Giorno dopo giorno, un poco alla volta, quelle ali si sono impossessate del mio subconscio. Avete mai provato, dal canto vostro, a lavorare con un assassino che vi tiene d’occhio dalla finestra? Cupo angelo dell’oltre-vita situato in posizione di preminenza, ovvero particolarmente in alto, poco prima di piombare sui passanti del grande Vuoto aereo terrestre. All’inizio non ci feci eccessivamente caso. Soltanto un’altra “mosca” irriverente, creata dall’evoluzione per accompagnarti con il suo ronzante concerto. Ma poi le cose cominciarono a morire. Altri ditteri di dimensioni minori, qualche imenottero (api, vespe) e una falena particolarmente sfortunata, ordinatamente messe in fila l’una di seguito all’altra sopra il ciglio del davanzale. Ogni volta non riuscivo a cogliere l’esatto attimo della cattura. Soltanto ciò che aveva modo di svolgersi dopo, con l’orribile creatura intenta a risucchiarne gli organi uno alla volta, attraverso un foro praticato nella testa con le sue mandibole simili a un coltello. Eppure non sapevo come, a conti fatti, il peggio dovesse ancora venire. Quando la collega della contabilità, con il beneplacito della direzione, fece in modo di posizionare sul balcone dell’ufficio un piccolo abbeveratoio per gli uccelli, frequentato nelle ore mattutine da un gruppo di passeri del vicino parco urbano. Ah, nessuno poteva prevedere… Ciò che sarebbe avvenuto qualche giorno dopo. Con l’occhio della mente, lo vidi succedere al rallentatore: il piccolo pennuto che si alza delicatamente in volo. La mosca che lo punta e parte in direzione diagonale cogliendolo in fase d’accelerazione. Entrambi cadono di fronte al vetro, rotolando una, due volte. Il pennuto resta immobile. L’insetto inizia a ricoprirlo laboriosamente con la sua saliva…
Immaginate per un attimo di essere venuti al mondo con l’esplicita e totalizzante programmazione di “uccidere”. Qualsiasi cosa vi passi davanti e possa essere classificata come cibo, facendo uso di una serie di caratteristiche di cui l’evoluzione si è premurata di fornirvi: un corpo formidabile con lunghe zampe prensili e pelose. Occhi estremamente efficaci, nonostante le loro dimensioni relativamente ridotte. Ed un veleno nella vostra bocca composto di neurotossine ed enzimi, capaci di agire sugli artropodi come acido solforico ai danni delle vostre prede. Buongiorno Asilidae, quella che internazionalmente prende il nome di robber fly o mosca assassina/rapinatrice. Ladra di ottime speranze e tutto ciò che ne deriva, bandita in grado di acquisire i giorni e trasformarli in energia per il suo viaggio torturante nell’incedere dei giorni privi di pietà residua. Uno di quegli esseri sostanzialmente onnipresenti, in ogni luogo tranne l’Antartico, che tuttavia tendiamo molto spesso ad ignorare. Forse perché troppo terribili, a pensarci…
insetti
Di scarabei antiacidi che sfidano i sensi unici e rinascono dal posteriore della rana
Ora sarà meglio che inizi a spiegarvi come ho fatto a ritrovarmi in questa situazione. Non è normale per noialtri prendere, in maniera più o meno intenzionale, il percorso relativamente oscuro della “retta” via. L’ano-nima condotta, il lato B, la strada ove non batte il sole. La Cloaca. Ma un insetto artropode lacustre deve fare, ciò che deve fare ovvero sopravvivere comunque, riportando indietro l’esperienza che contribuisce a renderlo davvero “maturo”. Poiché non puoi dire veramente di aver vissuto, finché non ha visto coi tuoi occhi compositi la disposizione interna degli organi del tuo nemico, in una sorta di lezione d’anatomia eccessivamente realistica, anche troppo calibrata sulla base della sperimentazione diretta. “Poteva essere la fine, invece è stato il nuovo inizio” amano da dire da queste parti. Che poi sarebbero l’intero territorio dell’arcipelago giapponese, oltre a Taiwan, Cina, Sud-Est Asiatico e il meridione di quel continente fino ad India e Pakistan. Con qualche piccola comunità distribuita in Arabia ed Australia settentrionale. Tutti luoghi in cui un Hydrophilidae o scarabeo raccoglitore d’acqua può ragionevolmente aspettarsi di prosperare, finché non incontra l’affamato anfibio che ogni giorno sogna, e con puro intento cerca di ottenere, la fagocitazione delle cose che zampettano ai vicini margini delle ansiogene impellenze. Insetti lunghi non più di 2-3 millimetri ma che cionondimeno possiedono, di loro conto, perfezionate strategie e risorse utili ad andare oltre. O come nel nostro caso di マメガムシ (il nome recita mamegamushi, puoi chiamarci se lo preferisci Regimbartia attenuata) l’assoluta… Immunità, nei confronti del pericolo pressante dell’altrui digestione.
Per la corazza chitinosa ma non solo, avendo ricevuto in dono dalla Natura l’ancestrale conoscenza e la prestanza fisica del tutto necessarie, per nuotare agevolmente lungo esofago stomaco, intestini fino alla letterale luce in fondo a un tunnel che sembrava non conoscere la parola fine. Laddove ogni essere che ha un punto d’ingresso deve necessariamente possedere, di suo conto, una possibile e altrettanto irrinunciabile via d’uscita. Benché non sia effettivamente scritto da nessuna parte che debba essere spaziosa, piacevole o dotata di un buon odore…
L’ombra che corre sui muri nella grotta dei centopiedi giganti
Legge inversa per la conservazione dell’energia deambulatoria: dove possono bastare quattro zampe, usane sei. Se altrettante sembrano del tutto ragionevoli, la prossima volta aggiungine altre due paia. E nel caso in cui otto bastino ad arrampicarsi nella tela, perché non impiegarne dieci? Venti? Trenta? Siamo abituati a considerare le leggi dell’evoluzione naturali un’espressione dello stesso tipo d’eleganza contenuta nella simmetria di un pezzo di cristallo, o il reticolo degli atomi che si susseguono lungo una sbarra di metallo. Ma il regno animale può essere considerato come totalmente distinto da quello dei minerali, stolido ed immoto per ciascuno dei campioni posti sotto l’occhio osservatore della scienza umana. Ove la progressione innata dei fenotipi conta qualcosa, ma fino a un certo punto. E quando le caratteristiche trasmesse alla generazione di una determinata specie prendono una svolta, può accadere che l’evento si ripeta nello stesso modo ancora, e ancora nelle multiple scelte a venire. Finché un tratto esacerbato si trasformi nella singola, definitiva caratteristica di riferimento: guarda, a tal proposito, il distintivo ordine degli Scutigeromorpha, tra tutti i chilopodi dalle molte zampe, contiene probabilmente i più veloci. Mentre corrono da un lato all’altro nelle tenebre appropriate di un tipico appartamento umano. Proprio perché un altro nome per la specie è centopiedi domestico o house centipede, in funzione del più tipico degli habitat antropici entro cui parrebbe aver trovato il suo terreno di caccia di miglior soddisfazione e apprezzabile sopravvivenza. Chiunque creda che il familiare, inoffensivo S. coleoptrata (“dal corpo simile a un coleottero”) di due o quattro centimetri rappresenti l’espressione maggiormente impressionante di questa particolare tipologia di creature, è probabile che non abbia mai visitato la giungla, di persona o grazie ai resoconti degli occasionali documentaristi di TV o canali Internet di varia entità. Così come il qui presente titolare del canale General Apathy, comprovato amante di artropodi, aracnidi e varie tipologie d’insetti, in questo caso alle prese con la diversificata fauna del sottobosco nella regione della Sierra Nevada, in Colombia. Tra cui, guarda caso, l’iconico abitante dei banchi di terra o muraglie naturalmente digradanti in questi territori, l’assai più grande certe volte spaventoso predatore parte di un genere cognato, chiamato scientificamente Sphendononema guildingii. Ed a parole, molto più direttamente, mostriciattolo massivo titolare di una stazza misurabile su dieci, quindi centimetri. Che lo stesso scopritore ci permette di comprendere, non è ancora neanche prossimo a essere il “più grande” di questo pacifico, beneamato, talvolta lievemente infernale pianeta…
Studio svela come la puntura di una formica può minare il sistema nervoso umano
Un dolore assoluto, che ottenebra la mente e paralizza i movimenti. La sofferenza totale che permette, per lo meno nell’idea del popolo che continua a praticare un tale rituale, di affrontare in seguito qualsiasi prova fisica ignorando la sofferenza. E c’è qualcosa di fondamentalmente primitivo, persino barbarico, nel rito di passaggio degli indigeni Sateré-Mawé della giungla brasiliana, secondo cui l’arrivo presso l’età adulta necessita di esser celebrato tramite puntura indotta e reiterata ad opera del più atroce degli insetti mai classificati dalla scienza umana. Quella stessa Paraponera clavata o formica proiettile di oltre 2 cm di lunghezza, il cui morso è stato alternativamente paragonato a un colpo d’arma fuoco o nelle parole dell’esauriente Justin O. Schmidt, entomologo dal comprovato grado di masochismo, “Camminare sui carboni ardenti con un chiodo arrugginito conficcato in un piede”. Tutto questo benché resti fondamentale specificare come prendere decine di questi animali e intrappolarli nella versione fatta in casa di un guanto da forno, per poi renderle nervose con il fumo ed infilarci dentro le mani del soggetto designato per qualche eterna decina di minuti, più volte nel corso di settimane o mesi, non costituisca un effettivo pericolo per la vita di quest’ultimo, né abbia altre conseguenze in genere che tremori, nausea, capogiri, paralisi temporanea e qualche trascurabile convulsione. Questo perché contrariamente al veleno utilizzato da taluni serpenti, razze marine, vespe o calabroni, la piccola mistura di sostanze inoculate dagli imenotteri in questione non ha effetti deleteri alla sopravvivenza di un organismo, pur restando responsabile di una percezione del dolore che pare superare i limiti dell’immaginazione corrente. Questo principalmente grazie alla presenza, già nota verso la fine degli ’90 del peptide neurotossico della poneratossina, una sostanza capace di saturare i canali del sodio nelle fibre nocicettorie, inviando in buona sostanza un segnale intenso e ininterrotto fino alle zone rilevanti del cervello stesso. Ora d’altra parte un simile spunto di approfondimento, nonostante la sua rilevanza per lo studio del dolore ed eventuali metodologie utili a moderarlo, è stato successivamente accantonato dalla scienza per l’oggettiva difficoltà nel prelevare quantità sufficienti di veleno da una creatura piccola come un formica, per quanto appartenente alle genìe ipertrofiche del territorio sudamericano. Almeno fino all’articolo recentemente pubblicato nel numero di maggio della rivista scientifica Nature Communications, in cui Samuel D. Robinson dell’università del Queensland e colleghi affrontano per la prima volta in modo sistematico la questione. Ritrovando tracce di tossine simili anche all’interno di altri rappresentanti della famiglia Formicidae, tra cui le più piccole ma non meno aggressive Tetramorium africanum e le affascinanti formiche dalla testa verde o Rhytidoponera metallica endemiche del continente d’Oceania, capaci d’indurre uno stato di sofferenza forse meno intenso ma persistente almeno quanto quello della tristemente celebre Paraponera. Un viaggio di scoperta che potrebbe essere, in effetti, ancora agli albori…