La ragione per cui un grattacielo, tra la più complesse ed avanzate opere d’ingegneria dei nostri tempi, non può essere davvero definito un monumento al pari di un antico cenotafio, piramide o basilica di tipo religioso ed altro, è che nel tempo accelerato dei nostri giorni, nulla dura per sempre ed ogni punto fermo, non importa quanto dispendioso ed imponente, può esser cancellato con un semplice colpo di spugna. Lo scopo: costruirci sopra qualche cosa di migliore, più affascinante e “moderno”, qualunque cosa voglia dire, caso per caso, l’utilizzo di questo aggettivo dai molteplici significati contestuali. Nella cognizione dell’architettura sostenibile ad esempio, tale approccio cognitivo anticipa la messa in opera di costruzioni dai molti utilizzi, potenzialmente scorporabili e prive di un impatto carbonico capace d’inficiare ulteriormente la vigente crisi climatica terrestre. Ma ce lo vedete qualcosa di simile, a Manhattan? L’isola newyorchese celebre come uno dei punti d’accentramento urbano più densi al mondo, nonché il primo definibile in questi termini, attraverso l’imprescindibile linguaggio creativo fatto di ferro, vetro e cemento. E di sicuro non ce l’hanno visto i direttori del management della JP Morgan, il colosso della finanza da oltre 255.000 dipendenti, di cui 14.000 della sede centrale cominciavano oggettivamente a ritrovarsi piuttosto stretti, nello spazio tradizionalmente loro deputato dai tempi dell’acquisto dello Union Carbide Building, storico grattacielo di 52 piani e 215 metri nel distretto di Midtown già edificato sopra le macerie del vecchio Hotel Marguery di appena sei piani, risalente all’inizio del secolo scorso. Quale altra possibile soluzione dunque, se non procedere all’abbattimento della seconda generazione, onde fare un valido uso del vero valore collegato a tale proprietà, il “piccolo” appezzamento di terreno rettangolare situato accanto all’iconica Grand Central Station, costruendoci un qualcosa che New York non vede tanto spesso. Ed in base a determinati parametri di riferimento, persino in questo luogo può essere chiamata un vera e propria rarità. Enters l’importante studio architettonico Foster + Partners, giusto mentre le prime maestranze incaricate, armate non di esplosivi o sfere demolitrici, bensì attrezzi per lo smontaggio sistematico e l’abbattimento delle polveri conseguenti, iniziavano nel 2019 a fare l’improbabile: distruggere un gigante, per fare spazio a un titano. 70 piani e 423 metri, quasi esattamente il doppio della costruzione precedente (e soffitti molto più alti, a quanto pare) in un’interessante configurazione che riprende la tipica struttura a gradoni dell’architettura a “torta di matrimonio”, ma rivista tramite l’impiego di proporzioni geometriche proiettate in senso verticale, piuttosto che mirate a dare un mero senso di stabilità apparente. Per l’ottenimento di un effetto slanciato e dinamico, ulteriormente accresciuto mediante la figura romboidale ripetuta, per ciascun segmento del grattacielo responsabilmente privo di alcun tipo di pinnacolo sporgente. Giacché la nuova torre non mira ad essere il “maggiore” di nulla, risultando meramente il quinto grattacielo più alto di New York, il decimo in tutti gli Stati Uniti. Essa semplicemente esiste, sicura nel contributo significativo allo skyline urbano. In attesa dell’inaugurazione, prevista entro la seconda metà del vigente anno 2025…
urbanistica
L’eclettismo zig-zagante del serpente che accompagnò la rinascita berlinese
C’è stato un tempo e un luogo in cui a Berlino, volendo indicare in modo informale il luogo in cui abitavano, taluni e talune dipendenti della macchina governativa avrebbero potuto affermare: prima/seconda/terza ansa dello Sprea; prima/seconda/terza curva del palazzo assegnatoci come residenza particolare. Serpentina l’una e cobriforme l’altro, pitonesco, viperato. La creazione non particolarmente metaforica (poiché a che dovrebbe mai volutamente alludere?) Ma indubbiamente derivante da una forma pratica pensata con scopi e prerogative precise. Giacché di case cubiche o rettangolari, il presente mondo ne possiede quantità spropositate. Ben venga dunque, l’opportunità sperimentale di fare un qualcosa di diametralmente all’opposto. Questa l’idea singolare di Georg Bumiller, architetto di Landau che aveva studiato a Darmstadt, Vienna e negli Stati Uniti, quando nel 1995 offrì la propria proposta a beneficio dei tedeschi nella nuova capitale, in un concorso indetto a seguito di una pressante necessità organizzativa. Sembra infatti che una grande quantità di parlamentari, i loro assistenti e gli altri addetti del Parlamento si fossero trovati in difficoltà, subito dopo la riunificazione del paese il 3 ottobre del 1990, per l’intercorso spostamento della capitale da Bonn a Berlino. Dove le disponibilità immobiliari e i conseguenti costi al metro quadro non erano propriamente abbordabili, e perciò considerati inadeguati dai fattori di tutela normalmente riservati ai membri di una classe politica e dirigenziale. Allorché sembrò perfettamente in linea con le procedure, ricavare uno spazio apposito nei terreni di proprietà dello stato a Moabiter Werder, lo spazioso quartiere nella zona ovest dove un tempo Federico Guglielmo, Principe Elettore di Brandeburgo, conduceva le proprie cacce accompagnato dal canonico seguito di soldati e servitori. Il che avrebbe voluto dire, sostanzialmente, vivere in periferia, con tutti gli svantaggi e le particolari contingenze del caso. Alla necessità di sfruttare al massimo lo spazio massimizzando il numero di famiglie contenute in un singolo stabile, Bumiller rispose dunque copiando il sistema architettonico tradizionale dell’opera muraria crinkle crankle o in lingua tedesca serpentinenmauer, una struttura che poteva al tempo stesso essere più sottile, stabile e richiedere una quantità minore di materiali, grazie al supporto addizionale offerto dall’opera sinuosa della propria disposizione evidente. Dal che sarebbe nato, in tempi ragionevolmente brevi, questo notevole Bundesschlange o “Serpente Federale”…
La cripta della metropolitana che costituisce l’ultimo ricordo di un impero Universale
Nel romanzo del 1905 di Jules Verne, Kipps: storia di un’anima semplice, il protagonista incontra la sua amica d’infanzia ritrovata, e futura spasimante Ann in presenza di “un Labirintodonte verde e oro, così magnifico sopra le acque del lago”. Non propriamente un ennesimo ritorno alla Preistoria, a cui le precedenti opere di questo antesignano del fantastico di avevano abituato, bensì la fedele descrizione di un punto di riferimento statuario davvero esistente, all’interno del Crystal Palace Park. Ovvero quello spazio designato, presso il rilievo londinese di Sydenham Hill, come punto d’arrivo del trasloco della singola costruzione vittoriana temporanea più incredibile, nonché una delle maggiori costruite al mondo. Se il protagonista provinciale delle tante disavventure della narrazione avesse a questo punto accompagnato la ragazza fino ai margini del parco, oltre la via d’accesso principale che conduce alla zona di Greenwich, i due si sarebbero a questo punto imbattuti in un semi-nacosto ingresso verso i “misteriosi” sotterranei dell’ambiente metropolitano. E proprio qui, al termine di una lunga scalinata, avrebbero potuto fare l’ingreso in una sala degna di essere chiamata fiabesca, da ogni accezione di quel termine liberalmente utilizzato senza vere cognizioni di fatto. Ma chi avrebbe mai creduto che uno spazio tanto simile alla cripta di una cattedrale bizantina potesse trovare la collocazione, sotto il cemento ed il selciato di un comune viale? 18 colonne di mattoni ottagonali, sormontate da una volta a botte dal disegno geometrico di rombi interconnessi. Tratteggiato grazie all’utilizzo di maioliche in alternanza, color crema ed arancione, con rosoni situati nelle vie di fuga, raffiguranti dellle immagini dell’Astro Solare. Quella stessa stella diurna che, secondo un popolare modo di dire, non sarebbe mai realmente tramontata sui possedimenti del grande paese sotto l’egida di Queen Victoria. Così come volutamente ricordato, dalle molte meraviglie tecnologiche, scientifiche ed ingegneristiche, di quello che sarebbe stato ancora per svariate decadi uno dei punti di riferimento londinesi più famosi su scala nazionale e nel mondo, qui raccolte da un esperto comitato nell’equivalenza finemente ornata di una trasparente basilica di 84.000 metri quadri. Ma così come la gloria degli Imperi non può durare per sempre, lo stesso vale per le serre colossali, non importa quanto attenta e puntuale possa essere stata la loro costruzione…
L’enorme grattacielo che incorpora il massiccio peso della storia a Kuala Lumpur
Ed è una mera semplice realtà dei fatti, che la storia riconosca un primo e un ultimo in classifica, ma praticamente a nessuno importi tutto quello che si trova in mezzo. Arrivare secondi, in senso oggettivo, può costituire un ottimo risultato. Ma fuori dalla sfera introspettiva ed autoreferenziale, può sostanzialmente equivalere ad una goccia di mercurio nell’infuriar della tempesta generazionale. 10 gennaio del 2024, di fronte allo stadio Cangkat detto “dell’Indipendenza” (in bahasa/tamil: merdeka) presso 50150 Kuala Lumpur, Territorio federale di Kuala Lumpur: alla presenza del Re, del Primo Ministro e gli altri principali rappresentanti dello stato, la principale metropoli peninsulare del Sud-Est Asiatico ha visto inaugurare l’ultimo e più significativo esempio di un qualcosa che gli è sempre risultato particolarmente affine. Il tipo di megastruttura, alta e stretta, che possa figurare lungamente negli annali statistici ed ingegneristici come uno dei grattacieli più imponenti al mondo. La torre che, persino nell’affollato skyline della città popolata dalle celebri Petronas e l’Exchange 106, risulta oggi idealmente capace di gettare la propria su chicchessia. Questo perché essa costituisce, allo stato attuale, il secondo edificio più alto al mondo dopo il Burj di Dubai. Sebbene circa 23% dei suoi 678,9 m siano sostanzialmente occupati dalla struttura più che altro scenografica di un’antenna o guglia, che in epoca pre-moderna sarebbe stata probabilmente occupata da un campanile. Ma in questo momento storico di rinnovata stima nei confronti dei nazionalismi, vuol essere qualcosa di profondamente e significativamente inaspettato: il braccio teso verso il cielo di niente meno che Tunku Abdul Rahman (1903-1990) già politico e primo ministro del paese nonché padre nobile della sua stessa patria, dal momento in cui, nel 1956 pronunciò l’epocale discorso contro il colonialismo ed il controllo britannico del territorio malese, terminante nel grido reiterato di “Merdeka! Merdeka!” Che secondo il canone ufficiale riecheggiò tre volte, sebbene testimoni ancora in vita giurino che il grande personaggio storico l’abbia ripetuto per un gran totale di sette. Così trasferito, al giorno d’oggi, in proporzioni in senso fisico ancor più imponenti, tramite l’implicita metafora rappresentata dal suddetto grattacielo. Giacché il Merdeka 118, così chiamato dal suo numero di piani totali, vorrebbe essere la sostanziale rappresentazione, minimalista ed astratta, della sua stessa figura vista di profilo…