L’antica Torre e il nuovo regno del guardiano londinese dei corvi

Verso la metà di ottobre del 1066, soltanto cinque giorni dopo la battaglia di Hastings, l’esercito possente di Guglielmo il Conquistatore varcò i confini di Londra. La città più grande delle Isole Inglesi e probabilmente, in quel particolare momento storico, una delle più ricche ed influenti al mondo. Era la prima volta, dopo il terzo secolo avanti Cristo, che armigeri nemici si accampavano su ambo le sponde del Tamigi. Quella precedente, tuttavia, l’operazione aveva necessitato di organizzazione logistica molto più complessa, essendo stata condotta con l’approccio estremamente metodico dell’esercito romano. Tale campagna militare condotta dal generale Marcus Valerius Corvus fu d’altronde connotata da un preciso quanto incancellabile simbolismo animale. Poiché il corvo comune europeo, perfettamente reso dalla punta del becco alla coda nera a ventaglio, figurava sopra l’elmo di quest’uomo ed in seguito a guisa d’immagine ritratta nelle insegne della gens Valeria, in buona parte responsabile della colonizzazione a guida italica della Bretagna. Non è chiaro se dodici secoli dopo, il Bastardo Francese avesse chiara nella mente l’importanza di riprendere l’antico simbolismo e tali analogie persistenti. Ma nella rocca simbolo del suo potere, la cosiddetta Torre Bianca ultimata nel 1078, trovarono ben presto l’occasione d’insediarsi un certo numero di uccelli appartenenti a quella stessa schiatta. I protagonisti della celebre, quanto tediosamente ripetuta leggenda (Volassero malauguratamente via tutti assieme da questo profetizzato luogo? Niente più regno d’Inghilterra, adieu!)
Se è d’altronde vero che in quest’epoca di relativa pace lo squadrato castello è stato trasformato in una popolare attrazione turistica, credere o meno alle parole pronunciate miliardi di volte dalle sue guide non fa poi una grandissima differenza: ci sono pochi ruoli più caratteristici, ed a loro modo invidiabili di quello attribuito al ravenmaster, un particolare tipo, di un particolare tipo di guardie. Colui che per innata propensione, nonché specifico sigillo sulla manica dell’uniforme rossa e nera rinascimentale, ha il compito di nutrire, mantenere e proteggere la popolazione minima di sei (6) Corvus corax, pena caduta del sacro ponte, ribellione contro i monarchi, possibili carestie o pestilenze, etc. etc. E se c’è una cosa largamente nota in materia britannica, è che una volta che gli Inglesi seguono una tradizione sufficientemente a lungo, essa tende ad essere presa molto, molto sul serio. Così tracciata nello strascico dell’entusiasmo popolare rinnovato in seguito all’incoronazione di Re Carlo, fu assolutamente naturale per i giornali nazionali dare ampia risonanza lo scorso marzo a un’importante cambio generazionale: via il buon Christopher Skaife, titolare della carica in questione tra gli anni 2011 e 2024, riassegnato alle mansioni più usuali della altre guardie del castello, definite con piglio medievaleggiante gli yeomen. Dentro Michael ‘Barney’ Chandler, classe 1968, il membro dei Royal Marines con 24 anni d’esperienza (non meno di 20 permettono di ereditare un così prestigioso ruolo) da quel momento incaricato di seguire e assistere i pennuti nella loro sacra missione. Esistere, in primo luogo. Ma anche fare al meglio tutto ciò che tende a derivare da un gracchiante destino e paio di svolazzanti ali nere…

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Cento cupole nel Kosovo: la biblioteca nazionale più iconica dell’Est Europa

La cultura rende liberi, permettendo alla mente di allontanarsi e trasportare i pensieri oltre i limiti delle convenzioni controllate da fuori. Forse proprio per questo nella penultima decade del Novecento, i moti rivoluzionari di protesta contro l’organizzazione civile sovranazionale del Regno di Jugoslavia ebbero inizio, in Kosovo come altrove, all’interno delle Università. Almeno a Pristina tuttavia, la capitale, già dal 1982 era stato completato un edificio che sembrava contraddire per lo meno la parte estetica di tale affermazione, dopo un lungo periodo di progettazione ed implementazione durato più di 10 anni. Per certi versi la versione tangibile di quell’ideale di un’estetica identitaria destinata a modellarsi sui desideri e le aspirazioni di un popolo profondamente disunito, da molti altri una visione avanguardista uscita dritta dalle pagine di un libro di fantascienza, la Biblioteka Kombëtare o Biblioteca Nazionale si erge ancora oggi in uno dei principali spazi verdi urbani, stabilendo un dialogo tra l’artista degli spazi abitabili ed i loro utilizzatori che determina, da numerosi punti di vista, persistenti conflitti interpretativi. Quanto spesso capita nel novero degli edifici contemporanei, d’altronde, di trovarsi innanzi a una facciata totalmente ricoperta da una struttura reticolare che assomiglia vagamente ad una gabbia di Faraday o per descriverla più prosaicamente, la recinzione esterna di un carcere in grigio cemento? Si narra a tal proposito come durante la costruzione dell’edificio, molti avessero pensato che l’involucro di metallo costituisse in effetti una forma di impalcatura temporanea, per poi restare senza parole quando, al suo completamento, venne lasciato così com’era. Niente al confronto se paragonato alla reazione ostile da parte degli ufficiali del nuovo governo socialista fondato nel 1997 nei confronti dell’architetto di larga fama Andrija Mutnjaković. Lui, nato nel 1929 ed abile utilizzatore del modulo parametrico, che aveva sempre tentato di tenersi fuori dalle dispute politiche lavorando principalmente nel puro regno della ragion pura. E che all’improvviso si ritrovava accusato di aver voluto evocare il cappello simbolo della cultura albanese, chiamato plis, con la forma bianca e tondeggiante della quantità impressionante di cupole al di sopra della sua creazione! Il cui aspetto bizzarro se visto dall’esterno faceva in realtà capo a un’esigenza di creare spazi di lettura illuminati naturalmente, ipotesi a tal punto ben realizzata che per anni la biblioteca non sarebbe stata dotata di un sistema d’illuminazione adeguato ad operare negli orari notturni. Non che ciò avrebbe avuto particolare importanza, per gli anni difficili ed il sanguinoso conflitto destinato a palesarsi soltanto pochi anni dopo la sua “gloriosa” inaugurazione…

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Ventimila vivevano nel mega-condominio. Internet ne ha fatto un argomento. Benvenuti, trentamila

Molti temono visceralmente l’istituto della riunione di condominio, come circostanza problematica in cui le difficoltà inerenti della convivenza vengono portate innanzi, cementando antipatie possibili in vera e propria ostilità. Ma il popolo che parla del futuro di un edificio convenzionale, se non altro, si compone in genere di una decina, al massimo venti o trenta persone. Limitando le interconnessioni problematiche ad un modulo non necessariamente, né in genere terribilmente complesso. Immaginate ora i possibili intrecci per un tipo di collettività corrispondente numericamente a quella di un intero insediamento dalle dimensioni non propriamente trascurabili, come un comune italiano del basso Lazio o una piccola “città” norvegese. Tutti assiepati, come soltanto in Asia può succedere, all’interno di una singola iper-struttura del contesto urbano spropositato. Questo è il New World Regent International ed è in effetti un luogo che potrebbe esistere soltanto qui, ad Hanzgzhou. Nella metropoli di oltre 10 milioni di anime dello Zhejiang, tra i cui confini la proprietà immobiliare viene concepita nella maggior parte dei casi come un privilegio appannaggio di poche, potenti compagnie di gestione. Contestualizzando e settorializzando sensibilmente i diritti degli inquilini, fino ad offrire l’opportunità di crescita in termini di affitti guadagnati. Senza bisogno di acquistare immobili ulteriori o effettuare operazioni di reale rinnovamento. Siamo qui, del resto, in quello che la stampa online ha definito circa tre o quattro anni a questa parte come “L’edificio di appartamenti delle celebrità di Internet”, lasciando ampio spazio ad interviste ai molti volti noti dello schermo digitale, principalmente operativi sull’equivalente cinese di YouTube, Douyin, per descrivere gli aspetti migliori e quelli non propriamente ottimali di un simile luogo non del tutto o necessariamente ameno. A cominciare dal distinto androne simile a quello di un hotel “multi-stella” (parole loro) con ampia profusione di marmo e rifiniture di una certa eleganza, dove si narra che nei primi tempi successivi all’inaugurazione nel 2014, durante le feste come il Capodanno o quella di Metà Autunno si accumulassero impressionanti quantità di fiori ed altre decorazioni, almeno in parte inviate in dono ai più facoltosi ed importanti abitanti dell’edificio. Una circostanza oggi in larga parte ardua da immaginare, soprattutto una volta che s’inizia ad inoltrarsi nei piani superiori, incontrando una quantità impressionante di porte silenziose, appesantite da un vago senso d’isolamento e solitudine apparente. Finita l’epoca in cui le amicizie forgiate presso i campi sportivi incorporati nel complesso e le sue piscine creavano un senso d’appartenenza tra gli abitanti, oggi semplicemente troppi e frequentemente mutevoli perché si possa immaginare di conoscersi anche tra i dirimpettai di un singolo piano. E la ragione va cercata, come spesso capita, nell’universale aspirazione al profitto (o recupero d’investimento) dei proprietari…

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Cento ruote per l’arrivo pre-determinato del più lungo ponte aeroportuale al mondo

Un attimo, una pausa, un refolo di vento. L’imponente pachiderma aerodinamico che sfila, lentamente. Visto da una prospettiva inusuale: le ali si dipanano come triangoli gettando l’ombra in posizione perpendicolare. Ma nessuno, qui, riesce a vederla. Perché siamo tutti sopra, là dove la coda si eleva fino a raggiungere la suola delle nostre scarpe. Separate, come singola barriera, da uno strato spesso e trasparente. Come avrebbero potuto mai resistere, alla tentazione d’includere una tale caratteristica? In una struttura simile, dalla funzione estremamente pratica. Il cui valore aggiunto è pura e non adulterata spettacolarità a vantaggio di coloro che si trovano ad attraversarlo ogni giorno. Tutti i ponti, d’altra parte, sono panoramici. E lo Sky Bridge dell’Aeroporto Internazionale di Hong Kong riesce ad esserlo in maniera altamente caratteristica, proprio per il “corso” che si trova ad attraversare. Niente meno che la taxiway, o sentiero di rullaggio, parallela ad una delle piste principali di quel complesso. Di per se un luogo e trionfo dell’ingegneria globale da innumerevoli punti di vista, cui a partire dal novembre del 2022 si è aggiunto per l’appunto il record titolare dai notevoli 200 metri, la cui edificazione ebbe a dipanarsi sulla base di linee guida profondamente diverse dalle aspettative comuni. Avendo dato l’essenziale priorità a quel tipico e saliente approccio degli interventi di costruzione aeroportuali: velocizzare, intervenire trasversalmente, dare continuità al servizio di decollo ed atterraggio per gli aerei destinati alla regione amministrativa speciale ed ex-colonia britannica, luogo di approdo delle navi provenienti dalla Vecchia Europa. Che potranno anche essere state affiancate nel loro servizio dai veloci e potenti velivoli dei cieli, tra cui l’abnorme vettore passeggeri Airbus “Super-Jumbo” A380, ma con aumento esponenziale della gente interessata a giungere o lasciare i presenti lidi. Così da richiedere la costruzione, nel 2007, di un ulteriore terminal “satellitare” dedicato ai jet di linea più piccoli, capaci di trasportare un massimo di cento persone alla volta. Eppure la zona di transito intermedia rimaneva condivisa. E come permettere, dunque, alla gente di raggiungere l’alternativo luogo d’imbarco, senza prendere ogni volta una navetta? E senza dover aspettare per attraversare il passaggio di questo o quel bolide impegnato a raggiungere l’invitante punto d’ingresso dei cieli? C’erano diverse possibili metodologie d’approccio alla questione, ma il direttore tecnologico Ricky Leung assieme alla sua commissione ingegneristica si ritrovarono a scegliere questa: l’investimento di almeno un quarto degli 8 miliardi stanziati per l’ampliamento dei servizi e infrastrutture nella costruzione di un punto di passaggio svettante. Il minimo che fosse abbastanza, in modo tale da permettere la soluzione ed accantonamento del saliente problema…

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