Lungamente abbandonate per corrodersi nei depositi di rottami, lungo gli affluenti della Volga oppure nelle piazze dei paesi, trasformate in bar, edicole, centri visitatori. Le metalliche astronavi oblunghe dell’epoca sovietica, dalla plancia di comando a forma di U ed un caratteristico ponte panoramico nella parte posteriore, paiono a tutti gli effetti i prodotti collaterali di un set di fantascienza, tanto sono caratterizzate da una sensibilità estetica insolitamente futurista, caratteristica nel suo evidente tentativo di creare presupposti di distinzione. Eppure i membri delle più longeve generazioni, dinnanzi ad una tale vista familiare, non sviluppano alcun senso di disagio o d’inquietudine bensì la tipica malinconia dei tempi andati, ritornando con la mente a un’epoca in cui simili battelli erano letteralmente ovunque, permettendo agli utilizzatori di accorciare le distanze in un paese dove queste si attestavano su cifre largamente superiori alla media. Facendolo con stile ed efficienza, grazie alla comprovata capacità di sollevarsi in larga parte fuori dall’acqua, mediante l’utilizzo di convenienti ali idrodinamiche, in altri luoghi utilizzate come sinonimi del concetto di aliscafo. Nella nazione dove, tra l’altro, al termine della seconda guerra mondiale ogni risorsa infrastrutturale era stata deviata, in base alle semplici e apparenti necessità operative, nello sforzo bellico contro i tedeschi, i quali erano stati fin troppo propensi ad accelerare il disfacimento della rete dei trasporti sovietici, prima della loro catartica e del tutto inevitabile ritirata. Fu però la risultanza di un lungo percorso iniziato oltre due decadi prima quando, nel 1957, il rinomato ingegnere nautico nonché premiato praticante della vela sportiva Rostislav Alexeyev presentò dopo un primo viaggio di prova di oltre 420 chilometri la sua nuova barca Ракета (Razzo) al premier Nikita Khrushchev in persona, per poi procedere a guidarlo fino a Mosca con orgoglio durante il VI Convegno della Gioventù e degli Studenti dell’estate di quello stesso anno. Partendo da quella stessa fabbrica di Gorky Sormovo, nel distretto di Novgorod, dove al culmine del conflitto globale gli era capitato di essere inviato di stanza per supervisionare la costruzione di carri armati T-34, subito dopo il conseguimento della laurea nell’ottobre del 1941. Ottenuta con una tesi che, in effetti, aveva ben poco a vedere con tale mansione vertendo sull’applicazione di una serie di teorie risalenti all’inizio del Novecento, relative al comportamento di una superficie generativa di portanza all’interno di un fluido più denso dell’aria. Come quello, per l’appunto, tra le sponde di una funzionale idrovia naturale…
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Il parere dei ciclisti di Amsterdam sui due nuovi parcheggi subacquei della capitale
La praticità situazionale del principale veicolo a due ruote spinto dalla propulsione muscolare tende ad essere generalmente sottovalutata, nella maggior parte delle città e nazioni di buona parte del mondo. Ciò per l’effettiva necessità di caratteristiche infrastrutturali imprescindibili, quali una precisa disposizione delle strade, l’assenza dei dislivelli evitabili e soprattutto, l’abitudine degli automobilisti a distogliere lo sguardo da ogni utilizzatore della strada che utilizza meno di un’intera corsia. Non così, come sappiamo molto bene, l’Olanda, benché si tratti di una contingenza motivata in larga parte da fattori di contesto, quali la dislocazione in pianura dei propri più celebri centri urbani, oltre alla loro relativa piccolezza in termini d’estensione, tale da garantire l’appropriata possibilità di giungere a ogni angolo mediante l’uso della propria pedalata nel giro di una ragionevole quantità di minuti. Il che conduce al tipo d’idillio in termini teorici, di una città del tutto priva di chiassoso traffico, ingorghi inquinanti e spazi dedicato all’uso esclusivo degli automobilisti, rendendo la deambulazione priva di veicoli esponenzialmente più complicata. Chiunque creda che un simile stile dei trasporti personali sia del tutto privo di problematiche implicazioni, tuttavia, non si è ancora trovato a considerare come persino la migliore delle cose, in quantità eccessiva, possa tendere a creare situazioni imprevedibili, talvolta all’origine di un calo drastico della qualità e il decoro della nostra comunitaria esistenza. Vedi l’affollamento alla rinfusa, caotico e disordinato, del tipico parcheggio ciclistico di questi luoghi, una distesa a cielo aperto dove rastrelliere senza fine vedono il formale susseguirsi di una quantità impossibile da contare di biciclette, tra l’occasionale mucchi di rottami e l’accumulo di sporcizia che tende inevitabilmente a conseguirne. Particolarmente, come spesso capita, in prossimità del centro cittadino e la storica Centraal station di Amsterdam, progettata nel 1889 dall’architetto Pierre Cuypers con il fine dichiarato di ricordare vagamente una cattedrale. Struttura magnifica il cui necessario ma sgradito contrappunto è stato, per gli ultimi 22 anni, il cosiddetto fietsflat, una struttura di tre piani sopra il margine del fronte-IJ, bacino/lago artificiale che si trova innanzi alla rinomata capitale olandese. Una soluzione, oggettivamente antiestetica, proposta inizialmente come temporanea e che doveva durare soltanto fino al 2004, finché non ci si rese conto che le alternative non erano ancora in alcun modo pronte all’implementazione, né risultava possibile tornare allo stato dei fatti precedenti, di una sostanziale anarchia in cui i velocipedi si affollavano attorno a ogni lampione, cartello o altro arredo cittadino delle immediate vicinanze. Da qui l’idea, messa in opera nel corso degli ultimi 4 anni, per la costruzione di una nuova serie di due aree adibite allo stesso utilizzo, nella prima fase appena completata, dotate di un totale di spazi per la sosta pari a 11.000 di questi versatili mezzi di trasporto, sfruttando spazi che nessuno in città avrebbe mai pensato neppure di avere. Fino all’inaugurazione, tenutasi verso la fine dello scorso gennaio, del notevole Fietsenstalling Stationsplein (letteralmente “Stalla per Biciclette nella Piazza della Stazione”) opera dello studio architettonico Wurck con i suoi 4.000 posti a disposizione, un intrigante sotterraneo ricavato dalla fondale dello stesso specchio riflettente dello IJ, preventivamente drenato e scavato in profondità, prima di essere attentamente incapsulato tramite l’impiego di mura a rigorosa ed auspicabile tenuta stagna. Operazione progettuale ampiamente trattata a suo tempo dai telegiornali e notiziari di mezzo mondo (quando mai si era visto nulla di simile?) laddove l’altrettanto significativa controparte situata sul confine esterno dello IJboulevard, aperta soltanto a partire dall’altro ieri, non parrebbe aver suscitato lo stesso livello d’interesse internazionale. Quale migliore occasione dunque, per visitare virtualmente questi due luoghi, valutando l’opinione che parrebbero averne i loro principali utilizzatori futuri…
Un altro monito dall’uomo che si è attribuito l’ardua missione d’ispezionare i guard rail
Soltanto un padre preoccupato, il suo telefono con videocamera, un canale YouTube da 58.800 iscritti. Tanti, tantissimi eppure mai davvero abbastanza. L’argomento del video di oggi: una di quelle cose che letteralmente ci circondano, pur trovandosi frequentemente oltre i margini della nostra coscienza. Ma guai, a farci finalmente caso. Poiché quanti tra gli onnipresenti corrugati metallici ai margini delle strade, spesso concepiti al fine d’impedire l’invasione di corsie opposte, sono davvero costruiti nella maniera ideale, ovvero completi in ogni loro significativo ed importante dettaglio? Aspetti come la consigliabile presenza di un sistema di ancoraggio al suolo, mediante cavo metallico imbullonato nell’asfalto, pena l’incapacità di mantenersi integri durante il colpo obliquo di un veicolo abbastanza pesante. Evento il quale, come qui ampiamente dimostrato ed anche documentato dall’associazione NCHRP (Programma Nazionale Cooperativo di Ricerca Autostradale) tenderà altrimenti a causare il disfacimento prematuro del dispositivo in questione, trasformandolo nell’equivalenza di un gigantesca lancia penetrante o micidiale katana. E nessuno vorrebbe che ciò potesse tendere a capitare…
Una delle maggiori contraddizioni nel campo della sicurezza stradale è la maniera in cui risulta essere del tutto impossibile progettare soluzioni utili a ridurre il rischio in ogni possibile circostanza, quanto piuttosto metodologie atte a ridurre l’incombenza statistica di gravi conseguenze, mentre si aumentano di contro le probabilità che qualcosa d’inaspettato possa causare l’effetto diametralmente opposto. Questo in parte per la problematica sempre presente dell’errore umano, che può portare a un’utilizzo inappropriato delle pur valide risorse a disposizione: vedi l’esempio degli ultimi imprudenti che ancora oggi, non volendo sopportare il “fastidio” della cintura di sicurezza, la indossano in modo tale da non ancorare la spalla sinistra, aumentando piuttosto che ridurre il rischio di gravi ferimenti agli organi interni. Vi sono tuttavia casistiche, di contro, in cui il guidatore non è incaricato né messo in condizione d’influenzare il proprio destino, semplicemente perché studi approfonditi hanno dimostrato come in particolari tratti di strada, gli apparati di sicurezza devono essere posizionati in un particolare modo tra i molti a disposizione, in base a norme necessariamente flessibili nella speranza di aver previsto il più ampio ventaglio di possibilità future. Eventi in linea di principio prevedibili, come il disgraziato giorno in cui nel 2017 la giovane Hannah Eimers alla guida della Chevrolet Silverado del qui presente padre perse il controllo sull’Interstatale 70 in Missouri, finendo per colpire la parte finale del guard rail correttamente ed appropriatamente installato ai margini di quella strada fatale. Mentre il particolare elemento a forma di T per l’assorbimento di questa tipologia d’impatti, progettato con largo profitto dalla X-Lite, che s’impunta contro il blocco motore dell’automobile. Spingendolo all’interno dell’abitacolo, e sbalzandola fuori dall’auto, senza lasciarle purtroppo alcun margine di salvezza. Morti evitabili ed un tipo di soluzione, quest’ultima, effettivamente poco usata fuori dagli Stati Uniti (e non è detto che le alternative siano migliori) proprio perché soprattutto valida nei confronti dei veicoli a quattro ruote, risultando potenzialmente peggiorativa per la sicurezza dei motocicli. E che a partire dall’ultimo anno, è stata non a caso proibita e rimossa, con gran dispendio di risorse, in due terzi degli stati americani che avevano precedentemente scelto di utilizzarla lungo il corso delle loro strade. Grazie, soprattutto, all’opera di quest’uomo…
Uno sguardo più ravvicinato alla funzione della fonte radioattiva smarrita in Australia
L’effetto farfalla è quel paradigma teorico secondo cui il singolo battito d’ala di un insetto potrebbe nel momento giusto introdurre una variabile nel sistema atmosferico terrestre, tale da influenzare in senso significativo le interconnessioni tra i fronti d’aria calda e fredda vigenti. Fino a ingenerare, tramite una serie di eventi a catena, l’episodio meteorologico di un uragano dalla parte opposta del pianeta Terra. Poco… Probabile, sicuramente ma è anche il fondamento di un approccio al pensiero logico finalizzato a dare un senso alle profonde implicazioni delle circostanze. Quanto può una cosa che ci sembra piccola, in maniera poco prevedibile o apparente, portare a deleterie conseguenze sullo stato di salute, ed invero l’integrità stessa di preziosi ed insostituibili entità viventi? Vi sono presupposti in base ai quali l’effettiva massa, peso e dimensione di qualcosa costituiscono la metrica palese della sua possenza. Mentre in altri casi, è il possesso di una qualità ulteriore ed inerente, a determinare la portata del nostro latente senso d’inusitato terrore. Ed è il secondo tipo di connessione logica quella che tende a generarsi tra i nostri pensieri, nell’acquisizione di un tipo di notizia come quella che ha iniziato a diffondersi su scala internazionale nella giornata di ieri, benché relativa ad un evento verificatosi probabilmente tra il 10 e 16 gennaio scorsi e reso pubblico nel giorno 26 del mese, quando i responsabili si sono visti costretti infine a notificare le autorità dell’accaduto. Il tipo di contingenza che tende a sembrare a tutti evitabile, una volta che ormai è troppo tardi per tentare di porvi facilmente rimedio. Ed in realtà c’è qualcosa di delicatamente surreale o in qualche modo catartico, nell’udire la particolare sequenza di parole che, andando dritte al punto grazie all’opera di un incaricato PR di una certa esperienza, descrive la maniera in cui un camion noleggiato dalla compagnia mineraria Rio Tinto è riuscito incredibilmente a perdere, lungo la strada verso un sito di stoccaggio a Perth, qualcosa di minuscolo e davvero problematico. Niente meno che una capsula cilindrica, di 8 millimetri di lunghezza e 6 di diametro, contenente la corrispondente quantità di Cesio-137, un isotopo radioattivo soltanto parzialmente schermato e per questo capace d’irradiare, in modo potenzialmente letale, chiunque dovesse trovarsi nelle sue immediate vicinanze per più di qualche minuto. Il che potrebbe anche non aver costituito un problema (dopo tutto, qualcosa di tanto pericoloso può sempre essere captato con un contatore Geiger, giusto?) Se non fosse per l’estensione media del tipo di tragitto che nel continente australiano tende ad essere chiamato “strada”: esattamente 1.400 Km tra la miniera di ferro a Gudai-Darre e la capitale dell’Australia Occidentale, nei fatti maggiore di quella che separa l’estrema punta settentrionale britannica dalla regione costiera della Cornovaglia. Il che ha dato inizio, a quanto narrano le sincopate conferenze stampa prodotte fino a questo momento, ad una letterale caccia dell’ago avvelenato in un pagliaio gigante, mediante l’utilizzo di veicoli dotati di strumentazione specifica e grandi dispiegamenti di uomini e mezzi. Mentre i notiziari di mezzo mondo, non importa quanto distanti dall’accaduto, si sono preoccupati di offrire descrizioni estremamente approfondite dell’oggetto in questione, come se potesse spuntare, non si sa come, all’altro capo degli oceani sulle coste europee e statunitensi. Mentre ciò che nella maggior parte dei casi si è mancato di approfondire, come capita spesso su Internet, è la parte più interessante. Ovvero la precisa provenienza dell’oggetto e conseguente dinamica dell’incidente…