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In un momento imprecisato attraverso il lungo tragitto cronologico del Mondo Antico, ladri di tombe si spingono a dorso di mulo al di là dei brulli territori dei monti Altai in Siberia. Seguendo voci prive di conferma, discendono le pendici della valle di Ukok, a sud dell’odierna città russa di Novosibirsk, non troppo lontano dal confine con la Mongolia. Qui riescono a trovare, dunque, senza attirare indebite attenzioni, alcuni esempi dei tumuli di pietra e terra noti alla posterità con l’antonomasia archeologica russa di kurğan, in effetti un termine che vuole dire in turco, “fortezza”. Vanghe alla mano, un poco alla volta, riportano alla luce camere mortuarie costruite in legno e ricolme di splendidi tesori al di là di ogni possibile aspettativa: gioielli, armature, monete, suppellettili di vario tipo. Nel frattempo i ladri, nella loro frenesia, compiono due gesti in apparenza privi di significato: primo, lasciare alcuni oggetti involati, poiché da loro giudicati privi di valore, tra cui mummie, abiti e tappeti. Secondo, non richiudono la tomba, lasciando tali strane cose esposte alle intemperie. Ora, sarebbe ragionevole pensare che un simile evento abbia costituito un ostacolo insormontabile per lo studio futuro dei nostri antenati. Ma date le circostanze climatiche altamente insolite di questo luogo, quello che succede dopo è un punto di svolta fondamentale: l’acqua filtra, un poco alla volta, fino angoli più estremi delle tombe. Completamente isolata dall’aria calda che soffia da meridione, a quel punto, si ghiaccia immediatamente. Come una magica teca di cristallo creata dalla natura, la capsula temporale a quel punto è pronta.
Trascorrono secoli, poi millenni, fino al recentissimo (in prospettiva) 1954. Sergei Ivanovich Rudenko, antropologo seguace della scuola francese e membro della Società Geologica Russa (IRGO) viene inviato in quegli stessi luoghi con un seguito d’aiutanti, per approfondire le limitate conoscenze delle locali epoche pregresse, sulla base di un brano dello storico Erodoto, che qui localizzava un qualche tipo di misteriosa “Montagna d’Oro”. Definite squadre e gradi di responsabilità, quindi, l’equipe effettua una scoperta totalmente rivoluzionaria, in grado di cambiare radicalmente i preconcetti accademici su questo particolare contesto geografico e culturale. All’interno delle tombe, infatti, i russi trovano tra le altre cose un rettangolo di lana intrecciata di 178×195 cm, dalla colorazione tendente al vermiglio, che le informazioni possedute prima, quindi la datazione la carbonio permettono di far risalire al quinto secolo a.C. Grazie all’impiego di una quantità stimata di 1.250.000 nodi, artigiani senza nome l’hanno decorato con 24 figure geometriche composte da boccioli di fiori di loto, circondate da una serie grifoni, a loro volta racchiusi tra 24 daini e 24 cavalieri, idealmente rappresentanti 24 tribù dei nomadi di queste regioni. Rudenko, una volta completato l’elenco dei beni e salme ritrovati, rifiuta di attribuire i ritrovamenti a popoli già noti alla storia, come i cavalieri Sciiti del Ponto, scegliendo piuttosto un nome totalmente nuovo per questa cultura, derivante da una vicina località geografica: Pazyryk. Senza particolari esitazioni, quindi, decide di dedicare il resto della sua carriera di studioso, e in un certo senso la vita, ad approfondirne le caratteristiche dimenticate…