La nuova prospettiva di chi vorrebbe costruire un anfiteatro volante

Come fa una startup ad ottenere un finanziamento da 245 milioni di dollari dall’aviazione statunitense? Riuscendo diventare nel giro di soli tre anni uno dei player degni di menzione all’interno del settore straordinariamente esclusivo, nonché iper-concorrenziale, delle aziende che progettano aeroplani di linea. E non solo. Tre sono in effetti le possibili modalità d’impiego del velivolo attualmente denominato JetZero, forse con riferimento all’ideale “anno zero” di un radicale cambiamento nel modo di costruire l’ideale mezzo volante: trasporto di passeggeri, cargo e cisterna volante. Tutte mansioni entro cui uno dei fattori principali risulta essere l’autonomia o consumo di carburante, ragion per cui le due figure chiave dell’azienda fondata a Long Beach, California, il CEO Tom O’Leary ed il CTO Mark Page, vanno predicando ormai da tempo la maniera in cui sussista un significativo margine di miglioramento. Lo stesso già esplorato, a suo tempo, dalla Boeing ed Airbus, nonché soprattutto la NASA, benché nessuno dei tre giganti, dopo le prime prove tecnologiche, sembrerebbe aver deciso di portare il progetto a coronamento. Per varie ragioni e spunti d’analisi condivisibili, il che ha lasciato d’altra parte il campo aperto nei confronti di eventuali nuove leve. Stiamo qui parlando, a tal proposito, di quello che potremmo definire come l’errore fondamentale del modo in cui la stragrande maggioranza degli aerei si presenti come un tubo di metallo centrale, la carlinga, fiancheggiato da un paio di ali flessibili e ingombranti. Una congiunzione imprescindibili di forme contrastanti, elementi geometrici saldati assieme con gran dispendio di peso, solidità strutturale ed economia degli spazi a disposizione. Laddove già diversi altri avevano individuato, nell’approccio funzionale del BWB – blended wing body (corpo alare misto) il sentiero possibile per veicolare la trasformazione inerente, spostando l’attenzione del mondo verso un “tipo” in cui il centro e i margini fluiscano naturalmente in una singola forma continuativa; armoniosa e aerodinamica, perfettamente calibrata allo scopo in quanto costruita con materiali compositi, più resistenti e leggeri. Pensate, per analogia del mondo animale, alle mante o razze in cui le pinne sono incorporate nel corpo centrale del pesce, permettendo ad esso di spostarsi con l’agilità e la grazia di un perfetto signore dei mari. E JetZero, fondamentalmente, è un qualcosa di simile oltre a costituire la perfetta via di mezzo tra un jet di tipo convenzionale ed una vera e propria flying wing (ala volante) sul modello dell’iconico bombardiere stealth americano, il B-2 Spirit. Configurazione che costituisce una sfida oltre che un’opportunità, come famosamente concluso dalla Boeing con il suo BWB, l’X-48 del 2007-2011 che sarebbe stato in grado di portare, una volta costruito a scala reale, una quantità di passeggeri tra i 450 e gli 800. Se non fosse bastato un rapido sondaggio tra i focus group usati dalla compagnia, per rendersi conto di come nessuno in pratica, avendo l’opportunità di scelta, avrebbe voluto decollare a bordo di una simile bestia rara. Il che ci riporta con i piedi sulla terra ed alla cognizione, sempre valida, del perché l’aviazione civile costituisca un campo straordinariamente conservatore ed ogni prodotto destinato a dominarla, a ben vedere, scelga di sembrare esattamente identico ai suoi predecessori…

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Cento ruote per l’arrivo pre-determinato del più lungo ponte aeroportuale al mondo

Un attimo, una pausa, un refolo di vento. L’imponente pachiderma aerodinamico che sfila, lentamente. Visto da una prospettiva inusuale: le ali si dipanano come triangoli gettando l’ombra in posizione perpendicolare. Ma nessuno, qui, riesce a vederla. Perché siamo tutti sopra, là dove la coda si eleva fino a raggiungere la suola delle nostre scarpe. Separate, come singola barriera, da uno strato spesso e trasparente. Come avrebbero potuto mai resistere, alla tentazione d’includere una tale caratteristica? In una struttura simile, dalla funzione estremamente pratica. Il cui valore aggiunto è pura e non adulterata spettacolarità a vantaggio di coloro che si trovano ad attraversarlo ogni giorno. Tutti i ponti, d’altra parte, sono panoramici. E lo Sky Bridge dell’Aeroporto Internazionale di Hong Kong riesce ad esserlo in maniera altamente caratteristica, proprio per il “corso” che si trova ad attraversare. Niente meno che la taxiway, o sentiero di rullaggio, parallela ad una delle piste principali di quel complesso. Di per se un luogo e trionfo dell’ingegneria globale da innumerevoli punti di vista, cui a partire dal novembre del 2022 si è aggiunto per l’appunto il record titolare dai notevoli 200 metri, la cui edificazione ebbe a dipanarsi sulla base di linee guida profondamente diverse dalle aspettative comuni. Avendo dato l’essenziale priorità a quel tipico e saliente approccio degli interventi di costruzione aeroportuali: velocizzare, intervenire trasversalmente, dare continuità al servizio di decollo ed atterraggio per gli aerei destinati alla regione amministrativa speciale ed ex-colonia britannica, luogo di approdo delle navi provenienti dalla Vecchia Europa. Che potranno anche essere state affiancate nel loro servizio dai veloci e potenti velivoli dei cieli, tra cui l’abnorme vettore passeggeri Airbus “Super-Jumbo” A380, ma con aumento esponenziale della gente interessata a giungere o lasciare i presenti lidi. Così da richiedere la costruzione, nel 2007, di un ulteriore terminal “satellitare” dedicato ai jet di linea più piccoli, capaci di trasportare un massimo di cento persone alla volta. Eppure la zona di transito intermedia rimaneva condivisa. E come permettere, dunque, alla gente di raggiungere l’alternativo luogo d’imbarco, senza prendere ogni volta una navetta? E senza dover aspettare per attraversare il passaggio di questo o quel bolide impegnato a raggiungere l’invitante punto d’ingresso dei cieli? C’erano diverse possibili metodologie d’approccio alla questione, ma il direttore tecnologico Ricky Leung assieme alla sua commissione ingegneristica si ritrovarono a scegliere questa: l’investimento di almeno un quarto degli 8 miliardi stanziati per l’ampliamento dei servizi e infrastrutture nella costruzione di un punto di passaggio svettante. Il minimo che fosse abbastanza, in modo tale da permettere la soluzione ed accantonamento del saliente problema…

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AA Minotauro cercasi, per cerchio labirintico che ha fermato il cantiere dell’aeroporto

Il sommo Zeus nella propria gioventù divina presentava un’immagine sensibilmente diversa da quella a cui siamo il più delle volte avvezzi. Nessuna lunga barba bianca, niente fulmine lampeggiante stretto nella mano destra, e soltanto un mero accenno dell’infinita tracotanza e hubris di una personalità ormai compromessa dal potere senza limiti di vita e morte su ogni essere, compresi gli immortali dell’Olimpo superno. Ciò detto, non gli erano del tutto estranei gesti di assoluta magniloquenza e miracoli di vario tipo, come quando liberatosi dalla minaccia di essere fagocitato dal padre cannibale, decise di cercare sua madre Era per manifestargli opportuna riconoscenza. Ed affacciandosi dalla più alta rupe, alzò entrambe le braccia, inviando in direzioni contrapposte altrettante aquile reali, specialmente addestrate e condizionate a compiere il suo volere. Narra dunque una leggenda che i maestosi volatili, avendo compiuto individualmente un mezzo giro del pianeta, avessero finito per incontrarsi agli esatti antipodi della sua posizione (già: contrariamente allo stereotipo, i Greci erano perfettamente a conoscenza delle forma sferoidale di questo corpo celeste). Ed ivi Zeus, discendendo dal suo carro magico, avesse decretato che fosse costruito un santuario dalla forma circolare, il quale venne definito dai mortali dei secoli a venire con il nome di Omphàlio Pedìo ovvero, l’ombelico della Terra.
Ecco, dunque, il problema: giacché forse l’avrete notato, gli ombelichi hanno una forma tondeggiante. E l’architettura del Mondo Antico, in modo particolare quella dell’Attica e del Peloponneso, non era certo avvezza a costruire strutture dalla pianta tanto problematica, considerate le problematiche di lavorare senza i mezzi tecnologici ed ingegneristici dei loro successori, anche spostandoci in avanti soltanto fino all’epoca dei Romani. Con appena un paio di esempi connotati da siffatta forma, nel famoso edificio ellittico di Hamaizius e il palazzo ciclopico proto-ellenico di Tirinto. Immaginate dunque la sorpresa, e l’iniziale senso di smarrimento, vissuto all’inizio di questo giugno dagli operai incaricati di gestire la costruzione del nuovo aeroporto militare dell’isola di Creta, il Kasteli LGTL, quando gli scavi per la costruzione della torre radar sopra la collina di Papoura iniziarono a rivelare la circonferenza di qualcosa di misteriosamente configurato attorno ai 1.800 mq d’estensione, ma altrettanto innegabilmente, antico più di qualsiasi altra cosa avessero incontrato nel pregresso svolgimento delle proprie mansioni. Fatta eccezione forse per l’ultimo anno e mezzo di tribolazioni presso gli immediati dintorni di Heraklion, durante cui è stato portato alla luce un gran totale di 25 siti archeologici di varia natura ed importanza, richiedendo ogni singola volta il coinvolgimento delle autorità ed il ministero della cultura, onde procedere alla messa in sicurezza o rimozione dei manufatti. Ma come comportarsi quando la natura ed estensione del ritrovamento esula, come in questo caso, dall’opportunità di catalogazione e rimozione tramite l’impiego di metodi ampiamente collaudati da queste parti?

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L’elevata prospettiva liquida degli addetti allo sghiacciamento aeroportuale

L’uomo nella cabina sopraelevata impugna la coppia di joystick con entrambe le mani, mentre al di là del vetro parzialmente appannato infuria e biancheggia la tormenta peggiore degli ultimi quattro mesi. Indefesso ed instancabile, il lungo collo del veicolo ai suoi comandi si piega ed avvicina all’oggetto che costituisce il nesso inconfondibile della questione, già pieno di passeggeri e bagagli: il grosso Airbus A330, posto diagonalmente nello spazio di parcheggio dell’aeroporto sul finire della gelida serata. Raggiunta l’estremità ideale dell’arco disegnato nella propria mente, l’addetto preme quindi il rigido grilletto alla sua destra fino al primo dei tre scatti designati, lasciando che un getto ad alta pressione fuoriesca dal bocchettone posto al centro della sua inquadratura. Lentamente, il jet di linea inizia a tingersi di un aggressivo color verde smeraldo…
Aspetto cruciale nella progettazione di qualsiasi velivolo più pesante dell’aria è il rapporto tra resistenza dell’aria e portanza, ovvero la capacità da parte delle ali di veicolare l’atmosfera in modo tale da costituire il cuscinetto invisibile che allontana il mezzo, e tutto il resto del suo contenuto, dal rigido suolo che impieghiamo normalmente per camminare. Il che significa, volendo avvicinarsi al nocciolo della questione, che i margini di tolleranza nella progettazione di questo tipo di apparecchi, intesi come rapporto tra peso e potenza, ma anche la specifica geometria delle superfici di controllo, sono straordinariamente precisi ed ogni deviazione dall’idea dai canoni studiati a tavolino dagli addetti allo sviluppo può costituire non soltanto un ostacolo alla loro efficienza, bensì un letterale pericolo per chi si trova a bordo, nei dintorni o al di sotto del loro intero tragitto. Qual è il problema, dopo tutto? Non è che qualcosa di liquido o semi-denso possa cadere dal cielo, rimbalzando sopra la carlinga e il paio d’ali per ore o minuti, finché il rapido mutamento della sua materia costituente verso lo stato solido possa costituire una patina ruvidamente impenetrabile e saldamente attaccata al corpo di un oggetto metallico temporaneamente in attesa di decollare… Fatta eccezione per determinate latitudini, s’intende. Poiché fin dalla concezione del volo istituzionalizzato e commerciale, venne compreso come la precipitazione atmosferica tipicamente rappresentativa dell’inverno potesse costituire un problema da risolvere mediante l’utilizzo di approcci coerenti ed affidabili. Ovvero che potessero funzionare, per quanto possibile, sempre alla stessa maniera.
Un concetto più difficile a realizzarsi dal punto di vista pratico di quanto, idealmente, si possa essere inclini ad immaginare…

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