Pseudo sommergibile spaziale produce da oggi l’energia rinnovabile del domani

In hoc signo… Una sottile linea longitudinale, lunga esattamente 74 metri. Intersecata dal segmento perpendicolare, con la forma vagamente simile a quella di un gran paio d’ali. Strano, per qualcosa che come una nave, ha vissuto alle sue origini l’esperienza di un varo, nelle acque mobili del vasto Mare del Nord. Come arma di primaria importanza nella guerra che oggi può essere chiamata una crociata, per la sua importanza nel proteggere gli interessi economici, politici e religiosi di un’intera identità culturale; quella del mondo industrializzato post-moderno. I cui confini, allo stato attuale, si estendono da un lato all’altro del globo senza più limiti di confini né bandiere. Chi minaccia ancora adesso, dunque, la nostra condizione più o meno soddisfacente? Chi, o magari cosa, si frappone tra la quiete delle circostanze storiche e una collettività costantemente preoccupata dal suo destino? È soltanto una la risposta cui possiamo far riferimento, nell’auspicabile aspirazione di ottenere la soluzione a tal quesito: noi stessi, con il corollario delle nostre azioni a discapito di tutto ciò che ci circonda. Perché non può esserci alcun tipo di proposito ecologico, a salvaguardia di un ambiente che soffre, senza un metodo per preservare ciò che guida il desiderio dei viventi. Profitto, ovvero la conservazione del fondamento stesso di uno stile di vita che non sembrerebbe averci ancora tradito. Ed è in questo, soprattutto, che la tecnologia coéva può raggiungerci ed offrirci un qualche tipo di risoluzione utile allo scopo.
Creazioni funzionali, autonome ed intelligenti, come la turbina mareomotrice della Orbital Marine Power, ex Scotrenewables di Edinburgo, un luogo dove gli antichi metodi e paesaggi verdeggianti ancora trovano percentuali rilevanti dello spazio emerso a disposizione. Inframezzati dai cantieri metallurgici capaci di creare, grazie ai fondi della commissione Europea per l’Innovazione Tecnologica (FloTEC) e il Progetto d’Integrazione dell’Energia Marina (ITEG) qualcosa di simile ad un mezzo utile a esplorare i pianeti distanti. Ma non c’è spazio per cabine, cuccette o bagagli di nessun tipo all’interno di un simile oggetto con la forma di un sigaro volante, bensì l’attrezzatura utile a fare una cosa, e tale cosa soltanto: generare e incanalare con metodo continuativo esattamente 2 MW d’energia elettrica, veicolata verso la costa mediante l’uso di un resistente cavo sottomarino. Proprio quello che ci vuole, in altri termini, per mantenere alimentate circa 2.000 case del paese più settentrionale del Regno Unito o come sta materialmente succedendo allo stato attuale, alimentare la creazione di copiose quantità d’idrogeno pronto all’uso, da impiegare per la conduzione di altri simili progetti finalizzati a ridurre le emissioni ambientali della nazione. Ciò attraverso l’impiego delle due propaggini articolate sopra descritte, al termine delle quali trovano collocazione altrettante eliche girevoli da 10 metri ciascuna capaci di assecondare il moto reiterato delle maree.
Una mansione facilmente comprensibile, quest’ultima, mediante l’apprezzamento del punto in cui questa Orbital O2 ha trovato collocazione, nient’altro che lo stretto braccio di mare noto come Fall of Warness, tra le isole di Hoy e Mainland presso l’arcipelago delle Orkney. Dove il naturale spostamento delle masse d’acqua, per l’effetto della forza gravitazionale lunare, porta all’inversione periodica di una corrente abbastanza forte da riuscire a smuovere le montagne. Un ciclo di maree, in altri termini, perfettamente utilizzabile al fine di alimentare un qualcosa di questo tipo. È un’idea intelligente che supera di gran lunga in versatilità le alternative poste in essere fino a questo momento. E che al termine della settimana scorsa, senza particolari cerimonie inadatte al periodo storico che stiamo vivendo, è stata serenamente messa in modo, iniziando a compiere la sua importante e indifferente mansione, senza il benché minimo fil di fumo. All’altro capo del sistema che ogni giorno ci permette di usare il computer, guardare la televisione, riscaldare o raffreddare le nostre case…

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Rotola, di nuovo rotola la grande sfera oceanica del criceto umano

Comparso per la prima volta sulla pagina Facebook dello Sceriffo della contea di Flager, l’oggetto non identificato giaceva immobile nel mezzo della spiaggia floridense. Come un enorme bigodino, questa volta, costruito in alluminio e fiancheggiato da una serie di 18 professionali sfere gonfiabili (niente più palloni da basket morsi dagli squali) ben fissate all’interno di una simile struttura per garantirne la stabilizzazione. Attorno alla quale, temporaneamente, sembra aggirarsi un controllore che sistema, ripara e mette in sicurezza i suoi meccanismi. Mentre un nutrito capannello di persone, comprensibilmente incuriosite, lo osserva commentandone i gesti. Qualche volta, gli rivolgono anche una domanda o due… Poco male. Persino al terzo tentativo, l’eroe sportivo ama parlare della sua difficile e autoimposta missione di vita.
Libertà di parola, di culto, di associazione, di educazione, di scegliere la propria nazionalità e cultura. America, la terra dei sognatori: un luogo in cui inseguire i propri obiettivi, non importa quanto remoti, dove tutto sembra possibile, a patto di avere sufficienti risorse finanziarie. E qualche volta, anche in assenza di quelle risorse. Ma è difficile inseguire una chimera abbastanza a lungo, mentre questa muta e si trasforma nei diversi stati della materia, senza esserne ad un certo punto profondamente cambiati. Mentre si rimbalza per i fiumi e nelle valli, ci si arrampica verso le cime di alti picchi e poi si balza all’altro lato contro i venti, lasciando che ampie ali di pipistrello ci trasportino lungo correnti ascensionali intangibili e incolori per lo sguardo; per lo meno, a patto che fosse questa specifica esperienza a dare il ritmo e il passo dei nostri gesti. E se invece il tipo di animale totemico capace di guidarci, fosse piccolo e peloso, piatto e liscio all’occorrenza… Un timido quadrupede che cerca sempre di portare a termine quello che suscita interesse tra i suoi baffi, carichi di ottime speranze… Non è semplicissimo individuare, nell’intero regno animale, una bestia più nobile del Mesocricetus auratus o criceto siriano, generalmente noto per la sua frequente collocazione all’interno di pratiche gabbiette poste sopra il tavolo della cucina o della sala pranzo. Cercatore esperto di avventure utili a risolvere un bisogno, che sia di tipo alimentare, di svagarsi oppure pertinente all’anima e la mente stesse, mentre percorre angusti pertugi, corre sui difficili percorsi e trova infine, non senza qualche contrattempo, l’ambita uscita dal dedalo cunicolare di un difficile labirinto. E ogni qualvolta che dovesse venire a mancargli tale opportunità, può sempre fare affidamento sulla sua immaginazione; esercitando i muscoli, per molti minuti o qualche ora, all’interno dell’equivalente in scala ridotta di una turbina per la generazione d’energia elettrica: la Ruota. Così Reza Baluchi, già noto ciclista e corridore di origini iraniane, immigrato negli Stati Uniti nel 2002 dopo essere vissuto per 10 anni in Germania, ha un giorno scelto d’inseguire tale stato e il metodo di quel minuto sognatore. Costruendo la sua personalissima interpretazione della stessa cosa… E puntando dritto verso le Bermuda, si è imbarcato nella traversata in grado di coronare un’intera vita. Oppure, nell’ipotesi peggiore, terminarla.
Il concetto è in realtà piuttosto intrigante e dal punto di vista tecnologico, tutt’altro che azzardato. Prendere un oggetto in grado di rotolare mantenendosi al di sopra della superficie dell’Atlantico ed entrandovi all’interno, cominciare a correre volgendo le spalle alla riva. Nell’evidente ambizione, per quanto remota, di riuscire entro una manciata di ore o giorni a raggiungere la propria meta. Più i secondi che le prime in questo caso, visto l’obiettivo in questo caso dichiarato da quest’uomo, in varie interviste e dichiarazioni, di riuscire presto ad approdare col suo marchingegno sulle spiagge newyorchesi a circa 2.000 Km di distanza. Un’impresa apparentemente impossibile per molti ma (forse?) non per lui, già capace di compiere un giro a piedi degli interi Stati Uniti nel 2003, per un totale di 18.860 Km dedicati alla lotta contro il terrorismo e la raccolta di fondi per chiunque ne avesse bisogno. Benché sia il caso di sottolinearlo: non è esattamente la stessa riuscire a fare anche soltanto una frazione di questo tra le onde resistenti dell’Oceano, sotto il sole impietoso dell’estate e con possibilità di soste notevolmente più limitate…

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Si è spiaggiato il pesce tondo, che incarnava la tiepidità del mondo

Si trattava di risolvere un problema, in effetti. Quello di attribuire un nome alla creatura misteriosa trovata improvvisamente sulla spiaggia di Sunset in Oregon alle 8:00 di mattina, della lunghezza di oltre un metro e il peso approssimativo pari a 45 Kg. Pesce discoidale vagamente simile alle tipiche creature ornamentali di un acquario (i.e, abitanti originari di barriere coralline distanti) ma con proporzioni alternativamente descritte come pari a “una ruota di camion” oppure nel caso specifico e secondo quanto riportato dalla stampa internazionale, “un bambino di quattro anni”. Strano termine di paragone, davvero, quando si considera l’assenza di gambe, braccia, testa o altre parti antropomorfe, in questo essere dal corpo compatto e invero stranamente denso, la cui morfologia parrebbe distinguersi da quella del suo gruppo tassonomico dei lampriformi, contenente anche i sinuosi lofotidi, l’impressionante regalecide (il “re delle aringhe”) ed il trachipteride o “pesce nastro”. Tutte creature dall’aspetto lungo e serpeggiante, laddove questa malcapitata vittima delle maree riesce a guadagnarsi a pieno titolo l’appellativo di pesce luna o pesce sole, astri esteriormente personificati dalla forma ed il colore vagamente scintillante, concesso dall’iridescente patina di guanina che ricopre le sue scaglie. Un semplice ricorso all’enciclopedia di casa, dunque, avrebbe anche potuto risultare insufficiente, se non fosse stato per il coinvolgimento da parte dei visitatori della spiaggia del vicino Seaside Aquarium e i biologi che vi lavorano all’interno, i quali dopo un breve consulto hanno levato tutti assieme quell’esclamazione compiaciuta, trascrivibile con l’onomatopea che segue: “Opah!”. Opah fish, ovvero il tipico rappresentante del genere Lampris.
Vita strana, imprevedibile e talvolta piena di sorprese. Come quella di trovare a queste latitudini una creatura giudicata dalla scienza non tanto rara, quanto particolarmente inaccessibile date le abitudini per lo più pelagiche e la tendenza a vivere a profondità di 50-500 metri, non propriamente raggiungibili da sub dotati di strumentazione convenzionale. Né fatta ad oggi risultante il soggetto, causa le pregresse scelte di carriera, di studi scientifici particolarmente approfonditi da parte di chicchessia, anche a causa della sua scarsa rilevanza economica, dovuta soltanto all’infrequente cattura accidentale nelle reti dei tonni. Ed è in effetti particolarmente triste, risultando al tempo stesso indicativo, come l’assoluta totalità delle foto e video riguardanti questa notevole bestia marina la mostrino soltanto successivamente alla sua dipartita, per casi accidentali oppure la cattura e trasporto fino a riva, prima di procedere a precisa sfilettatura e preparazione al tavolo da pranzo, visto come nessun tipo di norma ecologica sia stata ancora promulgata, per la protezione di questa creatura la cui popolazione si ritiene essere tutt’ora in buono stato (ipotesi… Puramente speculativa, a dire il vero). E soprattutto a causa del sapore sfortunatamente appetitoso che possiede, descritto come pari a quello del più gustoso pesce spada, in un formato spesso e particolarmente adatto alla preparazione di piatti dall’alto grado di sofisticazione. Il che lascia, a tutti coloro che fossero direttamente interessati alla natura di questo appariscente nuotatore degli abissi, appena una manciata di nozioni di seconda mano, ed almeno un’approfondita trattazione di quella che risulta la sua singola caratteristica più insolita, ed interessante…

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Florilegio di luci che si affollano nel fiordo: un milione di meduse con la forma di un fungo

Creature tanto diverse dalle linee guida indicative conosciute dall’uomo, da potersi meritare a pieno titolo l’aggettivo “aliene” che non significa per forza extra-terrestre, bensì privo delle doti che comunemente servirebbero a identificare… Un terrestre. Tutto questo e molto altro, una volta tratte fuori dal contesto, finiscono per diventare le meduse, prive di occhi e di cervello, ma anche di radici o cellule pensate per trarre nutrimento dalla pura e semplice luce del Sole. Facendone per forza di cose dei veri e propri predatori, capaci di attraversare le distese subacquee trasportate dalle correnti oceaniche, lasciando dietro di se una letterale scia di morte e distruzione. Cobepodi. Krill. Ostracodi. Chetognati. Tutte forme di vita piccolissime, ma sottoposte ad un eccidio d’entità terrificante, mentre quotidianamente vengono agguantati da un lungo tentacolo, trasportati fino a quelli circostanti l’apertura boccale. E senza un minimo d’esitazione, inglobati in quello stomaco molte migliaia di volte più capiente del loro. Eppur potremmo scegliere di definire, persino nelle vaste moltitudini marine, precise graduatorie in merito a una simile faccenda, di cosa appaia degno a pieno titolo di tale planetario agnosticismo, inteso come una natura che parrebbe appartenere e Venere, Plutone o una qualche inospitale luna di Giove. E se così fosse davvero, non ci sono molti dubbi in merito: la Periphylla periphylla, o medusa elmetto/cappello di Babbo Natale, avrebbe il chiaro merito di venire tra i più alti membri di tale classifica creata dal pensiero umano. Essendo non a caso l’unica rappresentante del suo genere, come desumibile dal nome specifico ripetuto ripetuto per ben due volte.
Ogni anno, verso giugno-luglio, tende a succedere la stessa cosa; sebbene non si tenda a farci caso sempre per la stessa conseguenza tra causa ed effetto. Così talvolta è l’esperienza di un pescatore solitario, che ne scorge il rosso abito impigliato all’interno della propria rete. Qualche altra, appaiono degli esemplari morti sulle anguste spiagge, troppo lenti o incauti per tornare a nascondersi dalla luce diurna, per loro pari a una condanna senz’alcuna possibilità d’appello. E certe altre, semplicemente se ne nota la presenza, per il calo di numero del pescato, causa fagocitazione sistematica delle fondamentali larve fuoriuscite dalle uova di pesce. Siamo a Trondheimsfjord, tanto per fare un esempio, benché situazioni analoghe abbiano ragione di verificarsi lungo l’intera costa della Norvegia; e alquanto inaspettatamente, anche dentro varie insenature e luoghi dei distanti oceani meridionali, fino all’Antartide, luogo più gelido del nostro intero pianeta. Il che risulta tanto più incredibile, quando si considera come stiamo parlando di un tipo di creatura da circa 30 cm e 540 grammi di peso, che normalmente sopravvive solo a temperature situate tra i quattro e gli undici gradi celsius, con punte massime di venti sopra lo zero. Ma naturalmente, l’escursione termica tende a pesare in modo molto meno significativo quando si parla di esseri che vivono a una media di 2000-2500 metri sotto il livello del mare, benché tendano a concedersi regolari escursioni notturne fino alle acque maggiormente nutrienti (per il loro metodo di filtratura) che si trovano ad appena qualche decina di metri dai confini dell’aria. Il tutto, sempre premurandosi di fare la propria mossa tra l’alba ed il tramonto, a causa della già citata debolezza simile a quella di un troll o un vampiro. Un’avversione fotofobica che trova la sua unica ragione per il vermiglio pigmento che ne ricopre l’epidermide, chiamato porfirina, che tende a danneggiarsi non appena viene inibito dall’effetto della luce solare. Per un’insolita condizione chimica, che poteva appartenere solo a simili creature abissali, ulteriormente riconfermata dalla grande quantità di L-lattato deidrogenasi (LDH) all’interno del loro organismo, un’enzima incaricato di far funzionare il metabolismo nell’assenza pressoché totale di ossigeno. Una dote degna di essere chiamata niente meno che fondamentale, per riuscire a definire una creatura che potrebbe provenire da un’antica diaspora di mondi lontani…

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