Fotografando F-16 dal portellone di un aereo in volo

Aviation Photocrew

Nel recente video rilasciato dal gruppo belga degli Aviation PhotoCrew, ce n’è un po’ di ogni: dagli agili e aggressivi jet militari da combattimento, a imponenti bombardieri, aerei da trasporto e addirittura un paio di elicotteri, perché alla fine non ci si può lasciar condizionare dalla propria passione, primaria e totalizzante, per il volo ad ala fissa. Il breve ma intenso catalogo di successi, probabilmente uno dei più spettacolari e variegati segmenti sull’aviazione disponibili al momento su YouTube, costituisce un’imprevista finestra sull’opera creativa di chi ha il merito, e l’indubbia fortuna, di poter seguire un airshow dall’alto, finendo per inquadrare in primo piano addirittura i piloti stessi delle forze aeree dei paesi coinvolti, mentre intenti a dimostrare agli spettatori a terra le capacità prestazionali dei rispettivi volatili d’acciaio. È una sorta di bird watching, se vogliamo, ma condotto qualche giorno l’anno, in circostanze estremamente spettacolari, rare e quasi altrettanto dispendiose, sia dal punto di vista del carburante che più prettamente adrenalinico, inteso come forza d’animo e mancanza di vertigini dei produttori d’eccezione. Perché naturalmente, c’è solo un modo per testimoniare a pieno l’opera di chi fa un qualche cosa d’incredibile, ovvero mettersi direttamente in discussione, cercando di seguirlo fin lassù. E collateralmente ad una tale impresa, la squadra di otto persone formata nel 2009 da Eric Coeckelberghs detto “Mr Photoflight” possiede uno strumento estremamente degno di nota, ovvero un fiammante ed affidabile Short SC.7 Skyvan, un aereo occasionalmente definito, non senza un certo grado di affetto, la “scatola di scarpe volante”. E il perché di questa nomina, certamente prosaica se non proprio dissacrante, appare immediatamente chiaro alla prima scena del racconto, vista la forma squadrata del velivolo in questione, su cui salgono con entusiasmo i membri imprescindibili del team. Il celebre bimotore del resto, progettato e costruito a Belfast, in Irlanda, dalla Short Brothers a partire dal 1963, è diventato nelle ultime decadi una sorta di piccola leggenda nel suo settore, per la capacità di aprire completamente il proprio posteriore durante le operazioni di carico/scarico, dimostrandosi in grado di trasportare molte più merci di quanto si tenderebbe a pensare. Oppure, come in questo caso, offrire un palco d’eccezione durante il corso del proprio stesso volo, da cui fare conoscenza con i suoi lontani parenti alati, i veri e propri, costosissimi e meravigliosi, aviogetti ad uso esclusivamente militare.
Sia chiaro, ad ogni modo, che l’intera sequenza non è il seguito di un singolo decollo. Benché ci vada, in effetti, assai vicino. E questo in funzione dell’occasione visitata dai PhotoCrew durante il settembre del 2014, l’evento di volo dei Belgian Air Force Days, tenutosi presso la base di Kleine Brogel in occasione dei due anniversari dei 100 anni dell’aviazione militare ed i 40 trascorsi dal primo volo dell’intramontabile F-16, ancora oggi un antiquato caposaldo all’interno delle forze aeree di una buona parte del mondo. E non a caso, a rendere onore allo storico Fighting Falcon della General Dynamics ci pensano nel corso di appena due minuti almeno tre nazioni differenti incluso naturalmente l’ospite dell’intero evento, il Belgio, con la spettacolare livrea azzurra con figure geometriche del suo aeromobile denominato GEOX (dobbiamo desumere, per logica, che non fosse una mera sponsorizzazione del marchio d’abbigliamento) per di più impreziosito dall’immagine dipinta ad aerografo di quello che sembrerebbe essere uno Spitfire della seconda guerra mondiale, a cui comunque gli altri partecipanti non sono da meno: dalle strisce tigrate nere ed oro dell’aereo turco, identificabile dal grande falco in coda, al più sobrio ma comunque elegante caccia multiruolo inviato dai vicini Paesi Bassi. Ma le meraviglie, naturalmente, non finivano lì.

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L’eterna lotta degli inglesi con la segnaletica stradale

Terminal Communication

Tutti posseggono l’intelligenza e l’attenzione, la cautela, la capacità di concentrazione, lo spirito d’osservazione, il senso e la presenza di spirito necessari per mettersi al volante responsabilmente, e raggiungere la propria meta senza il sopraggiungere di eventi catastrofici o incidenti. O almeno, questo è ciò che deve ottimisticamente pensare l’ingegnere urbanistico, colui che sopra il tavolo progettuale, sia vero che virtuale, traccia la ragnatela di sottili linee e punti d’interesse, che nel tempo si trasformeranno in vie d’asfalto per i pendolari. Con la penna in una mano, il globo della scienza infusa dentro all’altra, che sfavilla d’incomparabile e profondo desiderio. Ciò perché, affinché si realizzi tale condizione di massima, occorre un equilibrio tra i due princìpi, della funzionalità e semplicità d’impiego. Che talvolta può essere difficile da mantenere. Che in altri momenti, particolarmente fortunati, si configurerà spontaneamente del profondo mare dell’occulto desiderio. E che in determinati casi, invece ahimé, lì resterà sommerso, fino al verificarsi delle condizioni più…Abissali.
Sulla carta, non sembrava tanto male, come idea: siamo presso il molo portuale del traghetto di Rosslare, che dalla sua sede presso la punta sud-est dell’isola d’Irlanda, si occupa dal 1906 di trasportare gli automobilisti fino all’antistante Inghilterra. Dove, a giudicare dalla soluzione adottata, c’era un piccolo problema di traffico all’imbarco. Perché naturalmente, nessuno sceglie d’implementare una cosa simile senza il più gravoso dei pretesti, che tante strade per l’Inferno lastricò, una buona, orribile intenzione. Sostanzialmente, una barriera. Incolpiamo, se davvero è il caso, la presente telecamera stradale, che come da sua prerogativa era stata utilizzata per creare un valido compendio degli altrui comportamenti in questa sede. Dunque sembra quasi di vederla, la figura professionale dell’addetto alla questione, uno studio effettuato sopra i nastri analizzati di parecchi mesi o settimane, che fiduciosamente postula: “Se la fila per il TERMINAL si forma sempre su due corsie, mentre le automobili che vanno sulle NAVI sono relativamente poche, allora di sicuro c’è un errore. Poco male. Tutto quello che devo fare, è…” Una follia? Un colpo di genio? Sarebbe troppo facile parlare, senza prendere atto dell’intera situazione. Il fatto è che al momento della pubblicazione del presente bizzarro video-documento (eravamo addirittura nel 2010) lo svincolo multi-corsia di Rosslare si era arricchito di uno spartitraffico divisorio, mirato a trasformare l’ultima delle corsie SHIP nella seconda per il TERMINAL, raddoppiando quindi lo spazio a disposizione per tale agognata meta. Il risultato…Beh, giudicatelo voi. Il fatto è che l’automobilista medio, quando si mette al volante, non è davvero cosciente di quanti dei suoi gesti siano frutto di un velocissimo processo di ragionamento, e quanti invece derivino dai meccanismi semi-automatici, frutto dei suoi (potenzialmente) molti anni d’esperienza. Portando a reazioni che, come avviene per l’istinto animalesco, non possono che basarsi su un catalogo di esperienze pregresse. Riassumibili nella presunzione secondo cui, se in terra c’è una freccia, quella è chiaramente latrice di un messaggio, che potrebbe riassumersi in: “Mio caro amico, passa di qui.” E non certo, “No! Stai attento alla barriera!” Ogni deviazione dalla norma è un potenziale pericolo, dunque? Possibile. Persino, probabile. Il fatto poi che le scritte siano tutt’altro che chiare, unito a un improvviso, apparente bisogno collettivo di accostarsi ed urinare, di certo non aiuta.
Ma è del resto proprio lì nelle isole di Gran Bretagna, che ormai da più di mezzo secolo si perpetra il mantenimento del problema collaterale, una soluzione tanto complessa e bizantina al problema del traffico che soltanto un amore sconfinato per la tradizione, unito ai lunghi anni di onorato servizio, potrebbero giustificarne l’esistenza continuata. Il suo nome è Rotatoria Magica, e come per ogni altra esistenza dotata di una tale apposizione fiabesca, la sua storia nasce da un’incomparabile leggenda.

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Le due armi più importanti della storia d’Inghilterra

Kevin Hicks

Vivere il respiro dell’antico è un gesto innato, perché tutto quello ciò che siamo, abbiamo e visitiamo nel corso della nostra stessa vita, non è altro che l’espressione di un’eredità investita, la risultanza del trapasso di chi c’era prima. Eppure, persino con un tale approccio alla questione, non è facile comprendere i diversi stati d’animo, il senso logico e la provenienza di quell’ampio ventaglio di genti che costruirono, popolarono e colonizzarono le terre di un paese, almeno senza mettersi, metaforicamente o ancor meglio nei fatti, all’interno delle loro scarpe ed abiti, soprabiti o armature. Kevin Hicks, l’ex soldato veterano e poliziotto inglese fondatore dell’associazione culturale The History Squad, si presenta come un vero specialista in questo. Come certamente appare allo spettatore, nel guardarlo, mentre è all’opera nell’utilizzo estremamente abile di quello strumento semplice e letale, che si costituisce unicamente di un lungo listello di legno di tasso ricavato dall’esterno della pianta, affinché la parte esterna della stessa avesse modo di esprimere tutta la sua innata flessibilità, mentre quella interna, la resistenza. Coadiuvato da un filo di lino, usato per…Sarebbe davvero attraente, adesso esattamente come allora, attribuire la responsabilità delle maggior svolte storiche del Regno (che tale era e poi così è rimasto) al forte braccio dei pochi ed alle loro armi leggendarie: Gáe Bolg, la lancia del mitico eroe d’Irlanda Cú Chulainn, ricavata dalla costola di un mostro marino. O Excalibur, strale d’acciaio meteoritico misticamente risorto dalle acque di un lago. Per non parlare della spada Durendal del paladino bretone Roland, forgiata dal fabbro Waylander a partire dai denti e dai capelli degli stessi santi della cristianità. Con fiero ciglio, ed alto petto, il corpo esposto per colpire pericolosamente il pieno volto del nemico! Ma che può fare dopo tutto, persino il più forte dei guerrieri, per proteggersi da un singolo contadino che scagli ne suo cuore un dardo di metallo, da egli gettato in mezzo al pieno flusso degli eventi? Nulla, tranne perire. Lasciando il passo all’incedere dell’implacabile modernità.
24 ottobre del 1415, nella regione del Nord-Passo di Calais. Il nuovo sovrano d’Inghilterra, salito sul trono all’età di 26 anni, decide che è giunto il momento d’imporre la parola fine sul terribile conflitto sanguinoso, più volte interrotto e poi ripreso, che find dall’epoca di Edoardo III (1312-1377) stava sconvolgendo le terre al confine con la Francia. La nome di quel re, Enrico V. La sua impresa più famosa, una vittoria militare che avrebbe permesso ai suoi uomini di controllare a lungo termine quell’intera regione peninsulare con affaccio sulla manica, per un tempo che si sarebbe esteso fino al 1558, ben dopo la fine dell’interminabile guerra dei cent’anni. Stiamo parlando di Azincourt, la sua battaglia, e soprattutto per inferenza, di quello stesso strumento per uccidere che Mr. Hicks stava impiegando, con classe e spirito divulgativo d’eccezione, impiegava per colpire dritto nel bersaglio posto nel cortile del castello di Bolsover. A quei tempi, in effetti, non era semplicemente possibile pensare che un esercito, per quanto dotato di abili ufficiali, potesse marciare in terra straniera senza la presenza del proprio fiero condottiero per volere divino, in cui veniva proiettata nella sua interezza la responsabilità politica, militare ed allegorica del regno. E fu così che Enrico, affidato il compito di governare al fratello Giovanni, Duca di Beford, era partito con 1500 vascelli per la Normandia, scegliendo di approdare in quel punto storico di tutte le invasioni dell’Europa continentale, presente, passata e futura, ovvero le coste nei dintorni di Le Havre. Verso la fine dell’estate, con i suoi circa 15.000 uomini aveva assediato e conquistato Harfleur, e per evitare un disastro logistico stava già iniziando a dirigersi verso il porto francese di Calais, da cui imbarcarsi per fare ritorno in Inghilterra. Se non che fu allora che dinnanzi a lui, nel bel mezzo del terreno fangoso della campagna di Piccardia presso la località di Azincourt, incontrò una grande armata al comando di Carlo I d’Albret, luogotenente diretto del corrente re dei Valois, Carlo VI. La cui unica missione era sbarrargli la strada, con tutta l’autorità offerta da 50.000 armigeri pesantemente armati, inclusi circa 4.000 temutissimi balestrieri genovesi, nonché lo stesso stendardo reale della mitica Oriflamme, un drappo che si diceva intriso del sangue di San Dionigi e sotto la cui egida, l’armata di Francia non aveva mai perso un confronto in campo aperto. Così la sua campagna apparve, d’un tratto, in bilico sul ciglio del disastro…

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L’unica ragione per salire sopra un faraglione

Cnoc na Mara

Eravamo ad un tal punto preoccupati per il Leprecauno, lo gnomo che abita nel punto in cui l’arcobaleno si smaterializza all’interno della pentola delle monete d’oro, da non renderci conto che ben altri esseri sovrannaturali deambulavano sui prati e presso i mari della verdeggiante Irlanda. Mostri ciclopici dalle fauci spropositate, in grado di prendere tra i denti acuminati interi tratti di costa, farli a pezzi e quindi risputarli, impossibilmente integri, ma a diversi metri di distanza dalla posizione precedente. I loro nomi: il vento, le onde, la pioggia. Esseri instancabili, dall’opera continua e senza posa. Con il risultato che, per ciascuna falesia a picco sul mare, e sia chiaro che ciò avviene soprattutto ma non solo nella regione settentrionale di Donegal del Cnoc na Mara, ancora oggi compare almeno una di queste rocce isolate, alte e frastagliate, dall’imponenza niente affatto indifferente e in grado di misurare, nel suo punto più alto, anche 100-130 metri. Come impronte di altre epoche. Come steli di un’antica religione. E di un culto che è anche moderno, in fin dei conti, ovvero quello di ammirare ciò che ha creato la natura, ed esclamare dal profondo del nostro stesso essere: “Voglio farne parte, in qualche modo entrare in questo flusso inarrestabile degli eoni, e lasciarmi trasportare in su dalla corrente!” Una vera Missione Impossibile, se mai ce n’era stata una, perché come potremmo noi bambini della Terra, che siamo piccoli e insignificanti, interagire con simili esseri di un’altra dimensione, in entrambi i sensi letterali, la cui esistenza sembrerebbe estendersi da un lato all’altro della ruota immane del Tempo.
La risposta è semplice, nonché scontata: se una cosa è lunga, la si percorre di gran lena, dall’uno lato all’altro lato contrapposto. Se è profonda, si consiglia d’immergervi le proprie mani per scoprire quello che contiene (lingotti, monete, gemme preziose o perché no, le infernali formiche rosse dello scherzo dello gnomo). E se invece si erge con possanza verso il cielo, tutto quello che ci resta da fare è disporre le simmetriche mani, l’una accanto all’altra e ben più in alto della testa, per poi stringere le dita e tirare, in alternanza, ancora e ancora, finché l’acqua vorticante non sparisca sotto i piedi, e con essa le preoccupazioni, la coscienza, addirittura i sentimenti. Affinché la mente, ormai priva di ogni distrazione, possa concentrarsi su di un’unico concetto ripetuto. Come facevano i filosofi del mondo antico, oppure i monaci buddhisti alla ricerca del Satori: “Non cadere, non cadere, non c-” E se non cadi, poi alla fine arrivi! Ed a quel punto chi può dire, quello che succederà?
Chi se non Iain Miller, ad esempio, la guida e scalatore professionista con base operativa a Dungloe, nella regione a prevalenza di lingua gaelica del Donegal, ma che si è dimostrato a più riprese pronto a spostarsi, per tutta l’isola natìa, alla ricerca delle più irripetibili ed evocative passeggiate, da consumarsi proprio sopra il ciglio estremo della costa. Per non dire ancora oltre, in prossimità delle propaggini più distaccate, i riconoscibili, imponenti faraglioni. Luoghi simili alle nostre rocce intinte nel Mediterraneo, come quelle celebri di Capri, o ancora, le Due Sorelle in Puglia, nel Salento, per non parlare della grande Concali su Terràinu, il “Pan di Zucchero” nella zona sud-occidentale della Sardegna. Ma non si può oggettivamente paragonare la quieta e ripetuta insistenza del Mediterraneo, un mare che fu nostro amico fin dall’epoca più remota, con la furia incalcolabile del vasto e freddo oceano nordico, che in queste regioni fa il bello o il brutto tempo con suprema, incalcolabile ferocia. Creando simili rocce in serie, come fossero il prodotto più richiesto di un catalogo dimenticato…

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