Pedalando verso ulteriori destinazioni, il gesto ripetuto che prolunga il momento e definisce il senso finale dell’escursione; manubrio mantenuto perpendicolare al suolo, strada che scorre ai lati del campo visivo. Ed è allora che l’attrito al contatto del suolo, all’improvviso, diminuisce in maniera esponenziale. Cosa è successo? Entrambe le ruote si trovano perfettamente in linea, un po’ come se si trattasse di un binario, con la candida linea al centro del sottile nastro asfaltato. Vernice acrilica bianca, continua o tratteggiata, segnaletica orizzontale trasformata in canale privilegiato verso l’ottenimento di un sentiero dall’efficienza superiore. Ed è questo un po’ lo stesso concetto, dell’insolito strato geologico situato in prossimità della cittadina turistica di Sedona, contea di Coconino. Seguito dai suoi maggiori estimatori fino alle più estreme conseguenze. Che potrà un giorno anche includere, a seconda delle circostanze ipotetiche, la morte.
Siamo a Chicken Point (Il Punto del Pollo) una collina rocciosa di tipo butte, ragionevolmente simile a quelle che in Sardegna prendono il nome di “tacco”, non fosse per l’alta concentrazione mineralogica di ematite, il riconoscibile ossido polverizzato capace di tingere l’intera zona di un color rosso intenso simile alla ruggine del ferro. Fatta eccezione, s’intende, per l’eponima sezione del panorama indimenticabile, situata ad almeno 40 metri da terra e che partendo da una cornice relativamente accessibile gira tutto attorno al precipizio, in maniera analoga a quanto potrebbe fare un volontario segno di riconoscimento prodotto dalla mano umana. Effetto stratigrafico delle antiche maree in realtà, che un tempo caratterizzavano questi luoghi coperti da uno scomparso mare. E che oggi diventa pista d’atterraggio, o decollo che dir si voglia, per i sogni più sfrenati di un particolare tipo di amante della mountain bike. Persone come il coraggioso Michal Kollbek, che nel video di apertura ripreso via drone possiamo ammirare mentre spinge il suo veicolo velocipede fino al punto più distante prima che un simile passaggio si faccia eccessivamente scosceso. Quindi, mentre il pubblico maggiormente empatico trattiene spaventosamente il fiato, rivolge il manubrio direttamente verso le profondità del baratro, in una manovra delicata della durata di pochi istanti, che lo porta a discendere per circa 8 metri e come se niente fosse, voltarsi e tornare al punto di partenza. Nessun dubbio rimane in tali circostanze agli spettatori, che se soltanto avesse sbagliato leggermente i tempi, se un sassolino si fosse trovato in posizione inappropriata, se la pressione degli pneumatici avesse avuto un valore eccessivamente basso, se i freni non fossero stati in condizione ottimale… Questi avrebbero potuto essere gli ultimi secondi della sua esistenza. Ed è ciò il motivo per cui l’esatta posizione di Chicken Point, Google Earth permettendo, resta un segreto preferibilmente ben custodito dagli abitanti del posto. Anche se bastano poche decine di dollari per partecipare al tour geologico a bordo di riconoscibili Jeep color rosa fuchsia, occasionalmente ed accidentalmente completo di spettacolo adrenalinico gentilmente offerto dal ciclista privo di senso del pericolo o dubbi in merito alla sua preparazione tecnica pre-esistente.
Perché intendiamoci, l’effettiva manovra richiesta per fare ritorno integri dalla linea bianca non è in se particolarmente difficile, almeno dal punto di vista di praticanti ragionevolmente esperti. Con l’effettivo elemento limitante individuabile, più che altro, nella posta in gioco sottintesa da un eventuale errore. Frutto innegabile di una circostanza paesaggistica che, nel frattempo, meriterebbe almeno un breve approfondimento…
nordamerica
La capra non-capra, splendente fantasma delle Montagne Rocciose
È tutto ciò che abbiamo, dopo tutto: quando lo sguardo del puma si rivolge nella nostra direzione, quando l’aquila si staglia minacciosa contro il cielo, quando lupi, orsi o ghiottoni/volverine si avvicinano con fare minaccioso al gregge, sceso periodicamente a valle per cercare cibo o sali minerali dagli affioramenti invisibili del sottosuolo. Sto belando, chiaramente, della nostra forza muscolare, l’agilità frutto di un acuto perfezionamento e i geni ereditari di una qualità particolare. Noi che siamo, nella lingua dei latini (che mai vissero da queste parti) Oreamnos americanus, esseri cornuti, canuti e giustamente saggi, come può essere desunto facilmente dalla lunga ed appuntita barba. Per non parlare dell’aspetto evanescente, che ci rende vagamente simili a creature di cui parlano le antiche leggende. Quelle dei popoli Salish, la confederazione dei nativi che un tempo dominavano le vaste terre dalla Columbia Inglese in Canada, fino alla parte settentrionale della California, intessendo coperte ed abiti coi nostri bianchi peli, abbandonati quasi ovunque a seguito dell’essenziale muta primaverile. Un aspetto all’origine, allo stesso modo, di un importante fraintendimento da parte dei primi coloni provenienti dalla parte orientale del continente: che noi fossimo la stessa cosa di un distinto tipo d’animale, a loro noto in quanto mansueto abitatore domestico delle fattorie di pianura. O almeno questo è quello che ci ha raccontato, fin da quel momento in cui venimmo in contatto, la marmotta dal ventre giallo, unico altro mammifero di dimensioni significative che riesce a sopportare le gelide temperature, e gli agguerriti venti, di un ambiente remoto ed elevato come la nostra terra elettiva: “Capre, capre e capre chiamano costoro. Identici a voialtri nella forma eppur di multipli colori: nere, marroni e a macchie, addirittura. Con le corna di diverso aspetto e proporzioni…. ” E hai detto nulla, astuto roditore! Avremmo avuto modo di rispondergli, volendo. “Mai sentito nominare il concetto di convergenza evolutiva?” Il problema è che nel regno degli umani, perché un mezzo di ragionamento possa essere integrato nella conoscenza, occorrono molti anni di profonda introspezione ed approfondimento. Così prima che riconoscessero l’errore chiaro fin da subito, dal punto di vista delle dirette interessate, ci volle un tempo superiore all’inserimento dell’errato nome nelle cognizioni collettive della gente. E “capra di montagna” diventammo. Pur essendo membri di una discendenza parallela eppur fondamentalmente distinta. Così tramandata, dalle sacre pergamene cognitive dell’antico clan, benché nessuna di noi sappia associare un effettivo volto ai rilevanti nomi: “Oreamnos (letteralmente: agnello di montagna) nasce dalla stessa linea di sangue delle “capre” takin e tahr Himalayane, essendosi differenziato dall’antenato comune a tali popolazioni solamente tra i 7,5 e gli 8 milioni di anni fa.” Quando i ghiacci che facevano da ponte tra i distinti continenti, a causa di un processo geo-climatico che prosegue tutt’ora, lasciarono spazio all’invalicabile e splendente oceano. Che talvolta ancora riusciamo a scorgere, mentre i nostri sguardi seguono la direzione del tramonto dalla cima degli alti picchi montani…
Quattro anni per immortalare la gloriosa maratona dei girini canadesi
È semplicemente un’eventualità così fuori dalle aspettative ragionevoli delle presenti circostanze… Che un documentario realizzato da un singolo fotografo subacqueo, assistito da alcuni amici nel montaggio e la post-produzione, possa non soltanto raggiungere ma superare abbondantemente la qualità, visuale, scientifica ed originale, di oltre il 90% delle produzioni girate sotto l’egida di un grande marchio televisivo. Raggiungendo in questo modo, come soltanto pochi autori possono aspirare in questo campo, l’empireo qualitativo delle scene accompagnate dalla voce britannica di Sir Attenborough, cui nulla sembrerebbe avere da invidiare, d’altra parte, l’entusiasmo coinvolgente di Maxwell Hohn, naturalista canadese di Vancouver Island che più volte si è tuffato, durante la realizzazione di questo capolavoro, in quello che lui stesso chiama “Uno dei laghi più remoti della sua regione”. Mai chiamato per nome è ciò probabilmente è un bene, vista la palese importanza vantata da questo luogo nell’evidente proseguimento in perpetuo della specie Anaxyrus boreas o del rospo boreale, anuro nordamericano famoso per le sue dimensioni ragguardevoli (fino a 13 cm) e le gremite migrazioni dei giovani adulti attraverso pericolose strade asfaltate, quando si recano dai laghi della loro giovinezza fino all’entroterra delle grandi foreste di pioppi, faggi e abeti, ove potrà compiersi la loro saliente avventura riproduttiva. Mentre nessuno conosce, o forse a questo punto potrei dire conosceva, l’altrettanto notevole spostamento quotidiano compiuto quotidianamente dalla loro forma sub-adulta di ambiente esclusivamente acquatico, quei girini che trascorrono la notte al centro più profondo dello stagno e la palude, ma devono spostarsi dopo il sorgere dell’alba nelle zone ripariane, dove l’acqua più bassa permette alla luce del sole di penetrare senza impedimenti, generando il florilegio d’innumerevoli forme di vita vegetali ed alghe dal variegato aspetto. O come le chiamano loro, più semplicemente, “cibo” che precorre il tempo della metamorfosi, un po’ come le foglie verdi consumate dalla strisciante larva di farfalla, il bruco destinato a guadagnare, con notevole fatica, il suo splendente nonché duplice paio d’ali. In un processo che giunge a coinvolgere, data la capacità di una singola femmina di deporre fino a 10.000 uova, una quantità letteralmente incalcolabile di piccoli individui, il cui aspetto tondeggiante con la lunga coda triangolare, gli occhietti tondi e l’espressione sorridente, finiscono per cooperare nella presentazione di un aspetto complessivo degno di essere ammirato, come fossero gli inaspettati personaggi di un cartoon. Non che sia facile, d’altronde, presentare per immagini una tale meraviglia etologica della natura, vista la natura inerentemente fangosa di queste acque nonché la notevole rapidità dei girini, che vivendo a un ritmo accelerato tenderebbero a spostarsi come fulminei fantasmi fuori e dentro l’inquadratura, se non fosse per il sapiente uso della stabilizzazione video ed il framerate da parte di questo geniale autore. Con un risultato che, ritengo, non può fare a meno di lasciare a bocca aperta: le molte migliaia di piccole creature che si spostano, con evidente chiarezza di obiettivi, tutti nella stessa direzione (sembrano quasi le scene idealizzate della fecondazione umana) incrociando le rispettive traiettorie in un caotico sovrapporsi di corpi e code, in perenne fuga da scorpioni d’acqua, sanguisughe e larve di libellula affamate. Soddisfacendo la voracità nei pochi momenti in cui si posano, senza mai smettere di agitarsi per restare pronti alla fuga, sopra qualsiasi cosa possa offrire anche soltanto il remoto potenziale di nutrirsi, inclusa la mano protesa dell’ammaliato autore del qui presente video.
Che tornando quattro volte per riprendere altrettante serpeggianti generazioni, si è tuffato avendo cura di spostarsi esclusivamente lungo i corridoi naturali tra le ninfee, creati dai castori che si nutrono delle loro radici esposte, al fine di non disturbare eccessivamente la marcia collettiva dei girini. Svelando quindi, in questo modo, gli ultimi segreti del rospo boreale…
La grave situazione in Iowa e il fenomeno meteorologico che l’ha causata
Nella sera dello scorso lunedì 10 agosto, una strana serie di segnali contrastanti hanno iniziato ad essere registrati dai sensori di marea sul lago Michigan, tanto da far pensare agli enti preposti a valutarne la lettura che qualcosa, da qualche parte, avesse cessato di funzionare correttamente. Con un grafico paragonabile a quello di un terremoto, per un periodo di alcuni giorni, la linea costiera del terzo lago statunitense per estensione iniziò ad arretrare, avanzare, arretrare di nuovo, con un tempo d’oscillazione di pochissime ore; in altri termini sembrava, dal punto di vista pratico, che un gigantesco bambino stesse sbattendo le mani e i piedi all’interno di una colossale vasca da bagno, influenzando per gioco il livello dell’acqua a suo piacimento. Una visione o descrizione metaforica, quest’ultima, tutt’altro che probabile nei fatti eppure valida per dar l’idea di quanto la furia risvegliata della natura, ancora una volta, stava per scatenare sull’eternamente in bilico regione continentale dell’intero Midwest statunitense: una catastrofe ventosa dalle proporzioni sconvolgenti. Riassunta in una parola, derecho, che non è del tipo frequentemente udito in questi giorni al telegiornale, per ragioni a conti fatti alquanto semplici da interpretare… Laddove le migliaia di vittime quotidiane da Covid-19, anche all’altro lato dell’Atlantico, hanno relegato questo disastro all’ultimo servizio dei telegiornali o magari neanche lì, con un conto delle vittime pari a “soltanto” due allo stato attuale ed “appena” 14 feriti, per lo più non particolarmente gravi. Ma esiste più di un modo, per subire i danni collettivi di un disastro, come sanno molto bene i possessori di terreno in questa fondamentale riserva agricola del Nordamerica, già pesantemente colpita nel corso dell’anno dalla lunga sequenza di dazi generati nella guerra dei commerci con la Cina e che adesso, a fronte di una situazione già complessa, stanno affrontando forse il periodo più drammatico della loro esistenza: granai divelti, magazzini distrutti, abitazioni fatte a pezzi e soprattutto milioni di ettari del raccolto letteralmente spazzati via, con incalcolabili tonnellate di mais strappato alla radice, poco prima di essere disseminato ancora non maturo attraverso le verdeggianti valli di Iowa, Ohio, Utah e Wyoming.
Già perché il derecho, per sua natura non si avvolge attorno agli edifici torcendone gli elementi architettonici e scagliandoli in tutte le direzioni, come avviene per la sua più celebre e frequente controparte, il tornado, bensì dando ragion d’essere al suo nome preso in prestito dalla lingua spagnola soffia in una maniera “diritta”, che poi risulta essere, da queste parti, orientato verso Sud-Est nel tentativo disperato di raggiungere l’equatore. Il che rende una tale tempesta paradossalmente meno pericolosa per gli umani che possono tentare di trovar rifugio in tempo utile, benché non faccia nulla per salvare le proprietà ed inoltre risulti, con venti misurabili fino alla velocità impressionante di 58 m/s, capace d’infierire su queste ultime con enfasi particolarmente degna di nota. Immaginate, a tal proposito, una lunga linea di temporali che si sposta in linea retta, attraversando con un ritmo accelerato l’intero territorio di una serie di comuni e piantagioni. Ciascuno dei quali sufficientemente rapido da permanere sopra di essi per un tempo pari ad appena 20-30 minuti, ma ben presto seguito dall’anello successivo della catena per un tempo complessivo che nelle regioni più colpite può aggirarsi fino alle 8 ore. Questo, in parole povere, è il derecho, che per fortuna risultando essere piuttosto raro si realizza una, al massimo due volte l’anno, benché sia particolarmente difficile ignorare o dimenticare gli effetti cataclisimici del suo passaggio. Particolarmente gravi, neanche a dirlo, nella presente situazione di un così drammatico 2020…