La visione fluida che ha la scimmia della proprietà privata umana

Ponderosa e inarrestabile, la ruota dell’evoluzione avanza lungo la sua corsa alla ricerca della massima efficienza, intelligenza, completezza nello sfruttamento di ogni minima risorsa biologica nel metodo migliore. Automobili. Aeroplani. Astronavi: null’altro che la mutazione dei comuni presupposti dello spostamento, a più livelli, lungo spazio, cielo ed aria. Ma se un conto è la tecnologia, per la quale non abbiamo nulla da invidiare a chicchessia, ce n’è un’altro in cui noi umani avremmo spazio per formarci un opinione più completa. È la capacità di vivere il minuto, intensamente, capendone il significato sussistente. Ed è per questo, come dicevamo, che nasciamo dalla rotazione di una cosa tonda. Il che vuol dire, geometricamente, che talvolta siamo proprio noi, a ritrovarci messi sotto dalle circostanze. Non che questo sia per forza un disonore. Dopo tutto, è la più pura verità che i nostri ben più irsuti cuginetti, tutte queste scimmie, agili primati, gran gorilla, piccoli gibboni e così via, non sono in alcun modo meno “avanzati” di noi, provenendo dalla stessa interminabile sequela di epoche distanti, poi remote, infine prossime e contemporanea. Poiché quando si dice che noi discendiamo da costoro, non s’intende quelle che vediamo nei documentari. Bensì la PROTO-scimmia, colei che in solitudine magnifica, al giro ennesimo del succitato movimento, finì per evolvere la sua materia grigia, prima che i muscoli, o i riflessi, o la vista sopraffina. Così l’uomo è il prodotto di milioni di anni di ulteriori perfezionamenti. E così, pure, il macaco mangiatore di granchi dell’Indonesia (Macaca fascicularis). Che in effetti tutto mangia, tranne i granchi, poiché ormai da tempo si è adattato non soltanto alla natura, ma anche alle peggiori norme del moderno vivere incivile.
Fate un giro, se vi capita, nella foresta delle scimmie di Ubud, presso l’isola di Bali, dove altri 10.000 turisti mensili giungono teoricamente, allo scopo di osservare i santuari del Tri Hata Karana, disciplina che ha lo scopo d’insegnare la serenità nell’affrontare le più ardue peripezie del quotidiano. Ma che in effetti vengono, più che altro, per scoprire il più meraviglioso caravanserraglio di queste creature obese, eppure agili, malefiche nel loro agire, con l’acume più affilato della lama di un chakram indiano. Fate questo giro, dunque, ma mettete nella borsa occhiali da sole, cellulare, portafogli, macchina fotografica, PASSAPORTO e chi più ne ha, ne metta. Quindi stringete questo involucro con tutta la forza di cui disponete, poiché in effetti, è (quasi) esattamente così. Ma soprattutto, acquistate le banane che vendono all’ingresso, per darle in pasto alle feroci gang scimmiesche che vi scruteranno con cupidigia durante l’avanzata sul sentiero prefissato. Questi candidi macachi hanno infatti appreso, ormai da molti anni, che c’è un modo fantasticamente efficiente per avere ciò che vogliono dai turisti. Che poi sarebbe, rubargli le cose. Tutto quello su cui riescono a mettere le loro agili manine, incluso il contenuto delle tasche, gli accessori sulla testa e sul volto, collane, bracciali… Praticamente non c’è nulla che risulti essere del tutto al sicuro. Una volta compiuto il furto, quindi, la scimmia si rifugerà ad un distanza di sicurezza. Aspettando che la vittima, secondo quanto previsto dal piano, tiri fuori il suo cibo migliore. Inizia quindi una bizzarra pantomima, come una sorta di conflitto tra giganti, in cui la persona offre, in sequenza, tutto quello di cui dispone. Mentre la dispettosa creatura valuta, considera ed infine, approva. Ogni scimmia, naturalmente, ha il suo cibo preferito. E ad alcune non basterà neppure la banana, ben sapendo che dentro la borsa succitata, molto spesso, ci sono merendine, patatine, cioccolata. Ora, naturalmente dargliele sarebbe severamente proibito. Ma una volta che la scimmia ti ha rubato qualcosa, t’importerà ancora della sua salute? In fin dei conti recuperato l’oggetto in questione, per il quale l’animale non ha ovviamente alcun tipo d’impiego, ti resterà pur sempre la banana. Ed è proprio questo, in ultima analisi, il nesso fondamentale della questione…

Leggi tutto

Come trattare col camaleonte arrabbiato

Tra tutti gli animali domestici, considerando lati positivi e negativi, il più intrigante rettile arrampicatore, l’occhio che identifica il bersaglio con la lingua che colpisce. E poi… Chi non vorrebbe accarezzare un piccolo camaleonte? La sua schiena ruvida di spine, la cresta acuminata sulla testa e il muso graziosamente barbuto, simile alla bocca di un lanciafiamme. C’è un motivo se giravano simili voci, a proposito dei draghi… Purché via riesca, chiaramente, di trovarlo. Perché lui… Si mimetizza. Beh, più o meno. Diciamo che il più delle volte è una erronea convinzione popolare, portata avanti da diverse decadi di fiabe, cartoni animati e ogni possibile vie di mezzo tra le due cose. Benché esista una singola specie, il Bradypodion taeniabronchum che risulta effettivamente in grado di modificare la colorazione in base alla minaccia percepita in un dato momento, tra le due alternative: anti-uccello, oppure, anti-serpente. Ma non aspettatevi, neppure allora, la capacità d’interpretare l’ambiente di contesto e rendersi praticamente trasparente. Le lucertole non sono COSÌ intelligenti. E poi, basta guardare questo video dell’ahimé defunto Gringo, beniamino dell’erpetofilo ed utente youtubiano Alex Perez, per comprendere come la sua reazione in caso di ferocia scatenata sia notevolmente differente: attaccare, piuttosto che nascondersi, ed aprir la bocca rosa per mostrare i denti e far udire il sibilo mostruoso. “Pare di essere in Pacific Rim!” esclama l’esasperato, ma bonario proprietario, tentando in qualche modo di prenderlo in mano, avvicinare il dito, almeno dargli da mangiare o chi lo sa?! Se io avessi un simile vendicatore con la coda a spirale, nella gabbia che occupa il salotto, preferirei probabilmente interfacciarmi da lontano. Però a quel punto, l’animale, che cosa te lo sei comprato a fare?
Il problema in effetti non è solamente il come, ma anche e soprattutto il cosa. Perché Gringo in effetti, prima che soccombesse in tarda età per un malanno qualche tempo dopo questo video, era un Chamaeleo calyptratus  o C. Velato, originario della penisola araba e dello Yemen, piuttosto che il solito Madagascar. Trattasi di un animale molto diffuso nelle case degli appassionati, principalmente per la facilità nel farlo riprodurre e le condizioni di salute generalmente migliori, superando in questo persino il Chamaeleo chamaeleon dell’area del Mediterraneo, anch’esso molto famoso. Si, in parole povere, è il camaleonte più “facile” da tenere, ma di certo non il più “facile” da tenere in mano. Poiché a quanto si racconta online si tratterebbe, a dire poco, di un tremendo diavolo sempre pronto a usare i suoi dentini dolorosamente appuntiti. Riconoscibile dalla particolare altezza della cresta e le dimensioni in media tra i 43 ed i 61 cm con coda srotolata (35 la femmina) tutto quello che il Velato sembra voler fare nel corso della sua vita domestica è occupare un angolo della sua gabbia, aspettando il cibo e spaventando con la sua ferocia (o almeno questo pensa) l’invadente mano del suo padrone. Ma poiché uno di questi animali può raggiungere facilmente gli 8 anni di vita, nel corso del tempo non è impossibile che l’indesiderato umano finisca per voler trasformarsi in un amico, o qualcosa di simile, guadagnandosi finalmente la fiducia del piccolo piranha con le zampe a forma di pinza. Ed allora, in genere, sono dolori. La prassi apparentemente consigliata dagli esperti consiste nel fornire da mangiare al camaleonte direttamente dalle proprie mani, avvicinandole molto lentamente e permettendogli di vedere chiaramente cosa gli si sta porgendo: generalmente un grillo o uno scarafaggio vivi, acquistati appositamente allo scopo nel più vicino pet-store. Quindi, occorre restare perfettamente immobili per tutto il tempo necessario affinché il pasto venga consumato. E ripetere l’operazione per almeno due settimane. A quel punto, se si è sufficientemente fortunati, il cham dovrebbe essersi abituato alla vista del corpo estraneo a cinque dita, e dandogli modo di spostarsi autonomamente dovrebbe, prima o poi, salirci sopra. Ah, che meraviglia! Quale profondissimo senso d’invidia… Ora, posso esprimere un opinione? Forse approcciarsi direttamente all’altezza degli occhi del rettile, parlando a voce alta, non costituiva l’approccio migliore. Ma esiste anche l’esasperazione, o il desiderio comprensibile di realizzare un video divertente o due. Del resto, per chi preferisce un’approccio maggiormente sereno alla convivenza, esiste pur sempre l’alternativa della via più “facile” a disposizione…

Leggi tutto

Che farebbe Batman per un fidget spinner gigante?

Voglio dire, è un problema tipico di tutte le scuole. Ci sono insegnanti che sembrano adattarsi, in un primo momento, alle innovazioni che provengono dalla modernità. E permettono di utilizzare in classe tablet, laptop, penne con il riconoscimento calligrafico integrato. Poi qualcuno si porta la Playstation, e all’improvviso…Viene criticato. Assurdo! È impossibile pretendere di avere al mondo dei supereroi, se non gli si permette di far pratica nelle ore perse fra tre mura e una finestra, dinnanzi ad una cattedra mal messa. Se far roteare i pollici è un diritto, allora non vedo proprio perché dovrebbe essere proibito un blocco da 2 Kg e mezzo d’ottone, con i bordi frastagliati e la forma aerodinamica del pipistrello. Incredibile! Quell’arpia della prof. d’inglese me l’ha sequestrato. E adesso tiene nella borsa il mio fondamentale ausilio alla concentrazione roteante. Quando ci sono STUDI, sanciti da vere ISTITUZIONI sull’utilità di tenere occupate le mani mentre si libera il cervello per seguire la lezione. Eppure, di oggetti simili la storia della didattica è letteralmente colma! Si chiamano cappucci della penna, gomme da cancellare, temperamatite… E adesso, vorreste farmi credere che un fidget spinner merita minore considerazione? Soltanto perché è una cosa che si compra, come un “giocattolo”, ed ha un’aspetto più grazioso e in qualche modo divertente… Che male potrebbe mai esserci in tutto questo? E poi, qui si stanno facendo dei favoritismi. Non vedo perché proprio io, soltanto perché ce l’ho leggermente più grande. Quella gorgone è giunta scrivere sul mio diario “COSO vibra in aria il batarang.” Ah, ah, non credetegli. Lei affermerà che il dannato gingillo mi è sfuggito di mano. Per partire come un elicottero e piantarsi nel muro, scardinando l’interruttore della luce. Ma in verità vi dico, quella crepa già c’era. Se la compagna di classe ha gridato, mentre le volava il bianchetto ed andava a frantumarsi in una chiazza contro la lavagna, saranno chiaramente stati dei problemi solamente suoi. Io che non ho colpa, adesso non so più che cosa fare. E batto nervosamente il piede sotto il banco costellato di variopinti chewing-gums. Come, cosa, chi ha parlato?
Sarebbe certamente difficile confermare l’effettiva identità di PressTube, uno degli astri nascenti della nuova cultura dei makers/destroyers del Web, che consiste nel disporre in primo luogo di un’attrezzatissima officina, quindi usarla per fare cose folli sotto l’occhio appassionato della collettività. In questo, lui è un po’ come un cavaliere grigio-scuro, che perlustra Gotham City andando alla costante ricerca di guai. Mentre in effetti la scelta di questa particolare foggia per la sua ultima, riuscita creazione, non è altro che una risposta alle richieste del suo vasto pubblico, così come lo erano state le dozzine di altri loghi, forme e suggestive sagome impiegate in precedenza, con la finalità di dimostrare la maestria nella realizzazione di un processo che in effetti, ben pochi di noi hanno avuto modo di sperimentare in prima persona: la fusione fatta in casa di UN metallo. L’ottone, per essere più precisi, quello ricavato dallo squagliamento di copiose quantità di bossoli (a questo punto sarà chiaro che siamo in Freedom Country, U.S.A.) ricevuti in dono dal vicino poligono di tiro. Roba da mandare in visibilio il visitatore medio di YouTube, alla costante ricerca di quel fluido incomparabile che è l’intrattenimento di seconda mano. Acquisendo il merito necessario a sostituirsi, almeno in parte, a quell’attività che dava il nome al canale, sempre uguale e un po’ derivativa, di schiacciare cose con la pressa industriale. Perché cavalcare l’ultima fad è sempre in linea di principio, assai proficuo, e c’è della notevole soddisfazione, per una volta, nel produrre un qualche cosa di duraturo, invece di distruggere il lavoro d’altri. Così Anthany ha preso il fido pennarello nero Sharpie, e con una precisione che va parecchio oltre l’umano ha tracciato la figura del chirottero sopra il polistirolo. Quini, tra il silenzio collettivo che proviene dal profondo senso di stupore, ha acceso i fuochi dell’invenzione…

Leggi tutto

Cosa ci fanno 9 gatti in carrozzina a Tokyo?

Non è il numero di gatti, ma come li usi.  Tra la serie di concetti che fanno riferimento all’ultimo numerale composto da una sola cifra, poco prima del 10 che cambia ogni cosa, figura l’immagine di 9 code, a strisce, bianche, nere, focate… Per chi custodisce nel suo cuore un’indole innata tendente all’aggressività, stiamo parlando di un’arma, simile ad una frusta, con estensioni multiple mirate a ferire piuttosto che uccidere, causando dolore e sofferenza ai malvagi. Ma se si prendono i relativi cordoni, trasformandoli in altrettante estrusioni pelose, tutto ciò che resta è l’assembramento miagolante, placido e tranquillo, di un mucchio di amichevoli creature. Il cui unico scopo nella vita, secondo quanto determinato dal volere del loro padrone, è portare il proprio carico di gioia in mezzo alle genti del mondo. E permettere che tutti, ma proprio tutti, possano trarne uno spunto d’introspezione. Lui è il Kyūshū neko ojisan (九州猫おじさん) ovvero, nonnetto dei gatti del Kyushu, la più grande delle quattro isole maggiori che compongono il Giappone. Una figura originaria delle celebre galleria commerciale di Kagoshima, che tuttavia negli ultimi anni si è trasferito nella capitale del paese, per meglio promuovere e far conoscere il suo particolare stile di vita. E la missione che ha scelto di intraprendere, dall’epoca del suo pensionamento anticipato. La leggenda vuole che Masahiko Suga, ex-impiegato di 53 anni di una fabbrica di componenti elettronici, fosse stato separato dalla sua famiglia a causa di un trasferimento dovuto alla sua professione, quando scelse, per non trovarsi in solitudine, di circondarsi di amichetti felini appartenenti alle razze Chinchilla ed Himalayana. I quali, progressivamente, avrebbero poi trasformato la sua scala fondamentale dei valori. Fino al punto che oggi, interpretando una corrente di pensiero probabilmente del tutto nuova nel suo paese, non è giunto alla conclusione che l’apprezzamento collettivo per i gatti sia decisamente inferiore a quello di cui possono godere i cani. Generando un’intollerabile mancanza d’equilibrio, una sorta di “gattismo” ai danni della seconda specie più amata dall’uomo.
La sua soluzione al problema, dunque, risulta essere piuttosto originale: prendere tutta la sua adorabile famigliola e stiparla all’interno di un passeggino. Per trasformarsi in un’altro dei volti ricorrenti del quartiere Harajuku, dove hanno trovato i natali molte delle più insolite culture giovanili o correnti di moda che oggi influenzano il mondo. Secondo il resoconto di numerosi turisti, ma anche i video facilmente reperibili su YouTube (quelli realizzati dai suoi compatrioti, come al solito, devono trovarsi sul servizio nazionale NicoNico Douga) la forza del neko ojisan e il suo miagolante caravanserraglio è proprio questa estrema rilassatezza, che permette a chiunque di avvicinarsi e fare domande, toccare i gatti, accarezzarli. In Giappone, terra dove un’etica del lavoro particolarmente impegnativa non permette a molte persone di accudire un’animale domestico, la gente è disposta a pagare per passare del tempo in un cat café, un luogo in cui l’unica offerta particolare, oltre al cibo, è la presenza di una certa quantità di felini. L’incontro con quest’individuo che permette a tutti di interfacciarsi coi suoi beniamini, se pure per un fugace momento, sembra riscuotere un successo anche maggiore dei rockabilly che imitano Elvis nel parco di Shinjuku, le cupe Gothic Lolita o persino Mr Kobayashi, quel signore in età avanzata che si veste con l’uniforme scolastica alla marinara. Chi dovesse pensare, tuttavia, che si tratti di un’individuo che devia dalla morale comune e per questo attira l’attenzione, potrebbe aver commesso un errore d’interpretazione di fondo. Questo gattofilo è in realtà il prodotto di una cultura di massa che tende a considerare gli animali domestici come espressione fondamentale del bello, e talvolta, veri e propri sostituti per qualcosa di perduto, mai ritrovato e forse in effetti, neppure mai desiderato: la venuta di un figlio. Lo stesso veicolo a quattro ruote impiegato da costui, in effetti, proviene da un’intera classe di prodotti tutt’altro che povera di varianti ed astruse funzionalità…

Leggi tutto