Il fato del rapace in estinzione collegato alle lumache clandestine delle Everglades

Per anni, secoli una situazione simile poteva essere scongiurata. Magari cambiando l’educazione della gente, imponendo regole all’esportazione di creature invasive. Prevenendo alla radice ed attrezzando le persone addette, affinché nell’estremità meridionale della Florida non comparisse il chiaro segno dell’inizio della fine: qualche migliaio di uova di colore rosa, esteriormente simili a caramelle, saldamente assicurate a un filo d’erba nella palude. Figli futuri di Pomacea, l’essere dotato sia di branchie che polmoni, una solida corazza, occhi attenti sulla cima di peduncoli divergenti. Una di quelle presenze, in altri termini, che non sembrano particolarmente forti, resistenti, scaltre eppure in qualche modo si sono trovate al vertice dei processi evolutivi, potendo conseguire il proprio successo imperituro non importa in che contesto ambientale, dentro quale circostanza difficile o transitoria. Ed è fondamentalmente un classico esempio di conseguenze non del tutto prevedibili, la maniera in cui questa lumaca tropicale, comunemente detta della mela (vers. isolana) ha spodestato la sua cugina endemica arrivando a popolare in grandi quantità le paludi del famoso Fiume Verde, una regione dalla biodiversità già nota e molti rari animali originari unicamente di queste parti. Uccelli come il Rostrhamus sociabilis plumbeus o nibbio chioccioliere delle Everglades, il tipo di carnivoro pesantemente associato ad una fonte di cibo e solamente quella, che come potrete ben immaginare corrisponde per l’appunto all’occupante tenero di quella chiocciola di carbonato calcio. Una barriera che non può essere facilmente superata ma che in questo caso diventa una mera ed insignificante formalità, dinnanzi allo strumento predatorio di un becco ricurvo, capace d’insinuarsi oltre la curva ed estrarre il dolce, dolce contenuto del tutto inerme di salvare se stesso. Per lo meno… La maggior parte delle volte. Questo per il modo in cui diversi studiosi a partire dalla metà degli anni 2010, tra cui Chris Cattau dell’Università della Florida, non hanno notato la maniera in cui le nuove lumache introdotte della specie P. maculata, considerevolmente più grandi, pesanti e in grado di raggiungere fino ai 15 cm di diametro, tendessero frequentemente a sfuggire dalla presa degli esemplari di nibbio giovani, causando in loro uno stato di malnutrizione e qualche volta progressivo deperimento. Un’influenza dunque assai negativa, per questa notevole specie aviaria già da tempo soggetta a una considerevole riduzione della propria popolazione complessiva, fino agli ormai soli 700 esemplari rimasti nell’intero territorio degli Stati Uniti. E questo anche senza considerare le già acclarate implicazioni problematiche di un’invasione di Pomacea, gasteropodi capaci di annientare letteralmente la biodiversità vegetale, fagocitando quantità notevoli di piante acquatiche e non solo, all’interno di un ecosistema già in bilico, per la sua parziale riconversione ai fini di piantare canna da zucchero ed altre coltivazioni intensive utili e redditizie nel mondo contemporaneo. Una tendenza, quest’ultima, decisamente difficile da compensare benché se non altro, nuovi dati raccolti e recentemente pubblicati dal collega professore Robert Fletcher, a capo del programma di monitoraggio del nibbio, sembrino chiarire una netta inversione di tendenza per il pennuto. Capace di dimostrare come non soltanto l’uomo, possa trasformare un difficile ostacolo in opportunità…

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Il vicario dal policromo mantello che sorveglia gli avvoltoi del Nuovo Mondo

Un detentore di supreme verità non è mai in anticipo, né in ritardo. Si potrebbe anzi affermare, parafrasando un’affermazione particolarmente nota, che egli giunga sempre perfettamente in orario. Ma un agente di siffatta qualifica, qualunque sia la sua cultura o religione di provenienza, costituisce soprattutto una speciale tipologia di messaggero; punto di collegamento che respira tra il mondo sovrannaturale e quello degli uomini. O come questo caso, degli uccelli. È d’altra parte il chiaro segnale che la festa ha ormai raggiunto il culmine, quando il Sarcoramphus papa, o “vescovo dal becco a uncino” fa la sua discesa tra le moltitudini affiatate dal nero piumaggio, intente già da tempo ad attaccare la carcassa dell’armadillo dipartito che si trova esanime tra l’erba del sottobosco. Con un tipo di successo che potremmo definire… Altalenante. Sarebbe un po’ come tentare, in altri termini, di smontare un’aragosta senza l’uso di coltello e forchetta. Questo tentativo, entusiastico ma inefficace, di scavare fino agli organi e i bocconi maggiormente succulenti, con il tipo di limitati strumenti a disposizione dei più tipici avvoltoi neri (Coragyps atratus) o avv. tacchino (Cathartes aura) ecologicamente interconnessi rappresentanti del gruppo dei saprofagi americani. Privi non soltanto delle vesti, ma anche della tagliente arma di quel becco e i muscoli opportuni per sfruttarlo, per scavare tra la carne con l’intento di un provetto minatore. Ed è proprio per questo, unitamente alla maggiore massa e pericolosità, che costoro a lui s’inchinano e lo lasciano passare. Un’aviaria forma di piumata reverenza, benché motivata dal bisogno di ottenere un qualche tipo di soddisfazione materiale immediata.
Cibo, cibo e ancora cibo, quello che proviene dalla morte spesso accidentale, ma comunque inevitabile di grossi mammiferi (preferibile) varie tipologie di rettili (accettabile) o uccelli dalle dimensioni e il peso inferiori (ci accontentiamo) rispetto a quello che comunemente viene definito l’avvoltoio reale, con un chiaro interscambio tra potere sacro e profano visto il termine latino papa nel suo nome, storicamente riferito in campo ecclesiastico alla figura del vescovo. Il cui ornato copricapo e sopravveste sembrerebbero richiamarsi, idealmente, a quel piumaggio bianco dai riflessi azzurri e con accenti scuri, sormontato da una testa di un acceso arancione così come il cascante caruncolo ed il becco, in un disegno straordinariamente riconoscibile e distintivo. Utilizzato, in base alle ipotesi più accreditate dai membri della specie per trovare i loro simili, con finalità d’accoppiamento. Ma che tanto fece per alzare questi uccelli fin sopra il piedistallo mitologico della cultura dei Maya, che ne usavano il glifo Cōzcacuāuhtli, facilmente riconoscibile come il sedicesimo giorno del mese tra le iscrizioni per tenere il proprio complesso calendario annuale. Mentre parlavano delle sue presunte scorribande, tra le corti di sovrani ormai dimenticati dal tempo…

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Le curiose piume del drago scoiattolo, che ancora insistono a chiamare succiacapre

Nelle foreste dell’India, della Cina e del Sud-Est Asiatico alberga un curioso uccello, il cui aspetto complessivo non parrebbe neppure riconducibile a quello di un pennuto secondo i crismi di riferimento acquisiti. Per la colorazione simile alla corteccia o foglie morte fatta eccezione per il bianco in corrispondenza della striscia attorno collo ed il petto, una chiara applicazione della legge di Thayler sul mimetismo, il folto piumaggio simile a una pelliccia e una caratteristica ancor più inaspettata: il possesso di un paio di quelle che parrebbero essere a tutti gli effetti delle orecchie triangolari, simili a quelle di un felino, piccolo carnivoro o l’esperto cercatore di provviste per il cavo del suo albero abitativo. Al punto che il paragone con un qualche tipo di strano scoiattolo, particolarmente per le foto in primo piano della testa del volatile, sono tra le più frequenti online a margine delle sue foto prive di didascalie, complice anche la punta di un becco particolarmente ridotto e incline a scomparire nella geometria espressiva del soggetto inquadrato. Un’altra illusione in una lunga serie, se vogliamo, vista l’effettiva appartenenza della creatura alla famiglia dei caprimulgidi o in lingua inglese frogmouths (bocca-di-rana) per l’eccezionale vastità della loro fauci in proporzione agli appena 30 cm di lunghezza, così da da tradire una natura prettamente predatoria, se non addirittura rapace. Tali falchi della notte dunque, caratterizzati da svariati tratti molto simili a quelli dei gufi, possiedono un notevole campione che può essere individuato nella specie dell’Estremo Oriente Lyncornis macrotis, alias succiacapre dalle grandi orecchie, il cui possesso delle lunghe piume adibite a “corna” o misteriosi “organi uditivi” (i veri padiglioni si trovano al di sotto), unite alla distintiva forma appiattita del resto della testa, tende a ricordare il piccolo mammifero di cui sopra ma anche la conformazione fantasiosa di particolari draghi tassonomicamente incerti, vedi il celebre Toothless della serie a cartoni animati Come addestrare un drago. Notevole, nevvero?
Al che potrebbe giungere la comprensibile domanda, in merito a quale sia, effettivamente, il collegamento di tutto questo alle capre: nessuna, nell’universo del mondo tangibile e apparente. Ma uno molto significativo, benché indiretto, nell’immaginario collettivo delle persone. Ovvero soprattutto i pastori e venditori di lana, che avendo a che fare con il più prossimo parente europeo dell’uccello, il caprimulgide comune o nightjar, notarono la spiccata inclinazione di quest’ultimo a frequentare i recinti e le stalle nelle ore notturne o vesperine, al fine di procacciarsi gli insetti di cui si nutre. Il che portò alla leggenda, largamente priva di basi, secondo cui una simile “creatura maligna” fosse solita prendere il latte di nascosto dai quadrupedi addomesticati, causando in loro l’inspiegabile malanno della cecità. Il tipo di superstizione che tende a rendere particolarmente malviste le creature naturali e che molto fortunatamente, non parrebbe avere nessun tipo di corrispondenza oltre i confini dell’Asia, ragion per cui queste creature restano tutt’ora relativamente comuni, nell’intero estendersi del loro vastissimo areale…

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Cuoco di montagna mostra l’attrazione sui rapaci della carne d’agnello azero

La prova che l’incontro inaspettato tra tecnologia e natura possa occasionalmente condurre a conseguenze positive può essere individuata in questo materiale, prodotto e raccolto sul suo canale dall’esperto preparatore di vivande Tavakkul, abitante del villaggio Qəmərvan tra i recessi più selvaggi dei rilievi dell’Azerbaigian. Selvaggi come il titolo della serie su Internet, Wilderness Cooking, con pubblicazione presso i principali portali social dei nostri giorni e una visibilità quantificabile sugli oltre 10, e qualche volta fino a 30 milioni di visualizzazioni per singolo video. Mi chiedo, in effetti, se non l’abbiate già visto anche voi, mentre opera con esperienza più che palese, nell’allestire campi base, assemblare rifugi, punti di cottura, rudimentali tavoli di tronchi legati tra di loro. Poco prima di procedere nell’approntare il presidio, mediante messa in opera di piatti a base di carne, a partire da quei princìpi generativi così distanti dall’esperienza odierna del cuoco di provenienza urbana. Che poi sarebbero la vera e propria carcassa d’animale, con zampe e tutto il resto, selezionato di volta in volta al fine di stupire l’occhio appassionato dei sui innumerevoli spettatori. E non solo. C’è davvero da sorprendersi, alla fin della faccenda, se una creatura alata di queste terre si è dovuta interessare ai conturbanti aromi sollevatisi nell’aere che gli appartiene? All’inizio di febbraio, il creativo culinario e videografico si è ritrovato il più incredibile degli ospiti durante la preparazione del suo pranzo. Un uccello dall’apertura alare di 3 metri, e circa 14 kg di peso…
La sommaria descrizione del video, formalmente dedicato alla preparazione sulla fiamma viva di un intero delizioso agnello, sezionato, arrotolato e racchiuso in un pratico strato protettivo di carta argentata, attribuisce all’imponente pennuto la qualifica alquanto generica di “aquila caucasica”, il che in effetti fa ben poco al fine di aiutarci a definirne la specie. Poiché un tale appellativo, dal punto di vista filologico e formale, appartiene soltanto al leggendario uccello gigante, figlio di Tifone ed Echidna, incaricato da Zeus di mangiare ogni giorno il fegato di Prometeo incatenato (per l’appunto) sopra il monte Caucaso. Il che parrebbe configurare come alternativa maggiormente prossima la tipica aquila delle steppe (A. nipalensis) se non fosse per un rapido confronto tra le scene registrate ed un catalogo dei principali rapaci della regione, tale da trovare in breve tempo una chiara corrispondenza nell’aspetto all’avvoltoio cinereo (Aegypius monachus) con la sua testa ricoperta di piume solamente nella parte superiore, le ali di colorazione uniforme e il grosso becco uncinato dalla punta nera. Non che l’autore, assai probabilmente, avesse alcun tipo di dubbio in merito, benché sia ragionevole pensare che abbia scelto di massimizzare la visibilità mediante l’utilizzo di una definizione maggiormente apprezzata dai motori di ricerca online. Così come sia del tutto lecito avanzare qualche dubbio sull’effettiva natura accidentale dell’incontro, vista l’evidente sicurezza con cui il volatile si appresta al rumoroso e potenzialmente pericoloso essere umano, accettando da lui i piccoli bocconi prelevati dalla carne e la verdura che sta preparando, senza mostrare il tipo di timore istintivamente posseduto dalla maggior parte degli animali selvatici. Benché, vada anche detto, l’attenzione mostrata dai costui nei suoi confronti, attento a non toccarne le piume direttamente per non lasciargli addosso strani odori, appaia quanto mai realistica nel dipanarsi di una simile circostanza…

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