Se esistesse una borsa con le quotazioni pubbliche degli animali, la famiglia delle Vespidae si troverebbe regolarmente nella più profonda valle del grafico sugli andamenti finanziari. Quale altra creatura può vantare, in effetti, la stessa indole aggressiva senza un’evidente ragione, insieme a quella capacità di nuocere a chiunque, semplicemente ogni qualvolta si presenta l’occasione d’intingere nel sangue il suo crudele pungiglione! Unica consolazione, in tutto questo, può essere la consapevolezza che trattandosi di una creatura dalle dimensioni contenute, l’imenottero dalla colorazione aposematica per eccellenza, il suo presunto piano di annientamento collettivo non potrà riuscire a realizzarsi in modo repentino e irrimediabile, bensì tramite una serie di malcapitati eventi, persone allergiche, dolore improvviso a guidatori di macchinari pesanti… E così via. Vi fu tuttavia un singolo caso, nel remoto 1996 presso la Repubblica Dominicana, ad est dell’isola di Haiti, in cui l’aggressiva parente della formica finì per ritrovarsi in una contingenza idonea e per il tempo totalmente imprevedibile, tale da permettergli di porre istantaneamente fine a una quantità terribilmente alta di vite umane. In maniera forse evitabile, magari condizionata da fattori collaterali, eppure nondimeno derivante in modo logico da una catena di causa ed effetto, riconducibile direttamente a quel comportamento che è il prodotto di letterali milioni di generazioni.
Perché le leonesse cacciano in branco. Le tigri tendono gli agguati. Ed un certo tipo d’insetto, mischiando il fango alla saliva, costruisce un nido piccolo e compatto, tale da ostruire in modo accidentale spazi precedentemente definiti. Anche quando farlo, da un punto di vista cosmico, costituisce un’imprudenza di portata orribilmente significativa. Sto parlando, per intenderci, del tipo di vespa che in Italia definiamo “muratrice” o “vasaio” per la sua capacità di trasformare il fango in solide pareti, usate normalmente al fine di proteggere lo sviluppo della sua prole. Mentre in America e Sud America in particolare, data la notevole diffusione delle loro cugine e nemiche della famiglia Chrysididae, anche chiamate “vespe cuculo” per l’abitudine di sostituire le altrui larve nella culla con le proprie, persino tale misura architettonica viene giudicata insufficiente, portando le ronzanti madri alla ricerca di stretti pertugi rigorosamente nascosti alla luce del Sole ed ogni eventuale sguardo indiscreto. Da cui deriva il nome comune della Pachodynerus nasidens anche detta “vespa del buco della chiave” data la natura del tipo di luoghi ove si trova spesso a costruire la propria casa. Ma se l’eventualità di ritrovarvi con un aggressivo essere pungente che vi assale presso l’uscio dovesse sembrarvi l’ipotesi peggiore, vi ricordo a questo punto il titolo del qui presente post, spostando la vostra attenzione al contesto specifico di un aeroporto. Tra tutti i templi dei trasporti moderni e contemporanei, quello dai più elevati standard di di sicurezza, proprio per la natura inerentemente precaria di un jet di linea dal peso di centinaia di tonnellate, che decolla o atterra ad oltre 250 Km/h con potenziali conseguenze impreviste fin troppo facili da immaginare. Ma non è davvero mai possibile riuscire a difendersi da quello che non si riesce a vedere. Ed anche con un rapporto di dimensioni paragonabile al finale di Guerre Stellari (“Grande o piccolo diverso soltanto in tua mente” affermava con saggezza il maestro Yoda) l’inconcepibile può riuscire a verificarsi. Scatenando senza nessun tipo di pregiudizio le più evidenti implicazioni dell’inferno in Terra…
insetti
L’edificio costruito per riuscire a contenere sei miliardi di scarafaggi
Sulla città meridionale di Xichang, prefettura autonoma cinese di Liangshan Yi, incombe la possibile realizzazione di una catastrofe del tutto priva di precedenti. E con questo non intendo l’aleatoria profezia, o il vago timore per il mutamento climatico ed altre amenità altrettanto trascurabili, bensì la consapevolezza ormai diffusa tra la gente che in un giorno particolarmente sfortunato, l’improvviso verificarsi di un terremoto, il sabotaggio intenzionale o un madornale errore commesso dal personale di contenimento, potrà idealmente scatenare su di loro una quantità di creature paragonabile all’intera popolazione umana esistente, per la realizzazione tangibile di una vera e propria piaga biblica sulla Terra. Costruita, tuttavia, non sulle creature migratorie che da tempo immemore costituiscono il terrore dell’agricoltura, bensì un parente ben più subdolo e potenzialmente ancor più inaspettato e proprio in funzione di ciò, mostruoso: perché mai e poi mai, la natura avrebbe mai potuto permettere l’aggregazione di una simile quantità di scarafaggi. Ciò detto è formalmente chiaro come un’infestazione delle creature in questione, appartenenti color marrone scuro alla specie Periplaneta americana, rappresenterebbe un problema assolutamente trascurabile per la continuativa sopravvivenza della città; simili blatte, per quanto ci è dato sapere, non trasmettono malattie, non possiedono veleno e non hanno mai mostrato un’indole aggressiva… Fino ad ora?
Per comprendere in che maniera si è giunti alla costituzione di una simile spada di Damocle pendente, occorrerà quindi risalire all’inizio degli anni 2000, quando la progressivamente pervasiva diffusione di una cultura ecologica internazionale e norme legali contro l’esportazione delle specie a rischio ebbe il modo d’introdurre, nella Medicina Tradizionale Cinese (MTC) alcuni significativi cambiamenti. Fino al punto che oggi, rispetto a una paio di decadi a questa parte, risulta comparativamente molto più difficile trovare quantità copiose di bile d’orso, corna di cervo ed ossa di tigre (davvero, in che MONDO viviamo?) costringendo i numerosi estimatori di questa antichissima disciplina a scavare ancor più a fondo nel canone lasciato dall’Imperatore Giallo degli Han (Huangdi Neijing) databile attorno all’inizio del secondo secolo dopo Cristo; libro in cui veniva citato, tra gli altri, l’effetto benefico garantito dalla consumazione di “creature complete in ogni loro parte” e per questo infuse della magica scintilla di tutti e cinque gli elementi dell’Universo. Da lì a riuscire a ricondurre un simile concetto, al più facilmente allevabile e riproducibile tra tutti gli insetti da allevamento, il passo a quanto pare si sarebbe dimostrato breve, dando inizio alla fioritura di svariate centinaia di “fabbriche” costruite secondo speciali e particolarmente originali canoni di architettura. Perché chi mai aveva pensato, prima di quest’epoca incerta, di mettersi ad allevare gli scarafaggi?
Un esempio decisamente interessante può essere individuato, a tal proposito, nello stabilimento di Li Yanrong presso il distretto di Zhangqiu in Jinan, costruito mediante l’impiego di un valido espediente operativo: come un castello medievale, il palazzo mostrato nel breve reportage di ABC News Australia si mostra infatti circondato da un fossato profondo alcuni metri, riempito di mostri terribili da cui è impossibile trovare scampo. Ovvero CARPE di un acceso color rosso fuoco, perfettamente in grado di mostrare la più veloce via per l’aldilà a vantaggio di ogni speranzoso detenuto a sei zampe, le cui abilità nel volo risultano essere, notoriamente, tutt’altro che eccellenti. Come arriverebbe tragicamente a scoprire, qualora dovesse mai tentare, per una dannata ispirazione del momento, a rintracciare la tortuosa strada per la libertà…
Il drago peloso che divora trentamila soldati nell’alto castello
“Così la gente ai piani alti mantiene il suo potere: parlando una lingua che stimola il terrore per l’ignoto e la sopravvivenza futura della colonia!” Declamò il Predicatore alzando la prima coppia delle sue sei zampe, per stagliarsi contro l’azzurro cielo sudamericano. La propaggine gibbosa del termitaio, teatro di tutte le interazioni tra gli strati sovrapposti di una società che si presumeva essere perfetta, nonché perfettamente in scala, per non ledere all’ambiente con l’impatto dell’artropode tecnologia abitativa. Piccoli gli insetti, di sicuro, ma non così le svettanti mura, costruite con la terra e la saliva delle loro bocche simili a minuscole tagliole. Chi poteva, dopo tutto, nuocere alle bestie proprietarie di un così alto monumento? Chi poteva penetrare dentro al guscio delle circostanze, invidiabili persino per lo sguardo altero degli Dei? “Profezie, minacce, apocalisse del Crepuscolo e creature grandi come montagne. Eppure, di tutti quelli che hanno visto il Mirmecofago, nessuno è mai riuscito a sopravvivere per raccontarci del suo aspetto. Davvero molto… CONVENIENTE!” Mentre simili parole dalle molte ramificazioni come le radici di un ontano risuonavano possenti nelle luce del mattino, il mondo stesso cominciò a vibrare. Le vedette in cima all’edificio, emettendo feromoni d’allarme, gridavano l’inaudibile avviso che sembrava presagire guai davvero grossi, per l’intero esercito percorso da un formicolìo fremente. In quel momento, un lungo serpente rosa penetrò dalla finestra panoramica sulla savana, sbalzando via il predicatore e tutti quelli che lo stavano ascoltando. Eppure, almeno la metà di loro non precipitò lontano, restando invece appiccicata all’essere venuto dall’Esterno. Con risucchio forte come il tuono, le spire si accorciarono d’un tratto. Mentre una piramide pilifera comparve nel pertugio, con un occhio fisso e assottigliato come la puntura di una spillo. Dalla folla rimescolata, si udì una voce acuta: “Morte, morte, il mostro è giunto. Manovali e militi, sudditi e padroni. Preparatevi a finire nello stomaco del grande aspirapolvere ursino!”
Un destino, da un certo punto di vista, peggiore di qualsiasi altro possa essere conosciuto agli insetti. Poiché il formichiere gigante, anche detto tridattilo per la tripla fornitura di affilati artigli sulle muscolose zampe, non ha denti, muscoli masticatori degni di questo nome e neanche una sostanza corrosiva nello stomaco, per offrire una misericordia rapida alle moltitudini fagocitate quotidianamente per sopire la sua enorme fame. Le quali se non soffrono l’eterno fato nel momento in cui si schiacciano contro il palato della belva, procedono fin dentro al grande organo simile a una betoniera. Dove periranno, gradualmente, nello stesso acido prodotto dalla loro decomposizione. Un espediente furbo e pratico, come i molti altri grazie ai quali, nel procedere dei secoli e millenni, l’ingegno graduale dell’evoluzione ha dato forma a tutto questo. Il più letale predatore del pianeta, peggiore di uragani o terremoti, per lo meno dal punto di vista delle sue operose, piccole nemiche.
Capace di nutrirsi indifferentemente d’imenotteri o blattoidei, contrariamente a quanto potrebbe lasciar presumere il suo nome, preferendo nei fatti molto spesso i secondi in molti degli areali d’appartenenza, nella loro accezione eusociale famosa per i cumuli costruiti nelle vaste valli erbose delle più selvatiche circostanze. Eppure già scomparso, come i possenti dinosauri, dai territori settentrionali del Messico, l’Uruguay ed il Costa Rica. Per non parlare del Guatemala. Restando comune unicamente in alcune aree dell’Amazzonia, il Pantanal ed il Cerrado brasiliani, oltre a certe province particolarmente poco sviluppate dell’Argentina. Perché le dimensioni contano, ma ancor più di questo, è l’adattabilità a un’ambiente trasformato che determina le alterne fortune di una specie…
L’incomprimibile armatura del diabolico signore degli scarabei
“Così era tutto assolutamente vero” Pensò l’entità corazzata Nr. 4789, mentre volgeva la sua testa verso la fonte di luce fuori dal barattolo, all’indirizzo dell’enorme predatore dalla giacca color coloniale. “Nella guerra quotidiana per la sopravvivenza, restare immobili non è più abbastanza.” Infatti il suo nemico, avendo appoggiato sopra un tavolo l’indistruttibile prigione di vetro, aveva preso in mano uno strumento acuminato, della dimensione e spessore approssimativi di un ago. Ma grande a sufficienza da riuscire a penetrare l’entità, facendone un trofeo da esporre nella sua camera mortuaria trasparente. Il crudele aguzzino, tuttavia, aveva uno svantaggio di fondo: continuava a mancare, nel novero della sua percezione sensoriale della verità, la cognizione su chi fosse vivo e chi morto, in realtà. Il coperchio del barattolo venne a quel punto sollevato, stringendo l’entità tra il pollice e l’indice, per appoggiarla quindi sopra quella che sembrava essere a tutti gli effetti una bacheca in sughero, pronta a diventare la sua tomba. Egli restò immobile in maniera pressoché totale, tuttavia, sapendo quello che stava per succedere. Il titano calò lo spillone sul suo dorso, con un suono sordo simile a quello di una lingua di camaleonte che colpisce il vetro antiproiettile. Ma l’inclemente punta di quell’arma, all’improvviso, si piegò. Troppo forte l’armatura! Di un soldato tenebroso preparato a tutto, pur di far ritorno nei confini sabbiosi della sua nazione. L’entità corazzata Nr. 4789 scrutò i precisi confini della stanza, mentre l’entomologo, sparito per qualche minuto, era andato a prendere una punta più rigida, possibilmente attaccata a un trapano elettrico a motore. “Questa gente non sa proprio quando è il momento di arrendersi.” Mormorò tra se e se, mentre prendeva una decisione totalmente priva di precedenti tra le schiere della sua genìa: riprendere a spostarsi non dopo ore, bensì appena una manciata di secondi. Per cominciare soavemente a zampettare, verso l’unica via possibile di scampo di una porta lievemente socchiusa. Oltre cui fin troppo bene sapeva, scorrere l’asfalto distruttivo delle circostanze. Tra gli alti lampioni stradali, ove cui il singolo passaggio di un veicolo avrebbe potuto distruggere in un attimo, insetti meno resistenti e forti di lui…
Lo scarabeo corazzato infernale o Nosoderma diabolicum è una creatura diffusa nel territorio sud-occidentale degli Stati Uniti, con una predilezione particolare per i vasti deserti della California, che sembrerebbe aver imboccato un sentiero assai specifico nel labirinto dell’evoluzione. In qualità di scarabeo che ha perso nei secoli l’abilità di volare, analogamente a quanto avvenuto per alcune altre importanti famiglie dell’ordine dei coleotteri, la natura l’ha dotato in cambio di una versione alternativa delle elitre, gli scudi sollevabili normalmente utili a proteggere le ali, capaci di assorbire senza conseguenze letali una pressione stimabile attorno ai 150 newton, grosso modo stimabile sulle 39.000 volte il suo peso corporeo. Essenzialmente equivalente al caso di un essere di dimensioni umane, dimostratosi in grado di resistere alla massa torreggiante di un macigno da 3,5 milioni di Kg. Il che risultava essere del resto già noto, non potendo perciò costituire l’argomento principale del nuovo studio pubblicato dallo studente Jesus Rivera assieme al suo professore di scienza & ingegneria dei materiali dell’Università della California, David Kisailus, finalizzato piuttosto al necessario approfondimento del perché, e come, una simile casistica spropositata riesca effettivamente a verificarsi. Il che una volta messo per iscritto, approcciandosi per la prima volta a un argomento lungamente tralasciato dalle scienze ingegneristica ed entomologica al tempo stesso per una probabile attribuzione reciproca di competenze, sembrerebbe aver colpito in modo piuttosto diretto la fantasia del pubblico all’inizio dell’attuale settimana. Regalando un attimo di meritata celebrità, e spalancando l’opercolo della sapienza collettiva, nei confronti di questo essere a sei zampe che più che altro, possedeva il chiaro desiderio di essere lasciato in pace…