Anima del lupo, del cielo e della tigre. Spirito del pappagallo, cuore di leone. Hua Tunan, al secolo Chen Yingjie, è il giovane artista noto per il suo metodo particolare di ritrarre uccelli, felini e i draghi tipici del suo paese. Considerato tra i più influenti illustratori delle nuove generazioni, nativo della città meridionale di Foshan, ha iniziato a farsi conoscere con una vasta serie di opere improvvise, create su pareti derelitte o prive di un qualsiasi fascino ulteriore, come da prassi operativa dei più rinomati creativi d’assalto, armati di bomboletta e mascherina, i cui regali al mondo raramente vengono notati prima che trascorra un tempo almeno medio. La situazione nel suo caso, tuttavia, è da sempre stata differente: innanzi tutto perché l’opera della sua mano, oltre a rifulgere dei lucidi colori del contemporaneo, si richiama per un filo diretto alla pittura cinese delle origini, la spontanea esecuzione di figure o tratti prettamente calligrafici finalizzata a un canone visuale ancora religiosamente ricordato. Poi perché sempre più spesso, soprattutto negli ultimi tempi, produce stampe limitate che guadagnano cifre considerevoli a seguito di mostre in galleria. Come un Banksy d’Asia, senza il carico di rilevanti considerazioni sulla società. Ma che differenza nell’approccio e dunque, anche nel risultato! Ciascun dipinto è una battaglia con i presupposti, piuttosto che il contesto. Non importa che si tratti di un semplice foglio, un alto muro oppure l’oggettistica dell’altro consumismo, quel momento in cui le grandi compagnie decidono di farsi belle stipendiando chi trae il merito dall’arte; quando lui lavora, tutti gli altri fanno un passo indietro e in senso prettamente letterale. Dev’essere la risultanza di un complesso e lungo studio, il suo incredibile modus operandi: colori, tinture, colori volanti, lanciati da ogni lato della figura di turno in modo apparentemente casuale, eppure valido a produrre esattamente quanto già pianificato. La tecnica è sostanzialmente quella tipica di chi lavora con l’aerografo, ovvero l’applicazione di una serie di strati successivi, di cui il primo definisce le aree a grandi linee, mentre l’ultimo traccia i contorni. Però ecco, nel caso di Hua Tunan, nulla è chiaramente definito fino all’ultimo momento, perché ciascuna macchia è frutto di uno schizzo pure parzialmente accidentale. Ed anche allora…
Guardate ad esempio quella tigre fiammeggiante che dipinge nel video di apertura, allineata con le sue creazioni del primo periodo, più dirette e forse anche spontanee: da princìpio, si presenta come una tempesta di volute sovrapposte, rosse, nere, bianche e gialle. L’aspetto complessivo è straordinariamente moderno, sul bilico della Pop Art eppure la composizione, nella sua approssimativa simmetria, pare richiamarsi alle figure di animali mitologici sui bronzi delle antiche dinastie. Tutti ricordano Taotie il volto della bestia, l’orco affamato del clan Jinyun vissuto al tempo leggendario dell’Imperatore Giallo (26 secoli prima di Cristo) che trasformato attraverso i passaggi successivi della storia dell’arte ha assunto una pletora di significati e diverse mostruose forme. La tigre e il dragone, la tartaruga e la fenice. Quattro bestie per altrettante direzioni cardinali e al centro lui, l’artista, momentaneo tramite tra l’oggi e il remotissimo domani.