eccolo lì, che parla dalla cattedra, compunto. Perché parole pronunciate per premura, per preambolo o primaria premeditazione, è loro massima prerogativa, spariscono immediatamente come il fumo. Mentre scriverle, vuol dire conservarle. Quale onore, vostro… E non si tratta di una cosa cui si possa rinunciare, in determinati tipi di contesti ancor più delicati. Tra cui quello, antico e imprescindibile, in cui l’aula deputata è di un tutt’altro tipo. Dove c’è un giudice, chiamato per decidere del fato della gente. Dando un peso a ciò che viene detto, veramente, estremamente significativo.
È un meccanismo complesso che ormai conosciamo molto bene, soprattutto ad una ricca selezione di opere d’ingegno, quali film, romanzi, serie a medio budget per la Tv. La cui provenienza prevalentemente americana, persino qui da noi nella penisola distante, appare estremamente chiara dalla tipica struttura: l’uomo sull’alto scranno con il martelletto, posto innanzi a una giuria, rigorosamente scelta tra il popolo in maniera casuale. Due avvocati, l’accusa e la difesa, dall’eloquio particolarmente spigliato e accattivante. E mentre gli occhi vagano, irrimediabilmente attratti da quella figura in prima fila, l’imputato del processo, diviene facile da trascurare la figura dell’agente di trascrizione, un uomo o una donna (tradizionalmente, la seconda) che appare impegnata nel suonare una bizzarra quanto inaudibile sinfonia. Su uno scomodo sgabello o una seggiolina, rigorosamente priva di braccioli, mentre dinnanzi a lei, su di un rigido treppiede, si erge quella che potrebbe anche sembrare una piccola macchina da scrivere, se non fosse che vi sono troppi pochi tasti, nonché di natura estremamente poco chiara. Come nel Gibsoniano “deck da cavaliere del cyberspazio” (Neuromante – 1984) qui non servono caratteri numerici o figure delle lettere da premere con alcun fine. Ma soltanto quadratini plastici, ciascuno con la sua funzione bene impressa nella mente e nelle mani di chi dovrà premerli in sequenza, per…Scrivere, ovviamente. Che altro? Ma non un semplice discorso. Bensì molti, spesso in parallelo tra di loro, pronunciati a ritmi svelti o pacati, con inflessioni dialettali o specifici slang di quartiere. E a ragione per cui è possibile riuscire in una tale ardua missione, nonostante i duri presupposti, sono in egual misura merito della persona e della macchina, ovvero sarebbe a dire, di colui che quella cosa ebbe modo di progettarla tanto tempo fa, come espressione ingegneristica del suo particolare campo d’interessi. Ed è significativo notare come anche nella macchinetta da stenotipia del video di apertura, del tutto conforme all’originale progetto americano del Sig. Ward Stone Ireland, risalente al 1906, si riesca ad intravedere lo stesso progetto funzionale dell’italianissima Macchina Michela, costruita nel 1878 dall’insegnante ed inventore Antonio Michela Zucco, con la finalità specifica di essere impiegata per trascrivere le sessioni del Regio Senato Italiano, continuando poi ad essere impiegata con la sua rifondazione come Senato della Repubblica, a seguito del passaggio dell’Eroe dei Due Mondi. Giungendo infine, con poche significative modifiche, virtualmente identica fino ai nostri giorni. La stessa nota relativa a questo meccanismo riportata sul nostro sito istituzionale, si apre orgogliosamente con uno stralcio di missiva di Giuseppe Garibaldi scritta a Caprera il 16 dicembre 1877, contenente il semplice messaggio: “Desidero che l’utilissima scoperta del professor Michela sia messa in opera”. Ma cerchiamo di capire adesso, anche grazie al video esplicativo di apertura, la maniera in cui funzionino questi dispositivi.

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La vita proletaria all’epoca degli hoverboard

Hoverboard Tradie

Fluttuando silenziosamente da una strada all’altra, come un fantasma col gilet stradale, l’eccellente operaio della città di Brisbane svolge le mansioni predeterminate. È al settimo cielo: si sente con le ruote ai piedi. “Lavoro, lavoro!” È la gioia, il sentimento, la cognizione di stare assolvendo ad un bisogno che è anche e soprattutto il proprio, molto prima che del committente/pagatore. “Ah, che meraviglia!” Subissati dalle condizioni dei contratti a termine ed interinali, abbiamo finalmente riscoperto come battere su un chiodo in un cantiere, o usare un cacciavite in fabbrica per assemblar le macchine per il caffé con cialde, non fossero in effetti dei diritti di nessuno. Ma veri premi stipendiati, da porsi al coronamento di promesse fatte dal profondo della stessa essenza personale: io non mi arrenderò. Io ci crederò, fino alla fine. Fin da quando avevo 7 anni, ho sempre sognato di <inserire a seconda dei casi>. Io non sciopererò. Perché sarò dedito all’operazione, cosciente della posizione, perfettamente umano e addirittura più di quello; un ingranaggio del Sistema e del Mercato. O ancora meglio, un tradie, come dicono da quelle parti, giù agli antipodi tra squali e pinne di canguro.
Il manovale che sa svolgere almeno un mestiere immediatamente utile, e in funzione di quella rara cosa, può disporre di una posizione certa nella vita. Indipendentemente dalla firma apposta in fondo alla sudata busta paga. E c’è una sorta di ironia celebrativa, a mio parere, nel video buffo recentemente prodotto dal palestrato Jackson O’Doherty, nient’altro che l’ennesimo aspirante regista (comico) affiorante dalla distesa spesso radioattiva, ma pur sempre feconda per il frutto delle idee, che è il portale googleiano di YouTube. Che si occupa della particolare categoria citata e del suo ruolo nella società australiana, che si determina, ovviamente, in primo luogo dai fattori di contesto. E non è dunque vero, gente, che viviamo in un’epoca fondata sulla base della splendida tecnologia? E non è forse altrettanto reale e tangibile, l’umana esigenza di sfruttare gli strumenti a disposizione per massimizzare la propria fallimentare efficienza innata? Da che hanno inventato le biciclette, nessun bambino consegna più i giornali a piedi. E chi mai si affiderebbe a un fabbro che ad oggi, scegliesse nostalgicamente di battere il suo ferro sull’incudine impiegando dei martelli manuali… Non è poi così difficile da riassumere in una mera singola espressione, purché ci si affidi al darwinismo. Diritti del lavoratore: evolversi. Doveri del lavoratore: [evolversi]. Se Tizio e Coso fanno 9, per un prezzo di 5, mentre Caio ne pretende 6, egli può soltanto perire. A meno che inizi a fare 10 in cambio di 6, oppure 8 ma ne chieda 4. Perché la diversificazione dell’offerta è fondamentalmente, mutazione. In una ricerca continua di nuovi metodi per giungere a destinazione. Ed è il viaggio stesso, a questo punto, che diventa molto più movimentato…
Ora, io non so se sia effettivamente probabile, di qui a poco, il realizzarsi di questo scenario distopico, in cui l’uomo dell’elmetto bianco non è più pagato “per camminare” ma soltanto per spingere innanzi con il proprio baricentro quel curioso oggetto semovente, che potrebbe sostanzialmente descriversi come una versione ridotta ai minimi termini dell’originale monopattino auto-bilanciante, l’ormai leggendario Segway. Che prende il nome, per ragioni largamente ignote, dall’ipotesi cinematografica inserita nel secondo Ritorno al Futuro (1989) di un skate privato delle ruote, in grado di fluttuar liberamente nell’aere grazie a singolari meccanismi preter-gravitazionali. Un sogno fantastico ed irrealizzabile. Mentre quello vero, di hoverboard, le ruote le possiede, eccome. Due grosse ed ingombranti, prone a dare tutta una serie di problemi. Tanto da finire per essere odiato un po’ da tutti, negli ultimi mesi, incluso (strano a dirsi) il suo stesso inventore.

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Il camion-talpa e l’altro metodo per costruire un arco

Archlock Zipper Truck

Un centimetro alla volta, emettendo rombi dal motore, il grosso veicolo procede nel suo tunnel largo esattamente quanto lui. Solo che tale spazio, visibilmente, costituisce una virtuale non-esistenza. Giacché la parte posteriore, in effetti, è già coperta dalla terra attentamente compattata. Quella centrale, risulta occupata interamente dalla massa, assai considerevole, del veicolo in questione. E dinnanzi a lui… Non v’è ancora nulla di edificato, solamente il cielo, il Sole, un poco di vegetazione ormai del tutto sradicata. Uomini e ruspe, nel frattempo, lavorano alacremente, tutto attorno alla sua emblematica presenza. Un grosso mattone alla volta, come stessero manovrando dei Lego ipertrofici, costituiscono la parte superiore di una volta a botte. Che dovrà poggiare con l’intero proprio peso, fino alla deposizione di un certo numero di chiavi di volta in ripida successione, sopra il coraggioso quattro-ruote semi-sotterrato. Da qualche parte, nei pressi, un singolo cartello: Lock Block Ltd, questo cantiere è gestito da […] Finché alla fine, chiaramente, l’opera non sia compiuta. E come farà, a quel punto, tale sostegno veicolare ad emergere e scappare via? Ma è semplicissimo! Sgusciando come una mera tartaruga serpentina, grazie all’uso delle innumerevoli, piccole rotelle sul suo dorso. Siamo nell’area di Cascadia, presso la città canadese di Vancover. Dove, in un giorno all’apparenza come gli altri, si rimescolano i rapporti tra le connessioni di una delle strutture più importanti della storia umana…
Facevano bene i Greci, che una volta costruite due colonne, vi sovrapponevano l’elemento classico dell’architrave, il componente singolo a sviluppo orizzontale e largo esattamente o almeno quanto la distanza tra le stesse. Perché era un sistema semplice, che non permetteva di commettere un errore di progettazione. Nonché, concettualmente intuitivo: mi pare ovvio che se posizioni un qualcosa di largo e rigido, sopra lo spazio di una luce chiaramente definita, la struttura complessiva giunga ad acquisire un certo grado di stabilità. Tra l’altro gli antichi ben sapevano, per lo meno da un punto di vista puramente intuitivo, che una forza direzionata verso il basso, come per l’appunto è il peso, tenda naturalmente a propagarsi in parte ai lati. Oggi chiamiamo tale tendenza, il momento meccanico. E cosa c’è di meglio, per agevolare un simile processo, che la forma di una superficie ad U invertita, con due angoli retti nei punti in cui s’incontrano le superfici… Beh, mi pare ovvio che C’È di meglio. E ciò perché la pietra, intesa come materiale di costruzione, ha una notevole resistenza alla pressione verso il suo interno, ma ne vanta una comparabilmente assai inferiore all’incremento delle forze che tendono a modificare la sua forma. Piuttosto che piegarsi, si spezza. E questo non è mai auspicabile, in ingegneria.  L’aspetto spesso trascurato per quanto concerne gli archi, una struttura comunemente viene associata all’urbanistica dei Romani, che ne fecero un uso frequente per i loro grandi anfiteatri ed acquedotti, è che tali elementi decisamente efficienti ma poco utilizzati dai predecessori dell’Egeo non costituivano affatto un’evoluzione successiva del loro concetto dell’architrave, ma piuttosto coesistevano con esso, e in determinate particolari espressioni edilizie, lo precorrevano, persino. Non era affatto infrequente dopo tutto, tra le antiche civiltà della Mesopotamia e dell’Egitto, ritrovare un qualcosa di molto simile a quanto dimostrato dalle ruspe e dal camion della moderna Lock Block Ltd. Benché naturalmente, i mezzi a disposizione avessero un ordine di grandezza decisamente diverso.

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