I giganti che elargiscono la loro acqua sui bambini di Chicago

Ogni anno, tra ottobre e marzo, gli alti monoliti smettono di emettere quel flusso sfolgorante per cui sono stati costruiti. Non potrebbe essere altrimenti, visto il gelo in crescita e le altre avverse condizioni meteorologiche di quella che è stata definita, non a caso, la Città Ventosa. Ma in questo particolare 20016/17, gira voce tra la gente, la situazione potrebbe avere dei risvolti inaspettati. Per la prima volta infatti, le operazioni di manutenzione sembrano richiedere svariate settimane, mentre la superficie perfettamente liscia di ciascun parallelepipedo è stata coperta con un telo da cantiere. E la gente mormora quello che tutti, fondamentalmente, sospettavano da tempo. “La fontana…” Sussurrano gli alunni del grigiastro doposcuola: “…Delle facce. Sta per riceverne di nuove. Chissà se avranno l’acqua colorata!?”
Se vogliamo compiere un’analisi dei presupposti, non c’è cosa più difficile che trovare un simbolo degno di rappresentare una città. Ci sono luoghi, a questo mondo, impreziositi dalle innumerevoli testimonianze del grandioso peso della storia: monumenti, chiese, antiche statue, luoghi come il Colosseo di Roma, oppure le Piramidi del Cairo, tesori costruiti dagli antichi governanti delle rispettive civiltà. E ve ne sono altri, invece, per i quali il dinamismo culturale degli artisti ed ingegneri, assieme a un colpo di fortuna ha fatto quanto era dovuto, concedendo un ruolo determinante ai bizzarri marchingegni della modernità. Pensate alla Torre Eiffel di Parigi, all’Atomium del parco Heysel di Bruxelles o ancora al vertiginoso Jet d’Eau posto in mezzo al lago di Ginevra, in grado di lanciare 7.000 litri d’acqua nel bel mezzo del cielo blu. Altri grandi centri, invece, la loro cartolina principale devono cercarla, attraverso una serie di costosi tentativi, che nella maggior parte dei casi finiscono, purtroppo, per non dare l’esito sperato. Ad esempio quanti, tra di voi, conoscono davvero a fondo le sfrenate meraviglie del Millennium, quei 24 acri definiti separatamente all’interno del “giardino di Chicago” in riva al lago Michigan, lo spazio verde del Grant Park? Una costellazione di padiglioni, opere d’arte, aiuole fiorite e curiosità architettoniche, come il sinuoso ponte per pedoni “biomorfico” progettato da Frank Gehry, oppure l’auditorium all’aperto con 4.000 posti intitolato a Jay Pritzker, frutto della stessa mente fervida e dal tetto simile a una corona di foglie futuristiche d’alloro… Per non parlare dell’aggiunta più recente tra quelle di maggior risalto culturale, il fagiolo cromato alto 10 metri dal nome di Cloud Gate, un progetto sfolgorante dell’artista indiano Anish Kapoor. Che per un breve momento, sembrerebbe aver disegnato un piccolo puntino in mezzo al radar della senso comune internazionale, se non altro per la sua comparsa nelle scene di alcuni film e telefilm hollywoodiani. Lascia dunque ancora più basiti, il fatto che siano decisamente in pochi, tra le svariate popolazioni d’Europa, ad essere stati raggiunti dalla fama di un qualcosa di ancor più grande e impressionante, che sorge a pochi metri nel bel mezzo dell’intera piazzola dedicatagli dall’amministrazione cittadina: una coppia di torri alte 15 metri ciascuna, impreziosite da 22.500 blocchi di vetro montati su una griglia d’acciaio, dietro ai quali si nasconde una quantità spropositata di diodi a LED. Giungendo a costituire, nei fatti, l’esistenza di una coppia di schermi tra i più grandi accesi ininterrottamente negli interi Stati Uniti. Usati per mostrare…Facce, sopratutto. I volti della gente di Chicago, intenta nel prodursi in quel particolare gesto tanto riconoscibile, da migliaia di gargoyle, pesci e gli altri esseri impiegati normalmente dagli artisti costruttori di fontane: stringere la bocca e lasciar fuoriuscire lo zampillo. Sulla gente là sotto, in trepidante attesa.
Jaume Plensa, l’artista catalano responsabile di tutto questo, assieme ai circa 17 milioni di dollari stanziati dal patròn della General Dynamics Lester Crown (a cui il monumento è stato dedicato) ed in parte minore da altri sponsor anch’essi privati, ha più volte affermato di essere rimasto, lui per primo, completamente sorpreso. In maniera positiva, s’intende. Ma chi avrebbe mai potuto pensare che la sua opera per gli spazi pubblici più importante e famosa, inaugurata finalmente nella primavera del 2004, si sarebbe presto trasformata nell’equivalente urbano di un vero e proprio acqua park? Il fatto è che una componente interattiva di massima, fin dalla sua prima concezione, era sempre stata presente: come spiegare, altrimenti, lo spazio della larga vasca di granito nero riflettente, con appena un dito d’acqua, che si estende tra una torre e l’altra. Quella che era stato sottovalutata, tuttavia, era l’attrattiva data dal design universale ed estremamente accessibile dell’intero meccanismo, oltre alla sua forte componente d’intrattenimento data dal concetto di fondo, e la sua sostanziale imprevedibilità. Perché nessuno potrà mai sapere, davvero, quale sarà la prossima faccia destinata a far uscire il getto d’acqua dal profondo della sua oscura bocca…

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Il pericolo di una secchiata d’acqua in gara

Tutto, negli sport motoristici odierni, viene attentamente regolamentato da un preciso codice. Ma in molti casi, il pubblico non ne comprende a fondo la ragione. Il fatto è che molti gesti compiuti con le migliori intenzioni possono finire per avere effetti spiacevoli, deleteri, persino pericolosi. Ed a volte può bastare uno sguardo indietro, agli errori compiuti dai nostri predecessori, per apprendere a priori la lezione, evitando di ripetere lo stesso sbaglio. Follie come quella compiuta da un meccanico dei box dell’Holden Racing Team durante questa gara di resistenza con le stock car del 1993 a Sandown in Australia che, probabilmente dando seguito a una precisa e collaudata strategia di gara, si apprestava a pulire il parabrezza del pilota con dell’acqua lanciata al volo da un secchio, risparmiando il tempo necessario per fermarsi ai box. Sarebbe stato piuttosto difficile, del resto, decidere di farne a meno: il polacco naturalizzato Tomas Mezera, nel corso dell’ultimo giro, si era trovato per un tempo prolungato dietro all’auto della vera e propria leggenda dell’automobilismo Peter Brock, che in quel particolare giorno aveva già avuto, dal canto suo, la sfortuna di dover gestire un’imprevisto veicolare: danni alla coppa dell’olio, con conseguenti emanazioni nerastre lungo la linea di gara del suo tragitto, tali da costituire una problematica eccessiva per i semplici tergicristalli. L’altro sportivo a questo punto, dunque, vedeva ben poco di quanto aveva davanti a se. Un rapido scambio tattico all’auricolare, la pianificazione esperta dei compagni in tuta, un salto fino alla pompa dell’acqua. In breve tempo, l’addetto alle riparazioni era in corrispondenza del muretto dei box, pronto a intercettare il suo pilota proveniente dalla pista con un intero secchio di rinfrescante H2O. Piccolo dettaglio: alla stessa maniera della maggior parte degli altri tracciati in ogni luogo del mondo, il Sandown presenta un generoso rettilineo in prossimità della linea del traguardo, tale da porre in quel particolare tratto la velocità di auto sportive di serie come la Holden VP Commodore di Mezera (ed anche di Peter Brock) attorno ai 120-140 Km/h. Qualcuno, a questo punto, avrebbe dovuto fare i calcoli. Ma così non fu.
Ora, potrà sembrare strano che appena una ventina di litri d’acqua, impattando contro il vetro di un’automobile, possano riuscire sostanzialmente a mandarlo in frantumi. Dopo tutto, quanta acqua cade durante un’acquazzone estivo? Ed è per questo che gli stessi due commentatori che si sentono parlare nel video, in un primo momento, tentano di elaborare un’interpretazione alternativa. Uno suggerisce che “qualcos’altro” sia stato lanciato per sbaglio assieme all’acqua. Forse il secchio stesso? L’altra voce incorporea concepisce nel frattempo una teoria ancora più improbabile ma straordinariamente dettagliata, secondo cui “il calore risalito dal motore” avrebbe “riscaldato il parabrezza” causando un gradiente di temperatura con l’acqua in arrivo, tale da creparsi ed andare letteralmente in pezzi. In effetti situazioni simili sono capitate in pieno inverno, a persone non troppo preparate dal punto di vista termodinamico, che avevano avuto l’iniziativa di togliere il ghiaccio dal parabrezza usando dell’acqua bollente. Ma è ovvio che a nessuno sarebbe venuto in mente di riscaldare quest’acqua. Tale ipotesi non spiegherebbe, inoltre, l’evidente rientranza del vetro spaccato in corrispondenza dell’angolo superiore sinistro, reso particolarmente evidente dalla deformazione della scritta vinilica cubitale “Holden”. No, la relazione causa-effetto di questo particolare evento fu in effetti molto più semplice, e diretta, di questa. Ma non meno impressionante.
La comune acqua, lo sappiamo fin troppo bene, può essere facilmente trasformata in un’arma. Come tecnica non letale di risposta a gravi proteste, le forze di polizia direzionano talvolta un forte getto all’indirizzo della folla, con l’intento di respingere e gettare a terra. Mentre un ugello che pressurizza questa vitale sostanza, e la concentra con tutta la forza in un unico punto, può costituire un sistema di taglio utilizzabile per forare persino il metallo. Il che, in effetti, è analogo al rapporto che esiste tra la pioggia dell’acquazzone ed il secchio di cui sopra: le goccie d’acqua formatisi naturalmente non sono particolarmente aerodinamiche, raggiungendo a malapena la velocità terminale di 24-25 Km/h. Inoltre, non pesano più di qualche grammo. Totalmente diversa è la storia di un ammasso concentrato di liquido dal peso di 20 Kg, che per di più alla velocità del lancio del meccanico, vedrà sommati quelli accumulati dal bolide veicolare in corsa. Il destino del parabrezza, rigorosamente di serie come ogni altro componente del gruppo di gare australiane 3A della FIA, era ormai segnato. La parte più difficile, tuttavia, doveva ancora venire.

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Papera sfida la tigre di Sumatra e diventa leggenda

“La paura non esiste Dolan, la paura è un’invenzione della mente.” Nella fluidità dei movimenti, il piccolo pennuto sembra trasformarsi in aria ed acqua, mentre l’animale a strisce incarna gli elementi eternamente contrapposti della terra e del fuoco. I due si girano attorno come gladiatori nell’arena, studiando l’avversario per scoprire le sue eventuali debolezze. Lo sguardo del felino sembra farsi vacuo, mentre prende in considerazione la distanza, la profondità e la forma del laghetto. Dalle sue orecchie fuoriesce un refolo di codice binario. Certo, nessuno dei due animali si trova nel suo elemento principale. Ma l’uccello, che appartiene al genere delle anatinae e per questo sopravvive quotidianamente nutrendosi di alghe, piccoli invertebrati e pesci sonnolenti di passaggio, comprende molto meglio il moto trasversale delle onde. Inoltre, dettaglio niente affatto indifferente, esso non è nato e cresciuto in uno zoo. La regina delle giungle asiatiche, di fronte a tutto questo non può fare a meno di pensare: “Se corro dietro a quella cosa, sarà uno spreco enorme d’energie. Devo necessariamente prenderla in un solo balzo.” Mentre gli spettatori umani, trattenendo il fiato, vivono la più profonda incertezza sull’origine di tale situazione. D’un tratto, il tempo sembra immobilizzarsi, mentre il felino da 250 Kg flette i muscoli per fare la sua mossa. Le acque si dividono, la terra trema per l’impatto della sua potenza. In un vortice di schiuma e spruzzi, il mostro si trasforma in missile a ricerca di calore. Le zampe che ghermiscono il bersaglio senza alcun margine d’errore. Sembra proprio che per Dolan sia finita se non che, QWAK! Si ode all’altro capo dello specchio d’acqua. La papera è sparita, poi la papera è riapparsa, a molti metri distanza e totalmente incolume, indefessa. Le fauci della tigre si aprono soltanto parzialmente: “Sarà una lunga giornata.” Sembra sussurrare fra il più lieve dei ruggiti.
“Giovane, non hai capito. O meglio, puoi far finta che sia così, ma non puoi certo ingannare me, Duckling McDuckinson, con quasi 10 anni di esperienze dalla cresta sulla testa fino alla punta della coda bianca e nera.” A una quarantina di chilometri a sud di Sydney, tra i boschi circostanti il limpido lago di Cordeaux, la vecchia Oxyura australis (papero dal becco blu) si rivolge con tono di sufficienza al giovane esemplare di Chenonetta jubata (anatra dei boschi australiana) “Quando avevo la tua età, io e gli altri lo facevamo spesso. Se ti rechi fra i palazzi degli umani, e inizi a nuotare in cerchio, quelli lì ti tireranno il pane. Tu l’hai già assaggiato, il pane, vero?” Cibo degli Dei ed ambrosia delle circostante, una sostanza tanto nutritiva che non sembra fatta per nutrire le anatre di questo mondo. “Ooh si, nonnetto eccome se me lo ricordo. Ma tu non puoi parlare seriamente. Lo sai com’è da quelle parti! Se volo dalle parti della capitale, nel giro di pochi minuti mi ritroverò circondato dai gabbiani. Non scherza mica, quelli lì…” Chiaro: si tratta di una questione di rischio contro ricompensa. Se soltanto un volatile potesse scegliere di stare fermo, nei pochi metri circostanti la sua tana, è chiaro che esso non andrebbe incontro ai pericoli e le avversità della vita. A volte Dolan si chiedeva se non fosse quello il suo destino, come quello di suo padre, e di tutte le altre anatre del lago di Cordeaux. “Ecco, voi giovani d’oggi! Te l’ho detto che non mi hai ascoltato. Chi ha mai parlato di andare a nord? Se soltanto tu tirassi il becco fuori dal buco dell’albero, sapresti che dalla parte opposta sorgono altre cittadine, più piccole, ma altrettanto piene di delizie alimentari. Per raggiungerle dovrai aprire le tue ali e seguire la Lawrence Hargrave Drive, tenendo l’oceano alla tua sinistra. Non deviare mai da quella direzione, e dopo un certo tempo scorgerai un’insegna con un koala. Ecco, a quel punto segui le indicazioni…”

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La trappola dei canyon inondati all’improvviso

Un padre e uno zio, che arrancano a fatica insieme a due bambini nella spettacolare depressione di Little Big Horse Canyon, non troppo distante dal celebre Goblin Park. Ai lati, le pareti verticali di un avvallamento eroso in centomila anni tra le alte pareti di uno spento colore rosso ocra. E sopra, sotto, accanto, da ogni parte, c’è soltanto quella cosa: acqua, acqua a profusione. Che scende copiosa, che turbina e che vortica dapprima alle caviglie. Poi alla vita degli adulti, che corrisponde al petto dei loro futuri eredi. Si sente il più piccolo che fa al fratello: “Ho paura, my heart is pounding!” (Mi batte forte il cuore) mentre l’altro tenta di rassicurarlo: “Continua a camminare, siamo quasi arrivati.” Ma nessuno dei due era cosciente, all’epoca, del reale pericolo che stavano correndo. Della situazione così tragicamente analoga, almeno in linea di princìpio, a quella che costò la vita ad 11 persone nel 1997 presso la popolare località turistica di Antelope Canyon, e di nuovo nel 2015 ad altri sei nel Keyhole Canyon. Il fatto è che non sempre, nei territori aridi statunitensi, un inondazione è il prodotto delle condizioni meteorologiche pendenti in quel particolare luogo e momento. C’è un effetto incontrollabile di traslazione…
Il Grand Canyon, le cascate del Niagara. Dicono che nessun vero americano, nato in patria oppure all’estero, possa realmente dire di aver vissuto, se non visita nel corso della propria vita almeno uno di questi due fantastici fenomeni della natura. Ma che fare se egli non avesse il tempo, oppure le risorse, per vederli tutti e due? Dopo tutto, si trovano quasi agli estremi opposti degli Stati Uniti, separati da oltre 2.300 miglia di distanza! Niente paura. Dovendo scegliere, basterà optare per la grande depressione scavata dal Colorado River nel suolo friabile dell’Arizona, a patto di raggiungerla durante un giorno di pioggia relativamente intensa. Molti hanno narrato, su Internet, la portata di una simile esperienza: le decine o centinaia di cascate, che si formano istantaneamente dalla cima della gola, riversandosi con un ruggito dentro l’acqua sottostante, tra gli sguardi affascinati dei visitatori. Nel giro di pochi minuti, il seminterrato di un’intero deserto semi-arido, e per nulla permeabile, si trasforma nel suo unico condotto di drenaggio, mentre la diffusa coltre di sottili goccioline formano la base per migliaia d’imprevisti arcobaleni. È uno spettacolo fantastico, un ricordo destinato a rimanere negli annuari. Una fatale unione di acqua ed altitudine, in qualche maniera affine a quella del distante salto a ferro di cavallo, sito a suggellare la barriera tra gli Stati Uniti e la regione canadese dell’Ontario. Ma c’è un tempo e un luogo, un modo e un’occasione per qualunque cosa. E così come un getto fuoriesce placido e spontaneo, dal tubo per annaffiare il giardino, scaturendo invece come un fulmine, qualora si vada a bloccare in parte l’apertura con un dito, la magnifica visione può istantaneamente diventare un incubo, se soltanto ci si trova tra pareti più ravvicinate, magari un po’ più a nord, nel territorio ancor più brullo dello Utah. Un luogo in cui notoriamente, i crepacci scavati dai fiumi tendono ad assumere un aspetto molto peculiare, tortuoso e profondo, fantastico a vedersi, ma sopratutto stretto, angusto come l’andamento di un serpente a sonagli. Svariati sono i nomi che appartengono a questa lista, a parte quelli già citati poco più sopra: the Narrows nello Zion National Park, la più antica e celebre di tali attrazioni turistiche; il riconoscibile Glen Canyon, vicino a quella patria nazionale di determinati sport estremi che è il lago artificiale di Powell, creato nel ’63 da una delle dighe più imponenti degli interi Stati Uniti. E poi la miriade, una letterale costellazione di fessure che si trovano nei territori a sud dell’Interstatale 70: Buckskin, Escalante, Lamatium, Peak-a-Boo… Ciascuno dei quali associato, secondo la disciplina tipicamente statunitense del canyoneering (una sorta di alpinismo all’incontrario, perché scende, poi sale) ad un preciso codice che ne indica la difficoltà ed il rischio: da 1, la proverbiale passeggiata, a 5, canyon tecnico con la necessità di usare attrezzature speciali; da A, secco, a C, con corsi d’acqua significativi; e da I a VI, in base al tempo richiesto per portare a termine l’esplorazione. Ma naturalmente, come abbiamo dimostrato in apertura, i risultati possono variare in modo significativo sulla base alle condizioni meteorologiche vigenti…

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