La cupa scia lacustre del mostro che chiamavano Diavolo e Balena

La saggia e vecchia guerriera si tolse il colorato mantello in foglia di fique e un complicato intreccio di capelli umani, per sedersi di fronte al fuoco e rivolgere un ultima chiamata nei confronti degli Spiriti Superni. La gente del Sole e il popolo della Luna, ai due margini della vallata, scrutavano attentamente ogni suo singolo movimento, ben sapendo quale fosse la posta in gioco. Allora Moneta impugnò nella mano sinistra la pietra verde appesa al collo, che costituiva il simbolo della sua carica, e l’avvicinò il più possibile alle fiamme, mentre con la destra sollevava la ciotola rituale preparata appositamente a tale scopo, ricolma della chica, una bevanda alcolica creata con lo zucchero ed il mais. Un sorso per se stesso, l’altro rovesciato al centro del calore tremulo, mentre le sue labbra si muovevano silenziosamente, pronunciando le solenni parole. “Figlio degli uomini, aspettavamo la tua venuta.” Pronunciò una voce appena udibile, mentre una sagoma lievemente antropomorfa compariva tra una alone di scintille. “E sappi che lo stesso sta facendo il grande MUYSO AKYQAKE, drago nero nelle oscure profondità della sua tana. Egli non accetterà di farsi da parte. Prepara le tue armi. All’alba di un nuovo giorno, trionferai” Moneta la guaritrice grazie al potere della sua danza, Moneta la distruttrice non aveva paura di fare quello che doveva essere fatto, per salvare la sua gente dalla siccità e la carestia. Ma nutriva alcuni dubbi sul futuro del suo destino. “Oh, spiriti… E cosa accadrà, dopo? Quando tra mille anni, il popolo del mare sbarcherà su queste coste. Chi potrà difendere la confederazione di Bacatá?” Senza il cenno di un sospiro, lo spirito nel fuoco si voltò scrutando l’orizzonte. E lentamente, cominciò a scomparire. “Bene. Ho capito.” Quello che dovrà essere fatto, sarà fatto. E nulla più: la guerriera appoggiò la ciotola ormai vuota a terra, mantenendo ben stretta la gemma verde grande quanto il suo pugno. Raggiungendo con la mano la sua cintura, slegò quindi il disco d’oro che gli era stato dato in concessione da Sué in persona, Sommo Essere che controlla i ritmi del Cielo. Ora la gente ai margini della vallata, sapendo cosa stava per succedere, sollevò all’unisono le insegne dei rispettivi clan e le armi acuminate, ben sapendo che nessun tipo d’aiuto avrebbe potuto cambiare le sorti di quanto stava per accadere. La bocca della gigantesca caverna si spalancava come le fauci di un’orribile creatura senza nome. A differenza del suo temuto occupante: “Grande serpente Busiraco, abitatore di Tchiqake, io t’invoco. Suprema muyhyzyso, lucertola delle Profondità, fatti avanti. Che la furia di Guia dai possenti artigli, l’Orso delle Stelle, possa ghermire le tue carni impure! Che la xiua, pioggia divina che purifica, giunga per colmare la tua tomba, umida e sempiterna!” Al concludersi della sua formula, puntuale come ogni terza settimana dopo il solstizio, la grande cometa di fuoco disegnò una linea retta che riusciva a collegare i punti estremi della volta celeste. Moneta allargò la braccia e inspirando profondamente, iniziò a danzare.
Strettamente interconnessa con il mito della creazione professato dagli antichi abitanti dell’altipiano Cundiboyacense, ad oriente della Cordigliera delle Ande negli odierni dipartimenti colombiani di Cundinamarca e Boyacá, la storia del grande serpente o dinosauro che si nasconderebbe nel lago montano di Tota rappresenta una leggenda assai più antica, e culturalmente significativa, di quella di Lochness. Sebbene assai meno famosa nella cultura collettiva del popolo moderno, forse perché interpretata, inizialmente, come un debole tentativo di spaventare i conquistadores intenzionati a conquistare i confini di queste terre. E il primo a lasciarcene testimonianza fu proprio uno di loro, Gonzalo Jiménez de Quesada verso la metà del XVI secolo, all’interno del suo Dizionario Geografico del Nuovo Mondo, in cui gli attribuiva l’aspetto di un “pesce nero con la testa di un bue e più grande di una balena” senza tuttavia inoltrarsi nelle circostanze specifiche delle sue ricerche o conoscenze in materia. Per un resoconto più approfondito, dunque, sarebbe stato necessario attendere fino al 1676, quando il prete e storico Lucas Fernández de Piedrahita riportò l’esistenza di quel mostro in una lettera indirizzata al vescovo di Santa Marta, avendo cura di aggiungere l’annotazione: “Quesada afferma che gli indiani temevano la bestia, affermando che essa fosse il diavolo in persona. E nell’anno in cui soggiornai presso le coste del lago, Doña Andrea Vargas, signora del luogo, affermò di averlo visto coi suoi stessi occhi.” Una visione, indubbiamente, in grado di suscitare uno spontaneo senso di terrore…

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L’oscuro potere spirituale delle sette bambole sepolte dai Maya

Contando e ricontando in modo rituale quanto si trovava all’interno del recipiente di fibre vegetali intrecciate, il Sommo Sacerdote volse ancora una volta lo sguardo ad Oriente. Ancora pochi attimi, lo sapeva molto bene, e la parete opposta si sarebbe illuminata dello sguardo sacro del sommo Spirito capace d’influenzare la vita, religiosa e secolare, della sua intera schiera di prestigiosi seguaci. Il sovrano e la sua famiglia, i funzionari regionali e gli addetti alla pianificazione pubblica in evidente stato di fervore religioso, mentre il popolo moriva di fame. Erano finalmente pronti ad inchinarsi, adesso, al suo segnale! L’altare di venerazione sollevato e messo da una parte, con un compartimento simile ad un tubo aperto in solenne attesa di ricevere quanto dovuto. Ancora una volta, Colui che aveva ricevuto tale incarico toccò in rapida sequenza il principio maschile dall’enorme fallo d’argilla, circondato dalle sue sei consorti scolpite nello stesso materiale, ciascuna caratterizzata da un diverso tipo di deformità fisica, importante segno della divinità. Ancora pochi minuti adesso, è quasi giunto il momento. Di nascondere tali entità agli occhi del mondo, per ora e fino alla fine dei giorni…
È in realtà del tutto essenziale al fine di comprendere la più duratura ed architettonicamente produttiva civiltà centrata nell’area mesoamericana, molti anni prima dell’arrivo di Colombo, citare almeno brevemente l’importanza avuta dalla matematica nella loro sofisticata serie di valori culturali. Scienza assolutamente primaria nel mantenimento di un calendario, nella conduzione dei commerci ed anche nei fondamentali calcoli ingegneristici, utilizzati per edificare alcune delle loro strutture destinate a durare maggiormente a lungo. Dato il semplicissimo sistema di notazione inoltre, in cui i punti indicavano le unità e le linee quantità di cinque, mentre lo zero era raffigurato da una conchiglia, chiunque poteva apprendere in poco tempo il funzionamento di tale meccanismo. Ed forse proprio in funzione di questo, che particolari numeri acquisivano significati molto particolari: il 20, quantità corrispondente al totale delle dita delle mani e dei piedi umani. Il 52, la quantità di anni capace di costituire un “fascio”, concettualmente non dissimile dai cento del secolo secondo il conteggio dei Greci e dei Latini. E per ragioni largamente ignote agli archeologi e filologi dei nostri giorni, quantità considerate sacre il numero 7. Scritta mediante l’uso di una linea sovrastata da due puntini, in una sorta di accenno alla pareidolia antropomorfa, tale cifra ricorre dunque negli schemi costruttivi dei Maya: 7 erano i tumuli di antichi sovrano presso il sito di Uxmal. 7 le torrette del palazzo di Teotihuacan, re di Tikal. 7 i serpenti a sonagli contenuti nel suo totem, 7 le piume che adornavano i ritratti scultorei delle antiche figure politiche o religiose. Con una capacità di ricorrere e risalire addirittura attraverso i secoli, giungendo fino alle città ed insediamenti dell’epoca Classica (250-900 d.C.) incluso quello studiato a partire dallo scorso secolo di Dzibilchaltun. Vera e propria città dell’odierno stato peninsulare dello Yucatàn, collocata il più possibile in prossimità della costa per sfruttare al massimo la preziosa risorsa del sale, in un’area ragionevolmente vivibile ma di certo non tra le più fertili di tale specifica sezione di continente. Il che non gli avrebbe impedito del resto, al suo apice, di ospitare una quantità stimata di circa 20.000 persone, capaci di trarre sostentamento da una fiorente pratica del commercio e alcuni riusciti tentativi di sfruttare al massimo i pochi terreni agricoli a disposizione. Tra cui una precisa conoscenza del ricorrere degli equinozi e dei solstizi, grazie al calcolo dei giorni, e una serie di precisi… Metodi e rituali, concepiti per attrarre l’attenzione volubile degli esseri superni. Tra cui l’entità creatrice del Mais, che sarebbe stata a seconda del periodo maschile, femminile o addirittura composta da due gemelli; Cha’ak o Chaac, l’essere talvolta plurimo incaricato di gestire la pioggia e tutto ciò che ne deriva; ed ovviamente, K’inich Ahau, il “Signore dal Volto di Fuoco” che ancora adesso siamo pronti a ricondurre alla potenza luminosa e termica dell’astro solare. Importante protettore, quest’ultimo, a cui ogni capitale della civiltà Maya era solita dedicare un tempio situato ad est, con caratteristiche speciali tra cui una colorazione bianca delle mura ricoperte di semplice stucco, piuttosto che policrome come avveniva normalmente, e finestre rivolte in direzioni specifiche, al fine di raccogliere la luce in corrispondenza di ricorrenze particolarmente importanti al fine di pianificare la coltura agricola con finalità di sussistenza. Aspetti in cui non fa eccezione Dzibilchaltun, sebbene tale struttura presenti nei cataloghi un appellativo chiaramente riferito a una funzione di tipo diverso, con chiare implicazioni di natura ancor più misteriosa e profonda: Structura.1-sub, alias “Tempio delle (sette) bambole”, una serie di figurine d’argilla custodite ad oggi presso il museo del sito, dall’aspetto particolarmente alieno ed inquietante…

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Artista usa vecchi pneumatici per creare i mostri del cinema e della mitologia cinese

Nello studio della prima Era dell’antica storia del Regno di Mezzo, molti aspetti sfumano nel mito e nella leggenda, con eventi miracolosi ed interventi divini, lotte tra i popoli di proporzioni epoche e improbabili prima della fondazione di grandi regni e identità nazionali. Eppure molte delle vicende fatte risalire al periodo dei Tre augusti e cinque imperatori, collocato tra il 2850 e il 2205 a.C. in base al calendario gregoriano, sembrerebbero aver posseduto una base materialmente tangibile fondata su eventi e personaggi realmente esistiti. Non è affatto improbabile, ad esempio, che durante il regno di Huangdi, il famoso Imperatore Giallo, sia effettivamente esistito il condottiero dal nome di Chiyou, unificatore delle nove tribù dei Li, grande stratega e antagonista del sovrano, vista la sua discendenza dinastica non meno prestigiosa e perciò degna, almeno in linea di principio, di riuscire a governare la Cina. Un diritto che avrebbe rivendicato sul campo di battaglia, nell’epico confronto passato alla (proto?)Storia con il toponomastico di Zhuolu. Ed è qui che i fatti iniziano ad assumere proporzioni maggiormente mitologiche e capaci di sconfinare nella nebbia della leggenda. Poiché si dice che non solo questo re sagace, riconosciuto a posteriore come capostipite dalle moderne etnie dei Miao o degli Hmong, o persino degli antichi Nanman, i cosiddetti “barbari del sud” sia stato in grado di modificare in tale occasione il clima, facendo magicamente calare una fitta nebbia sull’esercito nemico. Ma che lui stesso avesse diretto lo scontro in prima persona, sbaragliando intere compagnie grazie alla sua spropositata forza e abilità in combattimento. Doti accresciute in modo significativo dal poter contare su quattro occhi e sei braccia, ciascuno in grado di brandire un’arma altrettanto tagliente, nonché il poter fare affidamento sulle proprie instancabili zampe d’orso, la fronte di bronzo indistruttibile ed almeno una testa, se non due, di bue, con lunghe corna in grado di trafiggere il nemico. Una guisa spaventosa e possente, che compare oggi in tutta la sua marziale magnificenza nel cortile di Cao Shengge alias Tireman, presso il villaggio di Tan, nella contea di Xingtai, assieme a innumerevoli altre creature di provenienza non meno stupefacente. Ma non grazie a rituali segreti né sacrifici mistici al Signore dei Draghi, bensì la pratica del riciclo e la sua eccezionale abilità d’artista “di recupero”, coadiuvato dalla valida assistenza della sorella Shengxia.
Un minimo approssimativo di trenta giorni, letterali migliaia di chiodi, qualche centinaia (o migliaia) di pneumatici reperiti presso una discarica a scelta e intere montagne di pazienza, coadiuvata da esperienza, precisione, fantasia. Niente meno di questo potrebbe giustificare, nella misura in cui ci è offerta l’opportunità di conoscerla, l’esperienza di una visita presso una simile galleria all’aria aperta di guerrieri, mostri e creature niente meno che terrificanti, ricostruite nei benché minimi dettagli dando massima soddisfazione a chiunque abbia l’occasione di vederli di persona o ancor più facilmente, sullo schermo del proprio computer, come tanto spesso avviene per i più abili creativi nell’epoca della cultura digitalizzata e di portata ormai globale. Forse per questo, molti dei soggetti scelti da questo notevole artista appartengono in effetti al mondo della cinematografia e dei videogiochi, per cui nessun confine nazionale è invalicabile, dinnanzi al potere comunicativo del concetto globalmente noto come rule of cool: che ogni opera artistica può funzionare, se risulta infusa di qualità stupefacenti o impressionanti, inclusa la capacità di suscitare un istintivo senso di timore reverenziale. Il che si applica allo stesso modo al leggendario guerriero Chiyou, così come ai suoi King Kong e Godzilla, per non parlare dell’immancabile Alieno xenomorfo che campeggia alla loro sinistra, una visione che parrebbe prelevata direttamente dal laboratorio del grande artista svizzero H.R. Giger, benché costituisca in effetti un’elaborazione successiva della sua creazione più famosa, rimasta inutilizzata nella realizzazione finale del secondo film della serie. Essenzialmente la versione scaturita dall’oscura enormità del Nulla di un diverso tipo di sovrano cosmico. Il Re dell’Alveare, con tutta l’autorità e potenza in divenire che un tale titolo comporta…

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