Architettura biomimetica secondo Tssui, dall’occhio del tardigrado al serpente di Gibilterra

Può riuscire ciò che è straordinariamente piccolo, infinitesimale, a piantare un seme che risulti in grado di salvare il mondo? La risposta è si (dipende) quando usato come termine di paragone sopra cui fondare i potentissimi processi del pensiero umano. L’astrazione e il metodo creativo, la ricerca di un miglioramento, il tentativo di massimizzare la qualità della vita. Il che conduce sempre, prima o poi, all’ottimizzazione degli spazi abitabili e tutto ciò che essi contengono. Il mestiere dell’architetto. L’opera di Eugene Tssui. Americano di seconda generazione, con genitori provenienti dalla Cina, famoso nella cittadina di Berkeley nella Bay Area, non troppo lontano da San Francisco, per la particolare residenza che ha costruito nel 1993 proprio a vantaggio di questi ultimi: un pesce fantastico tra le villette a schiera, anche noto come Ojo del Sol (“Occhio del Sole”). Ma che nei progetti di riferimento egli aveva definito preferibilmente come la tardigrade house, dal nome del celebre microrganismo, simile ad un bruco con le zampe da orsacchiotto, capace di resistere a qualunque catastrofe esistenziale, inclusa l’espulsione nello spazio esterno. Modello dunque non troppo semplice a cui ispirarsi, particolarmente quando l’obiettivo è costruire un edificio a prova del futuro ed ipotetico Big One, il terremoto che si teme possa devastare un giorno l’intero versante costiero della California. Da qui l’idea di utilizzare materiali come il polistirolo rinforzato con cemento e sbarre d’acciaio, disposto e calibrato su una serie di archi intersecantisi, non del tutto diversi da quelli di un’ipotetica colonia marziana dei libri di fantascienza. Con grandi finestre circolari che ricordano degli occhi, in grado di massimizzare durevolezza e i meriti estetici inerenti. A patto di essere… Scevri dei preconcetti parte del senso comune ereditario. Una delle caratteristiche capaci di definire, forse più di qualsiasi altra, questo importante personaggio del design e della creatività, capace di “creare problemi” fin dall’epoca in cui venne espulso negli anni ’70 da ben due programmi di architettura, frequentati presso l’Università dell’Oregon e della Columbia. Celebre il caso in cui, presentando i suoi lavori durante una fiera studentesca, fece adirare i propri insegnanti al punto da richiederne la rimozione a priori. Poi ritrattata, a seguito delle proteste dei colleghi ed altri studenti, a patto che venissero disposti dei fogli bianchi al di sotto di ogni opera, perché chiunque potesse lasciarvi dei commenti. Che risultarono positivi in maniera di gran lunga preponderante. Storia della sua vita, d’altro canto, persino all’età attuale di 70 anni, quando i suoi sostenitori principali sono i giovani e coloro che guardano con ottime speranze al futuro. Un domani in cui l’opera dell’uomo e il mondo che la circonda non siano più divise da una barriera invalicabile. Bensì collegate in modo privilegiato, da un filo conduttore composto da forme organiche che fluiscono l’una nell’altra e soluzioni ispirate dal più grande Architetto esistente: colui/colei che guida e determina il processo dell’evoluzione. Così la sua proposta, ambiziosa fin quasi alla follia, per un ponte in grado di collegare la città marocchina di Tarifa alla costa meridionale della Spagna, rispondendo ai crismi di un progetto definito irrealizzabile fin dagli albori dell’Era moderna, risponde alla domanda inespressa ma fondamentale di “Come avrebbe potuto farlo la Natura stessa?” Ovvero: quanto sarebbero avvolgenti e quante scaglie avrebbero le sue spire…

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Le oltre 7.000 stanze tra le nubi per la colorata Monte Carlo della Malesia

Si tende normalmente ad assegnare gli stereotipi sulla base dell’esperienza pregressa. Così non percepiamo nulla di anormale nell’affermazione: “L’albergo più grande del mondo si trova a Las Vegas.” Peccato che assegnare un simile primato alle 7.115 stanze del Venetian sarebbe stato si, corretto tra il 2006 e il 2015, come conseguenza di una corsa agli armamenti che ricorda vagamente quella per l’altezza dei grattacieli. Con la singolare differenza che nel caso di strutture ricettive vaste, ma non eccezionalmente elevate, risulta sempre possibile procedere in un secondo momento all’ampliamento strutturale così come fatto nel deserto del Nevada, aggiungendo ali, piani e addirittura interi edifici. Il che ha permesso ad uno storico rivale da quel particolare punto di vista di riemergere e riuscire ad elevarsi, nuovamente, sulla vetta di una delle istituzioni turistiche più eccezionali dell’intero ambiente globale. Nonché le meno conosciute, almeno fuori dal suo particolare contesto nell’Estremo Oriente, di nuovo a causa dei rigidi ruoli indissolubili dalle assodate percezioni del senso comune. Ed in effetti non molti dalle nostre parti, immagino, avranno sentito parlare dell’altopiano di Genting. Ed il suo albergo più importante, il First World Hotel & Plaza nato con l’esplicita intenzione di superare in ampiezza le strutture comparabili al momento della sua originale inaugurazione: quando contava all’apertura nel 2001 “soltanto” 6.118 stanze, prima della ristrutturazione intercorsa 14 anni dopo, che l’avrebbe portato all’attuale record assoluto di 7.351 ospitate dietro le caratteristiche mura del complesso, decorate da una pletora di strisce multicolore. Che potrà mai essere superato? Che nessuno vorrà mai riuscire, effettivamente, a superare? Poiché la domanda lecita a questo particolare punto tende a diventare cosa ci sia, esattamente, ai 1.800 metri del Monte Ulu Kali nella catena Titiwangsa, situato ad appena una cinquantina di chilometri a nord della capitale Kuala Lumpur, per poter riuscire ad attirare tali quantità di persone. Un casinò: risposta che di nuovo, potrebbe sorprendere considerato come ci troviamo in uno dei più importanti paesi a maggioranza musulmana dell’Asia Orientale, per questo soggetto al divieto categorico del gioco d’azzardo ed ogni attività connessa alla commercializzazione delle scommesse. Ovunque, ma non qui… Campeggiano in effetti numerosi cartelli, all’ingresso degli edifici limitrofi e molti dei recessi maggiormente popolari del tentacolare resort montano, ove si riporta il divieto categorico d’ingresso ai devoti della religione islamica. Unica concessione richiesta, al famoso fondatore di questa città eminente, dall’allora Primo Ministro Malese, Tunku Abdul Rahman, nell’idea di creare un sito per questo tipo di attività indiscutibilmente haram che potesse risultare responsabile dal punto di vista della morale pubblica di quel paese. Il che ha fatto dell’altopiano di Genting da molti punti di vista una sorta d’enclave, e di colui che seppe porne le basi l’eroe di molti, anche e soprattutto considerata la sua provenienza da un contesto limitrofo, la Cina. Sto parlando dell’uomo d’affari Lim Goh Tong e la travagliata vicenda della sua complessa vita…

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La storia vera della banca che fu costruita coi mattoni consegnati all’ufficio postale

In ogni articolato frangente dell’esperienza umana, riverbera l’imprescindibile commento: il diavolo risiede nei dettagli. O in altri termini, il demonio è colui che andando contro il senso comune, si occupa di localizzare, evidenziare e risolvere i dettagli. Piccoli o grandi problemi, capaci d’inficiare la realizzazione di ottimi propositi o magistrali aspettative. Il succo, dopo tutto, era questo: per William Horace Colthorp, fondatore e futuro direttore della prima filiale della Vernal Bank, nell’omonima cittadina in una valle del remoto Utah, il costo di costruzione del saliente edificio risultava TROPPO elevato. Durante la fatidica estate del 1916, la compagnia fornitrice della Salt Lake Pressed Brick Company aveva fissato una tariffa di consegna dei circa 15.000 mattoni da impiegare per l’esterno del palazzo ad una cifra capace di raddoppiare, persino triplicare la cifra investita nel loro acquisto. Questo perché Vernal, distante dalla ferrovia, richiedeva al fine di raggiungerla un sinuoso tragitto di tornanti tra picchi montani, capace di mettere in difficoltà e usurare la maggior parte degli automezzi utilizzati allo scopo. C’erano a questo punto, soltanto due possibilità: utilizzare dei mattoni meno resistenti e piacevoli allo sguardo, acquistati presso una piccola fabbrica locale; oppure, adattarsi, improvvisare, superare l’ostacolo. Allorché Colthorp, da scaltro uomo d’affari quale doveva necessariamente essere, collegò i puntini di un’utile risvolto logistico del gennaio di tre anni prima. Quando l’USPS (Servizio Postale Statunitense) aveva lanciato, con grande fanfara della stampa e il passaparola del proprio bacino d’utenza, il nuovo servizio, del Parcel Post, offrendo l’opportunità di spedire, pressoché ovunque in uno degli allora 48 stati, pacchi del peso unitario di 5 Kg, aumentati a 20 entro agosto del 1913 e addirittura 30 l’anno successivo, salvo una permissiva qualifica di carichi giudicati “Eccessivamente pesanti o inusuali”. Una mossa compiuta con il fine d’incentivare il commercio a distanza ma che si sarebbe rivelata gesto salvifico nei confronti di tutte quelle comunità, come Vernal, che risultavano condizionate da collocazioni remote o impossibilità ad accedere ai servizi di approvvigionamento convenzionali. Si rivela a tal proposito come la ridente cittadina oggi composta da 10.000 abitanti stesse per l’appunto sperimentando in quegli anni un boom edilizio senza precedenti, facendo affidamento sugli instancabili postini per ricevere direttamente presso i suoi cantieri utili materie prime, quali chiodi, cemento, intonaco e pietre di volta. Ma nessuno aveva mai pensato di agire fino ad allora su una scala paragonabile a quella che si stava profilando nel frangete. E nessuno avrebbe mai potuto farlo in seguito, per la maniera in cui le regole sarebbero state cambiate proprio in funzione di quanto stava per accadere. Colthorp prese infatti accordi con la fabbrica, per incartare ciascun singolo mattone e posizionarli in gruppi di dieci all’interno di pratiche scatole di legno. Per un peso di ciascun contenitore leggermente inferiore ai 30 Kg consentiti, ed un prezzo di consegna calcolato per singolo oggetto pari a 7 centesimi, perfettamente abbordabile considerata l’importanza del progetto finale. Ciò che venne dopo, si sarebbe rivelato salvifico, ma anche condizionato da svariate connotazioni obliquamente definibili come “infernali”…

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Londra in legno: la mini cattedrale che mostrò l’aspetto di un’alternativa St. Paul

Il saggio architetto, l’uomo colto, lo studioso delle stelle e della filosofia naturale osservò il suo Re mentre faceva ingresso nel salone del Collegio Invisibile, posizionato per estendersi oltre l’atrio principale della Barnard’s Inn presso il quartiere Holborn, a Londra. Poco più che trentenne, l’allegro monarca Carlo II sembrava intenzionato a fare onore al proprio soprannome, mentre salutava personaggi del calibro di John Locke, John Evelin, Robert Boyle. E il temporaneamente tranquillo Isaac Newton, il giovane matematico pieno d’idee quanto privo di capacità di scendere a compromessi con i suoi pari. Ma Christopher Wren, in quel momento, non era intenzionato a dare spazio alle antipatie e rivalità dei suoi colleghi cultori della nuova Scienza: dopo tutto, quello era il momento del suo trionfo. La sua intera reputazione presso la corte, la quasi interezza di questi ultimi mesi del 1673 e circa 500 sterline, l’equivalente del valore di una residenza di medie dimensioni, erano stati scommesse sulla reazione di un uomo all’oggetto nascosto sotto il telo nero al centro di questo vasto ambiente. Con un sorriso, fece un passo avanti. Quindi s’inchinò a Sua Maestà: “Siate il benvenuto, sire. Quando volete, possiamo procedere alla presentazione.” Il sovrano esule, rientrato in patria successivamente alla reggenza di Oliver Cromwell degenerata soltanto tre anni prima in una controrivoluzione, sembrava molto soddisfatto delle circostanze. Finalmente avrebbe restituito al popolo qualcosa d’importante, l’edificio che nel 1666, anno dell’Apocalisse, il grande incendio aveva bruciato fino alle fondamenta; una grande cattedrale, il seggio del vescovo di Londra; il simbolo della rinascita e di una nuova epoca per la brava gente che aveva acclamato il suo ritorno. Una cupola magnifica: “Allora scopriamola, esimio architetto. Mostrateci il frutto dei vostri disegni!” Con un gesto magniloquente, Wren indicò al suo assistente di tirare una corda. E davanti al pubblico assiepato presso le alte mura di quel prestigioso ambiente, calò improvvisamente il silenzio. Non tutti, prima di allora, avevano già visto la nuova St. Paul. La chiesa imponente, dall’alta cupola sormontata dalla torre a lanterna, le navate dalla pianta greca ornate di colonne che ricordavano il Partenone greco era lì, davanti a loro. Alta 4 metri e lunga 6, realizzata in solido legno di quercia. Altri celebri edifici venivano evocati dal suo aspetto, per lo più appartenenti alla città di Roma: San Pietro e il Pantheon… Ma qualcosa nel progetto così straordinariamente messo in mostra, parlava di un tipo di razionalismo radicale quanto poteva dimostrarsi attraente, la straordinaria simmetria e la matematica di proporzioni studiate eccezionalmente a fondo. Così messe in mostra, grazie all’aiuto di abili artigiani, con la specifica intenzione di stupire colui che, più di ogni altro, si era dimostrato fino a quel momento il principale sostenitore di Wren. Dopo una breve spiegazione, dunque, l’architetto spiegò al Re d’Inghilterra che qualora lo avesse desiderato, avrebbe potuto “fare il proprio ingresso” nella chiesa in scala 1:25. Carlo dopo essersi inchinato in un’ironica dimostrazione di entusiasmo, sollevò le lunghe vesti e oltrepassò la grande porta. Ora si trovava, in tutto e per tutto, dentro ciò che ancora non svettava sopra la città di Londra. Eppure già sembrava, in tutto e per tutto, esistente: magistrali decorazioni e colonnati erano stati scolpiti nel gesso. Ogni dettaglio di queste navate, dei soffitti a volta, la proporzione degli spazi poteva già essere apprezzata nella più totale perfezione. “Che ne dite, mio signore?” Chiese l’autore di tutto questo. Il Re si voltò allora nella direzione da cui era venuto: incorniciato nel grande portone, dall’interno, vide il volto riccioluto del Grande Architetto in persona, sorridente e speranzoso al tempo stesso. Così trasformato in un gigante tra gli uomini, alto quanto le colonne della sua principale creazione. In quel momento, Carlo II seppe di aver scelto il suo costruttore. E fu istantaneamente convinto che i cittadini e membri del clero, nella loro interezza, avessero scelto con lui.

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