L’esperienza di svegliarsi un giorno imperatori

atlantium

Vi siete mai ritrovati a pensare: “Se il tale risvolto politico, se la specifica legge o referendum, se la decisione in merito alle mie sudate tasse prendono l’una oppure l’altra direzione, andrò via dal mio paese seduta stante”? Certo che si. È un sentimento pienamente naturale, sostanzialmente implicato da qualsiasi forma di governo contemporaneo, fatte salve le impossibili utopie. Si tratta di un risvolto del sistema democratico, il quale prevede che una popolazione estremamente diseguale esprima le proprie preferenze o necessità attraverso il voto, per venire poi rappresentata da persone che sono, per loro imprescindibile natura, esse stesse imperfette. E quante volte, poi, avete fatto le valige, vi siete liberati da ogni impegno incluso il posto di lavoro, avete salutato colleghi, amici e parenti, poco prima di imbarcarvi su un aereo per la prossima destinazione del continuo viaggio che si chiama Vita? Faccio un’ipotesi azzardata: una. Sconfino nel probabile: nessuna. Affinché qualcuno scelga davvero di rinunciare completamente alle proprie stesse radici, non basta la sofferenza reiterata dell’ego, occorre un reale senso di pericolo incombente ed incertezza personale in merito al futuro. Un senso d’ansia profonda e imperscrutabile, che accorci e renda impossibili le proprie preziosissime giornate. Soltanto se spogliato di ogni cosa immateriale, quali la serenità, il senso di autodeterminazione, la libertà percepita, la persona media sceglierà realmente di separarsi anche da i beni accumulati nel corso della propria intera esistenza, per sostituirli con quel fluido trasportabile che è il vil denaro. Ed è proprio questa, la fondamentale ingiustizia della situazione: il governo, qualsiasi governo, può operare liberamente sui diritti dei cittadini, perché su di essi esercita il potere delle circostanze. Reagire è peggio che tacere. Andarsene, molto più dura che restare. Non sarebbe potenzialmente magnifico, se ad ogni singolo individuo di questo mondo fosse concesso di accettare l’ordine costituito, oppure di tracciare una nuova linea divisoria attorno alla casa dei suoi stessi genitori, ed affermare con enfasi: “Lì si ferma la nazione in cui sono nato. Qui ne inizia un’altra, dove Decido Solamente Io!”
La prima obiezione, forse, sarebbe la più logica: così nascerebbe l’anarchia. Ma se l’anarchia ha l’aspetto di ciò che Sua Maestà l’Imperatore George II di Atlantium (alias Francis Cruickshank) ha creato nel Nuovo Galles del Sud in Australia, forse dovremmo rivedere la definizione sul dizionario di questo termine un tempo considerato assai pericoloso. Perché non c’è nulla, a questo mondo, di più quieto, inoffensivo e al tempo stesso strutturato di questo enclave autogestito sito a circa 150 Km a nord della città di Canberra, grande “il doppio del Vaticano e la metà di Monaco” le cui principali (ed uniche) esportazioni sono le idee del fondatore, i documenti per ottenere la cittadinanza, qualche gadget ed i pochi dati istituzionali inseriti nel sito Web. Proprio così: stiamo parlando di una vera e propria micronazione, sul modello del principato abbaziale di Seborga rimasto del tutto indipendente dall’Italia fino al 1729, forte della sua posizione sull’isola di Sant’Onorato di fronte a Cannes. O di Sealand, l’anomalia a largo dell’Inghilterra, creata nel 1967 da Paddy Roy Bates per gestire la sua radio pirata a partire da un forte marino abbandonato della seconda guerra mondiale. La prima cosa che colpisce, in effetti, di quello che George II chiama l’Imperium Proper o “capitale di Aurora”, casualmente corrispondente ad un terreno di sua proprietà secondo i dati in possesso del catasto australiano, è il trovarsi nell’entroterra del paese circostante, ovvero in un luogo in cui sarebbe molto difficile opporsi al pagamento delle tasse. E non è chiaro, dal punto di vista non così privilegiato di Internet, quali siano gli accordi presi con la sua precedente patria, ma è probabile che il sovrano abbia trovato un modo di essere in regola da questo punto di vista. La prova è che nessuno lo ha arrestato. Fino ad ora.

Leggi tutto

Sembravano alghe, invece era un drago di mare

leafy-seadragon

L’animale fantastico per eccellenza, la prova materiale che una creatura innaturale, per quanto frutto della fantasia dell’uomo, può trascendere la più pura leggenda per entrare prepotentemente dentro il regno delle cose vive. I draghi? Camminavano su questa Terra. Sotto forme radicalmente differenti tra di loro. C’era il loro aspetto di lucertole, scagliosi esseri sovradimensionati, nella sagoma remota di svettanti dinosauri, il lungo collo placido e le zanne acuminate dei carnivori veloci. Mentre la capacità del volo, in qualche maniera indiretta, era presente nel battito d’ali degli uccelli ormai estinti, come l’Argentavis magnificens, dalla titanica apertura alare di ben 7 metri. Ma chi ha detto che la nostra controparte leggendaria, interlocutore dei tanti dialoghi nella caverna del tesoro, debba necessariamente essere mostruoso, impressionante, togliere il fiato con la sua maestosità… Quando esiste il caso dei draghi invisibili, sognati dai bambini e dagli adulti, visitatori di sfrenati ed invidiabili sogni notturni. Benevoli, pacifici, eloquenti. Ed ogni via di mezzo, come di consueto, resta altrettanto possibile, se non addirittura probabile. Così verso la parte meno estrema dello spettro, eppur rientrando certamente nella categoria in oggetto, troviamo un piccolo abitante delle coste meridionali d’Oceania, presso le ultime spiagge del pianeta fino alle propaggini del continente congelato del Sud; probabilmente, lo conoscerete di fama. Altrettanto probabile, è che non l’abbiate mai visto: poiché non è affatto facile, trovare, fotografare e giungere a toccare il Phycodurus eques, uno dei pesci più incredibili e accuratamente mimetizzati del suo intero gruppo. Al punto da assumere non soltanto il colore, ma anche la forma e le movenze automatiche del substrato che abita, in prossimità di recessi rocciosi, strutture costruite dall’uomo e bassi fondali diseguali. Non si tratta, in altri termini, di un abitante delle massime profondità. Né del resto avrebbe la necessità di spingersi fin laggiù, quando il suo camuffamento è tanto straordinariamente efficiente, e per di più perennemente attivo, visto come l’evoluzione lo abbia reso ciò che è, fin dalla nascita, in maniera affine ad una subdola stregoneria.
Sarebbe ben difficile, del resto, non restare basiti di fronte a tanta insolita bellezza: il dragone foglia, come viene comunemente chiamato, è una creatura lunga generalmente fino a 24 cm completamente ricoperta di escrescenze dalla forma chiaramente vegetale, che si diramano dalla sua testa, dal collo, dal dorso e dalla coda. Tuttavia, contrariamente a ciò che potrebbe sembrare, esse sono immobili e non aiutano nella locomozione; gli unici strumenti di locomozione della creaturina sono infatti due pinne semi-trasparenti, che gli permettono di muoversi in maniera estremamente cauta, venendo preferibilmente trasportato via dalla corrente. Il che è assolutamente proprio, e desiderabile, perché lo assiste nel passare ulteriormente inosservato. Mentre gli occhi di un sub umano, allenati e propensi ad individuare una cosa tanto meravigliosa, inevitabilmente riescono a scoprire i suoi tratti fisici al di là dell’apparenza, tra cui il lungo muso incurvato verso l’alto, che fa pensare da vicino alle narici di un coccodrillo, e per inferenza, a quelle dei protagonisti sputafuoco dei bestiari medievali. Che tuttavia non serve affatto nella respirazione (il pesce dispone di caratteristiche branchie con aperture circolari) ma costituisce piuttosto una sorta di piccolo aspirapolvere, usato nel fagocitare i gamberetti ed il krill di cui si nutre l’affascinante proprietario. La testa, dal canto suo, ha una forma notevolmente allungata, non del tutto dissimile da quella del cavalluccio marino comune, che dopo tutto appartiene pur sempre alla stessa famiglia dei Syngnathidae. Ma è il resto del corpo, a risultare totalmente fuori da ogni termine di paragone: il dragone foglia, nel suo tentativo di assomigliare per quanto possibile a un rametto sradicato,  è ricurvo e tortuoso, proprio come i temutissimi serpenti riportati agli angoli delle tradizionali mappe nautiche. La somiglianza con la creatura delle fiabe e leggende che gli da il nome in effetti, almeno da questo particolare punto di vista, risulta essere assolutamente lampante. Ma non pensate di toccarlo…

Leggi tutto

La lumaca più grande che abbiate mai visto

Black Sea Hare

A seguito delle feroci scorribande, i pirati si recavano presso una spiaggia nota solamente a loro, scavavano una buca e vi depositavano una parte del bottino. Ciò rappresentava, se vogliamo, il gruzzolo per la vecchiaia, la loro pensione. Ma la vita in mare è già davvero molto dura, e questo senza aggiungere i problemi di un brutale fuorilegge. Così questi individui, predoni e malviventi, spesso finivano per incontrare da vicino palle di cannone, lame di baionetta, punte di sciabola o i denti acuminati di uno squalo, dopo essere stati gettati fuoribordo dalla vittima che si trasforma in trionfatore. Lo scrigno del tesoro, dopo un tale evento, rimaneva incustodito per chiunque avesse voglia di cercarlo, ricordando, come da manuale, che la “X” marca il punto, ma non sempre puoi sapere ciò che troverai laggiù. E non è poi così diversa dalla vita del cacciatore di tesori, anche quella del naturalista cercatore, colui che cerca di trasmettere la sua passione, in Tv o sul web, mediante l’entusiasmo di scovare le creature più bizzarre, misteriose, all’apparenza aliene del pianeta Terra. Coyote Peterson, protagonista di tre differenti serie dagli alti valori di produzione ospitate sul suo canale Brave Wilderness, è molto bravo in questo. Perciò quando l’abbiamo visto dirigersi verso le pozze di marea (tidal pools) sulle coste del Pacifico, in prossimità della città di Los Angeles, ben sapevamo che lì c’era un qualche cosa di straordinariamente speciale, una creatura degna di essere spontaneamente approfondita. La lepre di mare, grossa e nera, più impressionante che sia mai stata inquadrata da telecamera umana.
Ci si arriva per gradi, ovviamente. Altrimenti come sarebbe mai possibile costruire un adeguato grado di suspense? In questa occasione speciale, il conduttore si è anche procurato l’assistenza di Aron Sanchez, presentato al pubblico come un esperto di questo particolare bioma naturalistico, caratterizzato da significativi e frequenti processi di mutamento ambientale. I due a quel punto, senza neppure l’aiuto di una vanga o un coltello fra i denti per autodifesa, iniziano a cercare in parallelo il ricco patrimonio vivente di cui sopra, la cui presenza, per quanto assai probabile, pare stranamente ardua da riconfermare nel momento attuale. Anche perché il gesto stesso di muoversi nel mezzo degli scogli tra cui l’acqua resta ferma da una fase all’altra della giornata, e proprio per questo rese frastagliate e scivolose come non mai, richiede un senso d’equilibrio e una cautela che probabilmente, eluderebbe i più. Non è certo un caso se questa particolare location, pur con tutte le sue notevoli attrattive naturalistiche, risulta vergine di strutture artificiali e ragionevolmente incontaminata dal turismo. Cammina e ri-cammina, proprio quando i due sembravano pronti a gettar via la spugna (ma questo forse era dovuto) si ode Sanchez che conferma, esultante: “L’ho trovata!” (per i più impazienti, succede al minuto 3:44). Sulla scena accorrono, dunque, Coyote con la telecamera. Per mostrarci qualcosa che non dimenticheremo tanto facilmente.
La lumaca era lì, in attesa. Un mostro da 60 cm abbondanti, peso stimato: 4 Kg e mezzo. Ma sia chiaro che siamo assolutamente nella normalità di questa particolare specie di gastropode opistobranchio, la Aplysia vaccaria, creatura che comunemente viene definita lepre di mare nera. Il libro Pacific Coast Nudibranchs di David Behrens, pubblicato per la prima volta nel 1980, citava addirittura un esemplare da record che fu registrato misurare 99 cm dalla testa alla punta della coda, per ben 14 Kg di peso. Praticamente, quello di un cane di taglia media. Chi avrebbe potuto esimersi, trovandosi dinnanzi a un tale essere, dal tendere le mani e raccoglierlo immediatamente, per portarselo a pochi centimetri dal volto? Certo non lui…

Leggi tutto

L’uccello che raggira la tribù dei suricati

Drongo

In Australia e Nuova Zelanda, se vuoi dare blandamente dello sciocco a qualcuno, c’è un’usanza che prevede di chiamarlo drongo. Parola che proviene direttamente dal nome di un uccello simile ad un merlo, dal comportamento insistente ed ossessivo, che ripetutamente si tuffa giù dai rami degli alberi, plana fino a terra, fruga nell’erba in cerca di cibo e poi ritorna precipitosamente all’elevato punto di partenza. Quindi, nel silenzio e nello stato d’immobilità, saltuariamente lancia un grande grido, simile a un terribile starnuto. Nell’interesse dell’analisi situazionale, ipotizziamo di essere distanti dalla stagione degli accoppiamenti. L’obiettivo di un tal suono non si palesa quindi chiaro, e sembrerebbe solamente un qualche bizzarro sfogo personale. Ma le apparenze spesso ingannano, o come in questo particolare caso, vengono fraintese da chi ha poco senso d’osservazione. Perché il drongo (Dicrurus) in effetti, potrebbe essere tra i volatili più intelligenti di tutto il suo areale, che si estende dagli stati d’Oceania fino all’Indonesia, e da lì in Cina, in India e… Africa, per l’effetto di una colonizzazione che risale a circa 15 milioni d’anni fa. Qualcuno, in via preliminare, ha addirittura ipotizzato che esso sia dotato della capacità intellettiva definita teoria della mente, ovvero l’abilità di astrarre e comprendere le altrui intenzioni. Una dote riscontrata, per via sperimentale, unicamente negli scimpanzé, in alcune specie di pappagalli e nei corvi. E che lui sfrutta, con intento alquanto turlupinatorio, al fine di semplificarsi per quanto possibile la vita. Assieme all’altra dote innata di cui è dotato, che consiste nell’imitazione esatta del verso di moltissime altre specie d’animali.
È una combinazione veramente scoppiettante, questa qui… Volete un esempio? Vi basterà osservare all’opera questo esemplare di Dicrurus adsimilis, drongo dalla coda biforcuta o drongo comune africano, che si era trovato suo malgrado con il ruolo di protagonista principale di un documentario della BBC Earth, che come suo solito distribuisce lo spezzone rilevante tra il pubblico di Internet, specificando la sua provenienza dalla serie intitolata Africa, con l’irrinunciabile commento audio del naturalista Attenborough. E ci sarebbe veramente di che lamentarsi, da parte dell’uccello, se non fosse che per sua fortuna, i suricati caduti preda delle sue furbizie non dispongono di apparecchi radio-televisivi. Il suo segreto metodo, dunque, resta al sicuro qui con noi. E che approccio, quale piano diabolico! Tutto inizia con quella che potrebbe essere definita, in linea di principio, la classica interrelazione di mutua assistenza del regno animale. Un rapporto simbiotico, in cui il drongo, pur non facendo parte del famoso branco molto unito di queste agili manguste scavatrici sul confine del Kalahari, fornisce loro un valido supporto, agendo da vedetta contro il sopraggiungere dell’occasionale, pericolosissimo uccello predatore. Vedendo il falco di turno, quindi, il nostro passeriforme emetterà istintivamente il suo richiamo d’allarme, che i mammiferi hanno appreso a riconoscere, alla stregua del complesso sistema di vocalizzazioni che essi impiegano per comunicare tra loro. Soltanto a quel punto, fatto il suo dovere, il sagace pennuto si metterà in salvo dal formidabile rapace in arrivo. Quale splendido altruismo, nevvero? Non ci piove (del resto, siamo estremamente vicini al quarto maggior deserto del pianeta). Tranne che… Non tutte le allerte del Dicrurus sono esattamente, per così dire…Vere. Può qualche volta capitare, infatti, e capita in effetti almeno due-tre volte al giorno, che l’uccello chiami senza che sussista alcun tipo di pericolo. Il che è davvero molto vantaggioso per lui. La casistica vuole, infatti, che in un dato momento X ciascuno dei suricati all’opera immediatamente fuori dalla propria tana, stia svolgendo unicamente quell’attività che consiste nell’effettuare la raccolta di provviste, per se stesso, per la femmina rimasta a guardia dei cuccioli e per loro, la vociante progenie di un popolo fin troppo delizioso (per il falco, per la iena, per tutti gli altri assatanati predatori…) Ma soprattutto pare che, una volta spaventato e intento a trarre in salvo la sua pelle, il suricato medio tenda a far cadere il proprio insetto, verme o scorpione di turno, lasciandolo del tutto incustodito sul crepato suolo delle lande equatoriali. Ed è allora che l’uccello, mostrando infine i suoi veri colori, piomba giù dal ramo soprastante, ruba tutto il possibile e immediatamente se ne vola via. Dico, ve l’immaginate? Derubati da una svelta cornacchietta nota come “la non-troppo intelligente”. Non è proprio un aneddoto da raccontare alle feste…

Leggi tutto