L’invenzione del garage grande come un armadio

Vinod Kumar Garage

“No, no. Non può riuscirci. Cara, prendi la telecamera! C’è un uomo che sta per impegnarsi nel più arduo ed improbabile dei parcheggi. La vedi la Suzuki Maruti Zen rossa? Vuole metterla là dentro. LÀ DENTRO, ahah, ci crederesti?” Aspetta, ed ora cosa sta facendo? Tira fuori…Una specie di carrello su rotaie. Hmmm, la fa salire sopra. Ridicolo, cosa vuole…E adesso, non vedo bene ma…La sta SPINGENDO dentro? A mano?! E come, come se…Ooooh, grandioso. “Moglie mia, il nostro vicino è un genio. Lascia perdere l’attrezzatura di registrazione. Portami un quintale di profilati metallici, il frullino e il saldatore!
Perché a quanto pare in India, soprattutto laggiù presso lo stato meridionale del Karnataka e non troppo distante dalla metropoli di Bangalore, occorre farsi scaltri e concepire soluzioni utili ai problemi quotidiani. O per meglio dire, percepirli nell’aria tersa di un mattino di meditazione. Con gli occhi rivolti avanti ma i neuroni, tutti ordinatamente in fila, che formano un ponte con l’accumulo della sapienza collettiva. Europa, Asia, quale vuoi che sia la differenza? Nell’antichità, la figura dello stalliere era pressoché onnipresente e tutti, in determinate circostanze, venivano a contatto prima o poi con lui. I viaggiatori presso le locande, gli artigiani quando effettuavano consegne ed ovviamente i gran signori, ogni qual volta tornavano nelle magioni a seguito di grandi cacce o di escursioni. Ed erano poi costoro, gli uomini-cavallo per definizione, che sapevano ogni cosa di quell’animale, la maniera più adeguata per nutrirlo, accudirlo e quando necessario addirrittura prestargli cure elementari. Si tratta, sostanzialmente, di specialisti del non utilizzo, in grado di mantenere il più prezioso mezzo di trasporto, nonché amico ed animale, in condizioni di alta freschezza e subitaneità. Poi venne l’automobile e un diverso modo di veder gli spostamenti. Con un veicolo d’acciaio, gomma e vetro, al cui interno batte non più il cuore, ma un’incrocio di sistemi ed ingranaggi, fluidi artificiali e meccanismi. Senza sentimenti, senza testa, senza denti. Nessuno deve dare da mangiare ad una cosa con le ruote: è un semplice assioma di questo universo. Ne del resto, curarsi troppo delle sue necessità? E chi l’ha detto? Certo, un simile mezzo di trasporto può restare facilmente “fuori” tra la pioggia e sotto il vento, senza che la sua salute ne risenta in alcun modo. Per lo meno, entro i limiti di ragionevolezza. Ma resta il problema che il Male è in agguato ad ogni refolo e recesso delle semplici nottate. Si presenta sotto molte forme: furto d’autoradio, vandalismo, ubriaco che transita al volante ed urta le auto parcheggiate… Non c’è ragione, dopo tutto, di dormir sogni tranquilli.
Il che ci porta a un altro tipo di problema: che dire se hai la voglia e l’intenzione, ma ti manca la risorsa dello spazio? Per poter riuscire, intendo, nella fondamentale impresa di rimuovere il destriero dalla strada. Se l’unico modo di trovargli posto comporterebbe, essenzialmente, rimuovere un’intera stanza della casa, ed installarvi una serranda al posto di parete e fulgida porta-finestra a vetri… Nell’evidente opinione di Vinod Kumar, protagonista del video soprastante, c’è una semplice risposta a quel quesito: usa invece, ci puoi credere? Il tuo angusto ripostiglio. Naturalmente, non che sia FACILE. Qui siamo di fronte al sentire di un uomo che ha fatto dell’ingegno la sua massima bandiera. Costruendo, in ultima analisi, quel tipo di risolutivo marchingegno che la società moderna ci ha insegnato a definire gadget, con slittamento di significato di quella parola da “cosa inutile ma bella” a “strumento tecnologico che cambia la tua vita.” Accendiamo dunque anche il nostro motore, ed assistiamo ad una tale subitanea meraviglia…

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Gli uccelli che sconfissero l’esercito australiano

Great Emu War

“Maggiore, credo che dovremmo appostarci qui. La strada è stretta e d’importanza strategica. Il nemico dovrà farsi avanti, prima o poi!” Appesantito dai 12,7 Kg della sua Lewis Automatic Machine Gun e circa un terzo delle munizioni, in aggiunta al resto dell’equipaggiamento da escursione, O’Halloran sudava copiosamente nell’estate australiana. 2 Novembre 1932: appena iniziata, questa guerra già sembrava futile ed eccessivamente onerosa. Per lo meno dal punto di vista del distaccamento di tre uomini sotto il comando di G.P.W. Meredith dell’Artiglieria Reale Australiana, eroe di guerra decorato, sagace stratega ed ora flagello dei volatili in terra selvaggia, secondo il mandato ricevuto direttamente dal Ministro della Difesa, Sir George Foster Pearce. “Aiden, ti ho già detto che il tuo modo di pensare mi piace?” L’ufficiale si fermo di scatto, piantò le mani sui fianchi ed indicò la direzione con un cenno della testa. Dì a Stephenson che ci fermiamo qui. Fagli piazzare il tripode a ridosso di quell’albero di eucalipto. Questa sarà la prima, ed ultima battaglia della nostra spedizione. Grossi polli senza ali..Puah! Non sanno cosa li attende…” E nemmeno tu, pensò O’Halloran. Chi mai, nella storia dell’umanità, avrebbe pensato di sfidare il secondo uccello più grande del mondo, impiegando l’attrezzo che più di ogni altro aveva modificato questi ultimi anni della storia umana: la mitragliatrice. Ma a mali estremi, come si dice… “Steph ci sei?” Il commilitone, con l’uniforme zuppa e l’espressione contorta dallo sforzo, si era già liberato dello zaino in mezzo alle radici dell’arbusto, e stava al momento armeggiando rumorosamente con l’attrezzatura di sostegno per tendere l’imminente imboscata al nemico pubblico numero 1-20.000.  “Dannazione!” Esclamo sottovoce il mitragliere: questa è la cifra di cui stiamo parlando. Di devastatori piumati dagli occhi iniettati di sangue, alti fino a 2 metri, calati sulla regione di Campion, nell’Australia Occidentale, con tutta la furia di un’orda di barbari o di cavallette. Una tale situazione non poteva in alcun modo continuare; non l’avrebbero accettata i veterani del primo conflitto mondiale, che recentemente avevano iniziato a rifarsi una vita, ricevendo concessioni e sussidi (a dire la verità, inferiori a quanto gli era stato promesso) per stabilirsi tra alcune delle terre più selvagge ma estremamente fertili del Quinto Continente; non sarebbe andata bene alla popolazione, che pretendeva di poter acquistare a buon mercato frutta, verdura, grano e derivati; e soprattutto non poteva essere neppure concepita dal governo, che proprio in quegli anni stava iniziando a comprendere le deleterie conseguenze della grande depressione americana, sopraggiunta pochi anni prima per scuotere le fondamenta stesse del mercato. Come si sarebbe mai potuto, in un tale momento delicato, regalare i propri spazi più preziosi a questi giganteschi gallinacci provenienti dall’entroterra desolato? E come gli spartani alle Termopili, i soldati non erano del tutto soli. Un gruppo di agricoltori locali, tutti volontari, si stavano industriando per spingere gli uccelli verso il punto designato per l’imboscata. Mancava sempre meno…
Completata l’opera di allestimento, O’Halloran guardò Stephenson, che a sua volta guardò verso la remota collinetta, dove il maggiore Meredith si trovava a gambe larghe, il binocolo ben stretto tra entrambe le mani e ritmicamente sollevato, su, giù, su, giù, in una sorta di ginnastica dettata dalle circostanze. Finché ad un tratto, il movimento ritmico non cessò di compiersi, e la mano destra dell’uomo non fu sollevata in una sorta di gesto teatrale, le cui implicazioni apparivano sin troppo chiare ai sottoposti. Eccoli, ci siamo, è giunta l’ora della verità. “Maggiore, non stia lì! Venga a mettersi qui dietro.” Non appena il comandante senza paura ebbe terminato di voltarsi, nei suoi occhi c’era il fuoco vivo. Sembrò stare per aprire la bocca, poi tacque e silenziosamente ubbidì. Ora veniva la parte interessante. La mitragliatrice in dotazione all’esercito australiano, notevole innovazione tecnica del colonnello statunitense Isaac Newton Lewis, aveva una cadenza di 550 colpi al minuto, 50 più della seconda miglior arma del suo periodo. Poteva montare caricatori a tamburo (le cosiddette “padelle”) con fino a 97 proiettili, che un soldato addestrato era in grado di sostituire in appena 5 o 6 secondi. La metà, con l’aiuto di un assistente. E i due addetti all’opera di necessario sterminio, qui presenti perché scelti personalmente dal loro stesso fiero comandante, erano i migliori dell’intero corpo d’artiglieria. Controllata la regolazione del mirino, scambiato uno sguardo d’intesa coi due compagni di avventura, O’Hallora socchiuse gli occhi e guardò verso l’orizzonte. Da qualche parte, nel mondo, era sicuramente mezzogiorno.

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Il simbionte Pokèmon si clona per tre volte su YouTube

Pokemon Casey Neistat

È il più grande male di questo secolo, creato per fare profitti sull’inedia delle ultime generazioni. È un’influenza straordinariamente positiva, che insegna l’importanza dell’iniziativa e di trascorrere del tempo assieme agli altri! È una moda del momento, destinata a scomparire come i raggi B vicino alle porte di Tannhäuser. È una tradizione decennale, da sempre ben concepita, che ha trovato un nuovo metodo d’esprimersi grazie al linguaggio nuovo dei computer-telefonici da taschino. È bello, è brutto, è fecondo e creativo, è biecamente commerciale. È la cosa in merito alla quale tutti, proprio tutti politici e calciatori inclusi, debbono avere un’opinione in questo luglio del 2016, alla stregua di ogni evento su scala globale che si rispetti, ed in determinati circoli ancor più delle disgrazie e duri fatti storici di questi ultimi tempi. Ciò soprattutto perché, esattamente come il topo giallo Pikachu, esso genera una sorta di energia potenziale, che attrae l’attenzione della gente generando interazioni, fiumi di commenti, click a profusione. Sembra in effetti che tutti amano detestarlo, e al tempo stesso, amino detestare amarlo. È l’argomento che si perpetua sulla bocca di tutti, perché costituisce nei fatti l’unico, di questa intera estate, che non offende nessuno, è leggero, non ha la colpa diretta di alcun perdita di vite umane (benché alcuni argomentino che almeno una persona sia stata uccisa in Guatemala, proprio MENTRE giocava a Pokèmon GO) e soprattutto, può servire ad occupare alcune ore con piacevolezza, tra un terribile telegiornale e l’ansia di dover presto iniziare la scalata del muro dei compiti delle vacanze. Così esso si propaga. Come una forza inarrestabile, costituita dalla pluralità di creature originariamente concepite da Satoshi Tajiri, il progettista di videogiochi fondatore della Game Freak, e disegnate dall’illustratore Ken Sugimori nel 1996. Esattamente le stesse 151 che oggi costituiscono l’intero roster della fenomenale App per cellulari Apple & Android, ricreate e connotate, attraverso gli anni, come del resto ogni altra produzione che sia stata in qualche modo associata al grande nome di Nintendo, da un’infinità di opere creative dei fan, tra fumetti auto pubblicati (dōjinshi) opere narrative derivate (fan-fiction) mini-esperienze interattive in Flash e poi questa sempre più diffusa modalità espressiva dei nostri tempi, il video d’azione su YouTube. Un qualcosa che generalmente ottiene un buon successo di pubblico, almeno a patto che: 1 – l’autore abbia un nome ed un volto noto; 2 – Il tema affrontato si allinei ad una fad primaria del momento e/oppure 3 – l’opera possa beneficiare di un ottimo comparto esteriore, ivi comprese acrobazie di stuntmen, location appassionanti, validi effetti speciali.
Sarebbe dunque semplicemente assurdo, con quest’aria dalla palpabile impedenza che tira, non attaccare un generatore di popolarità ai propri eventuali punti 1, 2 e 3, per lasciare che le proprie sponsorizzazioni affiliate pay per view facciano piovere milioni di prese di coscienza popolari sulla propria opera d’ingegno, generando quel punteggio che la vera misura del proprio successo internettiano: profitti, profitti, profitti! Volete un esempio? L’avrete forse già cliccato, in apertura del presente articolo: il buffo inseguimento intitolato “Pokémon Go IN REAL LIFE” dell’autore di video virali e film-maker Casey Neistat, uno dei pochi del ramo ad essersi espansi a pieno titolo nel regno dell’entertainment tradizionale, grazie alla sua trascorsa collaborazione con la HBO per la serie autobiografica The Neistat Brothers (a dire il vero, non esattamente un successo di pubblico e di critica ad alcun livello). Nel quale il creativo-regista-attore, diventato famoso in origine nel 2003 per la giustificata filippica che presentò pubblicamente alla Apple, in merito alle batterie non (ancora) sostituibili degli iPod, sale sul fido skateboard, indossa l’iconico cappellino di Ash Ketchum e si lancia all’inseguimento folle di un suo amico yuru-chara per le strade della sua beneamata New York. Ovvero, il Pikachu gigante, una creatura che ben conosciamo, sopratutto in forza delle marce periodicamente organizzate in Giappone dalla Nintendo stessa, con letterali centinaia di figuranti abbigliati con lo stesso ingombrante costume, un’espressione direttamente indossabile della cultura, tipicamente nipponica, relativa a personaggi in qualche maniera graziosi impiegati per rappresentare particolari situazioni, luoghi ed eventi. Ma che in un contesto così chiaramente occidentale, finisce piuttosto per assomigliare ad una sorta di candid camera, realizzata sul modello di quelle del famoso autore francese Rémi Gaillard, che è solito vestirsi da animale per andare a provacare i passanti e la polizia. Intendiamoci: l’intenzione in questo caso non è direttamente quella di creare disturbo, eppure il caos che il protagonista con il suo amico riescono a causare sembra tutt’altro che trascurabile, forse anche grazie alla suggestiva e bizzarra colonna sonora della canzone “Pokèmon ierukana?” (Possibile che si tratti di Pokèmon?) opera dell’eclettico musicista Imakuni? (il punto interrogativo fa parte del suo nome d’arte) che è solito comparire con la sua tuta aderente nera e le orecchie di Topolino in occasione delle più importanti convention sui mostri virtuali tascabili del suo paese. Così è soltanto con l’agognata cattura finale che, finalmente, la città potrà tornare in pace. Ma tale condizione altamente agognata non costituisce, in effetti, altro che una fuggevole illusione…

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Le illusioni ottiche perdute del creatore dei cilindri ambigui

Ambiguous Garage etc

Un’automobilina gialla è parcheggiata al sicuro sotto la sua piccola tettoia, dall’apparente forma di un rettangolo convesso o sezione di un cilindro che dir si voglia. Ma basta osservare la scena allo specchio, per scoprire una visione alternativa della realtà: la struttura assume la forma, a quanto pare, di un paravento disposto a zig-zag, decisamente meno utile a far scivolare via la pioggia… Qual’è dunque la realtà, l’una oppure l’altra delle due visioni? O magari la più improbabile via di mezzo tra le due? Nel proseguire della carrellata, un cerchio che rappresenta la luna viene fatto ruotare su se stesso. Raggiunta la posizione dei 180°, esso diventa all’improvviso…Una stella! Un fiore si trasforma in farfalla. Una bottiglia di vino, in bicchiere. È difficile, raggiunto un tale punto, immaginare quale sia il segreto di quest’uomo…
Si, potremmo chiederlo alla Francia, in forza della conclusione dei recenti Europei di calcio: vincere non è facile, ma ciò che costa veramente fatica, alla fin fine della fiera, è giungere secondi nell’assegnazione degli onori del torneo. Perché se è vero che hanno inventato quella cosa, il podio che è struttura metaforica e/o effettivamente calpestabile (ne vedremo molti laggiù a Rio) va anche detto che posizionarsi sui due cubi laterali comporta quasi sempre un senso di rimpianto inalienabile, ricolmo del “forse avrei dovuto fare la tale cosa” oppure “perché mai ho scelto di rispondere a quel modo!” La strategia: un punto fondamentale degli sport, siano questi di squadra oppure individuali, il valore oggettivo che condiziona l’esito della disfida. Mentre diverso è il caso di una gara che, per quanto prestigiosa, comporta la selezione di un qualcosa di creativo. L’àmbito contestuale, da che il mondo è tondo, dell’assoluta soggettività dell’individuo, che seleziona sempre ciò che maggiormente colpisce il SUO modo di vedere le cose e l’Universo, la SUA inclinazione perfettamente personale. Il che ci porterebbe a chiederci, in ultima analisi, a cosa serva l’annuale competizione “Illusione dell’Anno” che si tiene presso il Centro Filarmonico delle Arti di Naples, in Florida, con lo scopo di premiare colui o colei che ha saputo dimostrare la migliore capacità di trarre in inganno le pupille ed i neuroni degli umani. Quando è chiaro che persino la giuria più esperta, in ultima analisi, non potrà che far classifica di ciò che in quel particolare momento, tutto considerato, gli è sembrato maggiormente fantasioso, creativo, originale. Se poi si dovesse addirittura decidere di far votare i migliori tra i finalisti al “grande pubblico” attraverso un semplice sondaggio online, come orgogliosamente dichiarato dall’organizzatrice dell’evento, la Neural Correlate Society, allora apriti cielo!
Disinteressato, spontaneo, sincero: tre meriti che l’utente medio di Internet, pur possedendoli nella sua vita reale, tende a non mostrare in ciò che clicca e tenta di portare alle più estreme conseguenze. Così è capitato che quest’anno, al termine della prestigiosa kernesse, una proposta visivamente sorprendente come quella dei “cilindri ambigui” di Kokichi Sugihara, professore di matematica all’Università Meiji di Tokyo, siano giunti dietro a una realizzazione che si è rivelata secondo l’evidente opinione dell’ancor più grande prova popolare, a conti fatti, molto meno significativa. Intendiamoci, non si può certo dire che la breve sequenza di Mathew T. Harrison e Gideon P. Caplovitz dell’Università del Nevada, intitolata “Motion Integration Unleashed: New Tricks for an Old Dog” sia stata priva d’interesse o meriti di sorta. E i loro gabors in traslazione, pallini astratti in grado d’ingannare l’occhio con il movimento interno di un pattern, certamente avranno stupito più di un occhio ed un cervello privi di alcun preconcetto pre-esistente. Ma quando la maggior parte dei blog mondiali, Reddit e persino alcuni quotidiani online di fama, pubblicano un raro articolo sulla gara (più che altro per mostrarne i video) ponendo nel titolo non il primo, ma il secondo classificato…È chiaro che qualcosa non è andato per il verso giusto.

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