Chi fabbrica gli stemmi del Trono di Spade

Stark Emblem Rexton

Il regno del fantastico si concretizza grazie alle regioni fluide della mente. Le immagini, non i ragionamenti, danno forma ai territori straordinari dell’ambito letterario. O di quello cinematografico e televisivo. Nel più recente e significativo caso, ce ne sono sette. Regni, non semplici feudi, disseminati in senso longitudinale; dal Tropico del Cancro a un succedaneo Polo Nord, popolato di creature innominabili e perverse. È un mistero, questo, che avviluppa ormai da anni numerosi appassionati, tutti coloro che aspettano con ansia il moto lasco di una penna celebrata, quella di George Martin, scrittore: perché succedono determinate cose? Chi è il mandante di quello oppure quest’orrido delitto? Di chi è figlio Jon Snow? E com’è davvero il suo volto, quello dei diversi fratellastri, quanto svettano in effetti le alte torri del Castello Rosso… I migliori autori abbozzano, non spiegano del tutto. È bello non sapere quasi niente, mentre si leggono parole di una tale caratura! È questo uno stato di grazia, che permette di spaziare più liberamente. Poi è arrivato il telefilm, un vero colossal per la tv. Con tutto il suo carico di forme, raffigurazioni, sembianze chiaramente definite. Il che, se da una parte toglieva i presupposti dell’inestimabile invenzione immaginifica, di chi stava leggendo in-fieri questa serie di romanzi (ancora incompleta) nel contempo apriva il ponte levatoio ad un diverso tipo di ricchezza. Il merchandising derivato, per un pubblico di soli adulti.
Rendere giustizia ad un mondo tanto chiaramente collocato in tempi antichi e truci, non è facile. Anzi, tramite le correnti metodologie commerciali, praticamente impossibile. Entrino, dunque, i moderni artigiani dell’empireo digitale. Tutti coloro che, aiutati dall’alta visibilità che si guadagnano le cose belle, nonché sfruttando a dovere gli strumenti del web marketing, riescono a tenersi attuali commerciando in spade, scudi ed armature. Più altre strane cose, in questi giorni che, spesso e volentieri, gettano uno sguardo indietro, verso gli antenati medievali. Vedi ad esempio questo stemma, fabbricato tramite la tecnica toreutica dello sbalzo, presso l’officina Rextorn Metalwork, sita in Polonia. Sembra quasi di sentire il ringhio della scagliosa bestia, l’enorme metalupo degli Stark. Questa splendida creatura, una delle poche concessioni di Martin verso le tematiche chimeriche della fantasy convenzionale, fuoriuscita dritta dritta dai pericoli della preistoria, che costituisce lo stendardo di una nobile ed immaginifica casata. Qui rappresentata, se vogliamo, con metodi davvero degni del suo nome.
La tecnica dello sbalzo, talvolta definita con il termine francese repoussage, prevede che una sottile lastra di metallo malleabile venga riscaldata fino al calor rosso. Normalmente si usano l’ottone, lo stagno, l’oro, l’argento oppure, come in questo caso, il rame. Il materiale viene quindi posto su un’incudine e battuto sistematicamente, tramite l’apporto di diversi tipi di ceselli, larghi e stretti, angolari o stondati. Ciò che ne risulta, se l’artista è veramente bravo, potrebbe costituire l’equivalente visuale di un bassorilievo ligneo o marmoreo, ma molto più leggero e maneggevole, abbastanza resistente da essere trattato con ossidi e resine, piuttosto che semplici vernici. Un’approccio di rifinitura, quest’ultimo, qui usato tanto abilmente, da riuscire a donare alla creazione una patina scura e lucida al tempo stesso, capace di sottintendere tutta la cupa truculenza e la spietatezza della storia che ha ispirato questo manufatto. E l’inverno…

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Dentro allo stomaco di un rampicante

Nepenthes

Sugli alberi delle foreste tropicali, abbarbicate ai tronchi degli arbusti centenari, ci sono fiori rossi dall’odore penetrante. Li chiamano bicchieri delle scimmie, perché pare che queste ultime, talvolta, li usino per dissetarsi. Non prendetemi in parola, provateci anche voi. Ma controllate, prima, che all’interno non sia inclusa una sorpresa. Moscerini? Mosche della frutta? Vespe? Api? Calabroni? Falene? Ragni? Scorpioni? Nella nepenthe può esserci ogni sorta di creatura zampettante, volante o strisciante, presa da un compito davvero impegnativo: farsi digerire. È un procedimento molto semplice, benché al tempo stesso alquanto spaventoso. La truffa più crudele dell’intero mondo vegetale, da un significativo punto di vista, quello delle vittime innocenti: gli artropodi di tutti i tipi, ma qualche volta anche i rettili di minori dimensioni (si hanno notizie di ranocchie o lucertole che sono state catturate dalla pianta) che si avvicinano all’invitante attrezzo del demonio. Perché percepiscono chiaramente l’irresistibile richiamo di quella sostanza zuccherina che si trova in fondo al buco vegetale. Però ad un certo punto, se faranno soamente un altro passo, sarà la fine. Il bordo della nepenthe è sdrucciolevole e stondato, come il labbro di una bocca piena di saliva. Viene detto peristoma. Ed il coperchio sempre umido, simile a una foglia, è ricoperto di un tremendo nettare colloso. La preda che dovesse apporci la sua zampa incauta, cadrà dentro. Finendo per languire nel bel mezzo di uno splendido banchetto, bevendo e godendo dei soavi succhi della pianta, dimenticando i suoi problemi percepiti ed ogni presupposto della vita quotidiana. Il futuro stesso, verso il crepuscolo dei sensi. Fino a che sfinita, ma felice, si addormenterà. Per non svegliarsi più. I biopolimeri viscoelastici nel fluido dell’angusto stomaco di clorofilla, quindi, ne scomporranno la preziosa essenza. E lentamente, inesorabilmente, la trasformano in pregevoli sostanze nutritive, per la maggiore gloria dell’imperituro Regno Vegetale.
Non vi fa un po’ rabbia? Non suscita in vuoi un sentimento d’istintiva…Diffidenza? Voglio dire, le piante dovrebbero costituire una risorsa. Come un faggio, che svettando placido dal denso sottobosco, offra volentieri la sua ombra e il buon ossigeno che crea dall’aria. Come un pino silvestre, pacifico e profumato, tra i cui rami vivono gli uccelli. E tra le cui radici, operose, si avventurano formiche tagliafoglie; senza mai dover temere, se anche ne avessero la predisposizione, la dolce eutanasia di una spietata succhiatrice. Ah, che ingiustizia! Ecco dunque il giardiniere del canale Brads Greenhouse, specializzato in piante tropicali ed orchidee, che ci offre l’opportunità di sfogo. Con le forbici della scienza, verso una migliore comprensione delle cose orribili e meravigliose…

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Florilegio di una mantide spinosa

Spiny Flower Mantis

Due milioni di abitanti, eppure, ai miei occhi di disincantato viaggiatore, c’era solamente lei. Conobbi Pseudocreobotra tra le assolate spiagge di Tanzania, presso il quartiere di Kurasini a Dar es Salaam, uno dei principali centri urbani dell’Africa Orientale. Sono questi, luoghi di feroci giustapposizioni: da una parte gli altri grattacieli dell’economia globale, frutto degli investimenti poderosi delle aziende d’Occidente. In cerca di nuovi trampolini verso le inesauribili sorgenti della manodopera dei nostri tempi: la Cina e l’India e… Dall’altra, ostinatamente in controluce, le piccole canoe di legno dei pescatori, che dall’ombra della disumanizzante bestia grigia di cemento, l’irrespirabile città, pindarici decollano verso la penisola azzurra di Kigamboni, percependo alla lontana l’aria limpida delle foreste del Madagascar.
Lei era lì, coraggiosa come un fiore in mezzo ad una strada trafficata. Anzi, ne aveva proprio preso il posto: in cima ad una rametto, posto dietro ad un cartello, sulla banchina del tragitto verso le periferie poco raccomandabili, si dondolava lievemente, assecondando il dolce vento della tarda primavera. Era giovane e spinosa, lunga due centimetri soltanto. Senza occhi sulle ali. Di certo, il fato aveva predeterminato il nostro incontro: neanche una mosca della frutta, con il suo senso dilatato dei secondi, avrebbe mai potuto percepire quel suo sguardo attento, salvandosi dall’abbraccio più definitivo della vita; l’ultimo sarebbe stato, per quell’imenottero sbadato. Ero davvero stanco, quel giorno, forse per l’effetto del jet-lag. O magari solamente senza fiato, a causa della mia tenuta, più inadatta del costume da bagno a Capodanno, vista l’aria tanto equatoriale: il peso della giacca sottobraccio, i calzoni neri e lunghi, la camicia con cravatta nel taschino, ormai rimossa, eppure non dimenticata. Pronta come il calcio di un fucile, da estrarre innanzi ai miei supervisori. Per non parlare di quei piedi chiusi nelle scarpe lucide, praticamente cementate ai miei calcagni, per l’effetto di cinque riunioni, due incontri, una supervisione in fabbrica e la cena con i manager del business district nel più celebrato ristorante giapponese di Kivukoni. Sushi e sashimi: Africa, che calor! Dunque passeggiavo per un tale lungomare, circondato dai turisti e dai locali, cercando svago prima dell’ennesima Giornata. Quando, oibò. All’improvviso si slacciò la scarpa destra. Dapprima, non feci nulla di affrettato. Non è saggio, in tali luoghi sincretistici, fermarsi in mezzo al flusso della folla brulicante. Troppi vivono in un costante stato di fretta, quel senso di anélito spietato. Non si fermano a guardare i fiori. Lentamente, un passo dopo l’altro, raggiunsi un’oasi calma tra la folla, sotto ad un cartello in arabo che sembrava, all’apparenza, proprio come gli altri: “Benvenuti a Mzizima, la Casa della Pace” E sotto a quello, la trovai…

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L’assalto delle Chevy rimbalzanti

Low Rider

Questa particolare tipologia di gara automobilistica non ha bisogno di piloti a bordo. Né di accendere il motore. È un po’ come i mondiali di calcio; o almeno, lo sarebbe se al posto dei giocatori umani, si usassero delle vetture a quattro ruote. Con sospensioni idrauliche invece che scarpini. E per quanto concerne quel pallone, beh… Avremmo l’ideale sfera o globo che preannuncia l’ultima battaglia. “Chevrolet Impala, scelgo te” potrebbe allora fare il giovane proprietario/allenatore con i mezzi guanti, mentre gira di 180 gradi il suo cappello da cowboy. Che non avendo una visiera, bensì una tesa che gli gira tutto attorno, continuava a fargli ombra esattamente nello stesso modo. Meglio sarebbe stato, salire su un cavallo, per guardare la scena dall’alto & con il lasso! Il che non fa che riconfermare l’origine di questa usanza, diretta evoluzione del concetto di rodeo: tra le sabbie della Terra dei Liberi e dei Coraggiosi (Oh say, can you see…) Il rapporto con i mezzi di trasporto è sempre stato conflittuale. Già gli antichi coloni, appena sopravvissuti alla furia dell’Atlantico dalle onde burrascose, s’imbarcavano in un altro tipo di pericolosa traversata. Verso ovest, a bordo dell’enorme carro Conestoga. Ruote altissime, rinforzate con il ferro, scatola di legno ed un candido tendone soprastante, con la forma parabolica di un arco a tutto sesto. Era come un castello semovente, tale arnese, l’ultimo bastione della civiltà europea. Oltre i fiumi, sopra le montagne. In fila indiana verso il nulla e dopo in cerchio, per proteggersi da quegli stessi indiani, per l’appunto – i pellerossa, precedenti abitatori delle valli; era questa, una vettura adatta solamente ai viaggiatori senza pavido sgomento. Per poi giungere nell’epico Far West: terra di cavalli mustang imbizzarriti e di giovani torelli scatenati, qualche volta cavalcati, così, tanto per far scena. La potenziale pericolosità delle creature non del tutto addomesticate, in un certo senso, risuona a più livelli nelle molteplici sfaccettature della mente umana. Nell’orgoglio di chi possiede un cane muscoloso, tutto denti e borchie sul collare. Nell’immagine del Pokémon guerrafondaio – rattone giallo-elettrico, tartarugone coi tentacoli, lucertola di fuoco. E nei presupposti che hanno portato questa folla del profondo Texas, in un giorno memorabile, a far scontrare tra di loro un paio di magnifici esemplari di lowriders. Quelle automobili estremamente ribassate, con la carrozzeria tagliata e qualche volta, persino, sospensioni idrauliche che si estendono a comando. Quasi dei bonsai del campo motoristico, se non pesassero due tonnellate.
Un’attività davvero affascinante, questa specifica applicazione, prima di tutto per le metodologie. Perché pare, chi l’avrebbe mai detto, che scatenando al massimo la furia del profondo passaruota, quella quadruplice molla con stantuffo di cui sopra, l’auto possa addirittura SOLLEVARSI dalla sabbia dell’arena. E che a quel punto basti una leggera spintarella, per costringerla a “combattere” la sua cugina.

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