L’esperimento del vetro che scoppia all’improvviso

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Una goccia, uno spermatozoo trasparente, un girino o un lucente pezzettino. Vetro, fuso dal calore di una fiamma intensa, che cade rumorosamente nell’acqua, diventando così duro da resistere ai colpi di un martello: la chiamano lacrima del Principe Rupert di Baviera, esiste da quasi 400 anni e anche se non serve praticamente a nulla, costituisce una dimostrazione degna di nota, punto di passaggio verso l’acquisizione del moderno metodo sperimentale. Tonda e splendida, pare invulnerabile, finché qualcuno non gli stringe delicatamente la coda. A quel punto esplode, proiettando le sue schegge con una forza di 3000 metri al secondo (Mach 3). Potenzialmente pericolosa eppure ideale per fare degli scherzi, almeno a sentire alcuni resoconti dell’epoca. La vendevano, incredibilmente, come giocattolo per bambini. Chi l’ha resa popolare, del resto, non andava certo per il sottile. Rupert, il figlio più giovane dell’elettore del palatinato Federico V e di Elisabetta Stuart, regina di Boemia, aveva passato la vita fra i campi di battaglia e le flotte in guerra, prima di dedicarsi, negli ultimi anni che gli restavano, alla ricerca di una suprema verità. Riesce facile immaginarlo giovane comandante di cavalleria, durante la guerra civile inglese del 1642, mentre prima di un grave scontro ripassava in tenda il suo autore preferito, Sir Francis Bacon. Fra le sue mani, una copia stampata de La Nuova Atlantide, il romanzo utopistico che conteneva questo significativo brano: “Fine della nostra istituzione è la conoscenza delle cause e dei segreti movimenti delle cose per allargare i confini del potere umano verso la realizzazione di ogni possibile obiettivo.” Così parlava, in quel celebre testo, il rettore dell’università di Re Salomone, descrivendone le caratteristiche al gruppo di visitatori basìti che vi erano approdati per sbaglio, mentre cercavano le coste del Perù. E questo diventó, anni dopo, anche il credo della Royal Society of London, la più antica organizzazione scientifica in funzione ancora ai giorni nostri. Venne fondata nel 1660, da un ideale gruppo delle più straordinarie menti al servizio del primo sovrano d’Inghilterra dopo la restaurazione, Carlo II. Fra queste, inevitabilmente, figurava l’ormai vecchio condottiero, ex-ammiraglio, poi esule in Germania, bucaniere nei Caraibi e per qualche tempo anche governatore coloniale. Stanco e un po’ provato, trovò il suo sfogo nella scienza e nelle arti, guadagnandosi l’insigne titolo di “guerriero filosofico”. Era il prototipo dell’Alchimista di Stato….

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L’ascensore a moto perpetuo delle università inglesi

Paternoster

Andare in un posto significa sanzionare un certo dispendio di energia, sia questa muscolare, di un veicolo o altri dispositivi semoventi. Una volta giunti lì, guardando verso il punto di partenza, non si riesce più a capire cosa realmente ci ha portato a destinazione. Sono state le calorie spese dal nostro corpo? Il motore dell’automobile? O piuttosto dovremmo ringraziare la strada stessa, intesa come striscia d’asfalto, vettore percorribile dell’umano bisogno di essere altrove? Se gli agglomerati urbani davvero costituiscono nei fatti degli organismi artificiali, come teorizzato da certe correnti dell’architettura moderna, loro inevitabile prerogativa sarebbe un complesso sistema linfatico, fatto di vie, piazzette, varchi, semafori e passaggi sotterranei. Con uomini e donne, globuli rossi perennemente in cerca d’ossigeno, intenti a percorrerli verso delle destinazioni prestabilite, godendosi soltanto l’illusione del libero arbitrio. Uno stato ideale il quale, più che in ogni altro luogo, trova la sua realizzazione nelle trombe verticali dotate di un cabinato semovente. Diciamo che, al termine del suo quotidiano viaggio da pendolare, l’individuo/globulo abbia raggiunto l’edificio di un posto di lavoro, della scuola o dell’ufficio pubblico in cui aveva necessità di recarsi. La sua cellula elettiva. Con passo sicuro, si reca in direzione del dispositivo automatico di dislocazione verticale, l’ascensore. Preme un pulsante, la porta si apre obbediente, un ricco ventaglio di opportunità si presentano dinnanzi al suo sguardo, pieno d’aspettativa. Primo, secondo terzo piano…Il suo appuntamento è al sesto, valuta con attenzione e tramite un dito fermissimo esercita la sua scelta.
Mille persone, soltanto quest’oggi, hanno già fatto la stessa identica cosa. Ma lui si sente speciale, mentre la porta si chiude obbediente. Ancora una volta la fisica si è piegata alla volontà umana? Ebbene…Per una buona metà del secolo scorso in Europa, e soprattutto nei grandi edifici inglesi, c’era un modo diverso per salire e scendere a un piano. Il suo inventore l’aveva chiamato paternoster, perché gli aveva ricordato, nella forma e nel funzionamento, la collana del rosario. Non prendeva ordini da nessuno e non si fermava MAI.

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Come correvano i cannoni d’Inghilterra

Royal Field Gun Race

Il concetto della competizione sportiva come una fonte di pura soddisfazione intellettuale è un’invenzione piuttosto recente, che nasce dalle garanzie di un mondo benestante, industriale e moderno. Persino adesso, sui campi delle Olimpiadi estive e invernali, si respira un’aria tutt’altro che pacifica, con frecce volanti, fucili squillanti, giavellotti spiraleggianti ed altri implementi similari, che soltanto in tempi molto recenti hanno perso una buona parte delle loro connotazioni naturalmente guerrafondaie e deleterie, surclassati da nuove, più letali tecnologie. C’è però la tradizione secolare di uno sport praticato unicamente dalla Royal Navy, la marina militare inglese, in cui la preparazione atletica dei partecipanti trova la sua applicazione in un contesto ancor più strettamente legato alle guerre di oggi, proprio perché nato negli anni turbolenti di un’epoca, e una sfortunata regione geografica, che ancora risuona dell’eco dei colpi dell’artiglieria. Praticamente, quelli erano gli stessi cannoni che qui rivediamo, in un video del 1997, trasportati a spalla da due gruppi di soldati, nel tentativo di guadagnarsi l’ambìto premio di un modellino in bronzo, commemorazione di una delle battaglie più famose della storia britannica moderna. La statuetta in questione rappresentava una squadra di marinai al momento dello sbarco dalle navi HMS (Her Majesty’s Service) Terrible e Powerful sulle coste del Sudafrica, a 1500 Km circa da Città del Capo, nel 1899. Furono loro che, seguendo un ordine quasi impossibile dell’allora capitano Percy Scott, smontarono 6 potenti cannoni navali per portarli lungo un tragitto accidentato, oltre aspre colline e fin sulle mura di una città assediata. E salvarono la situazione.
L’episodio si svolse a Ladysmith, un importante centro abitato sito fra le due Repubbliche Indipendenti Boere, fondate dai pionieri e dagli agricoltori, detti afrikaner, che si erano imbarcati per cercare fortuna all’altro capo del mondo. Come ogni altro luogo remoto di quel particolare frangente storico, però, apparteneva, almeno in teoria, anche ad un’altra giurisdizione: quella dello sconfinato impero della regina Vittoria d’Inghilterra, fondato sulla certezza di uno stato di diritto imprescindibile e assoluto. La cui marina era talmente forte da poter cancellare il detto “Tra il dire e il fare…” Tranne che in un caso: quando in mezzo alle due cose, come a volte inevitabilmente capita, non c’era il mare, ma il suolo.

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Come nasce un leopardo dalla carta

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Il leopardo dei cieli è un animale dalla genesi particolare. Naohko Kojima, artista esperta nelle arti della carta giapponese, lo ha intagliato nel corso di cinque mesi di lavoro all’interno del suo laboratorio londinese, per poi sollevarlo in alto e mostrarlo al mondo intero. Appeso al soffitto di alcune prestigiose location in giro per l’Europa, tra cui palazzo Beffroi di Parigi e Villa d’Olmo a Como, la sua figura slanciata costituisce un privilegiato strumento divulgativo di questa tecnica per decorare, nata nell’antichità e reinterpretata dall’autrice con le modalità di una vera e propria forma di scultura moderna, dinamica e fantasiosa.
Il ritaglio della carta, detto Jianzhi (剪纸) ha origine in Cina, durante la dinastia degli Han Occidentali (206 a.C.–220 d.C.) ad opera dell’eunuco imperiale Cai Lun, colui che ebbe anche il merito d’introdurre a corte l’utilissimo materiale, destinato a diventare ben presto una fondamentale ricchezza di tutti i sapienti e gli studiosi. Non è effettivamente chiaro se, come affermato dalle sue biografie coéve, sia stato lui a inventarlo in prima persona, oppure se ne abbia mutuato l’idea dalla sapienza popolare, creando un qualcosa di nuovo soltanto agli occhi dell’isolata classe dirigente. Di sicuro, tuttavia, c’è il suo contributo allo splendore del palazzo della capitale Luoyang, alle origini di un tale mezzo espressivo d’eccezione. Oggi gli ornamenti di carta cinese trovano posto in prossimità di porte, finestre, colonne, archi e lanterne, donando colore e un vezzo artistico ad ogni tipo di ambiente. Secondo la leggenda, Cai Lun impastava la sua materia speciale a partire da una miscela di corteccia, vecchie reti da pesca e stracci di canapa. La ricetta è andata perduta; ciò che resta è il sentimento creativo. L’animale di Naohko, così favolosamente tridimensionale, rappresenta un ideale di creazione naturalistica basata sulla semplicità del suo principale elemento costituente, un semplice foglio di carta. Nonostante questo, sembra pronto a ghermire la sua preda.

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