Il vecchio sogno di far muovere le ruote in ogni direzione

Airtrax Wheels

Considerate il paradigma del cane che riporta in bocca il lungo bastone, preziosa risultanza di un’ora di gioco. Inizialmente felice, perché può portare quel giocattolo al sicuro ed iniziare a masticarlo, ma progressivamente sempre più frustrato, quando si scopre impossibilitato a farlo transitare ben stretto tra i denti attraverso l’apertura di una porta, un cancello, tra due pali di una staccionata… Al di là di quello spazio, insomma, che ha una larghezza insufficiente. A meno che… Ma no, non è possibile! Gli animali non comprendono la geometria. Essi non possono decidere, di punto in bianco, che una cosa che non entra “per largo” potrebbe ritrovarsi invece trasportabile, se soltanto compi il balzo d’immaginazione necessario a voltarla di lato. Eh si, povero Fido. Misero Spot. Sventurato Vercingetorix Lupus-Lupii con 16 borchie sul collare in cuoio nero. Essi non comprendono la verità. A differenza, si spera, di noi esseri dal cranio sovradimensionato, che scrutano e comprendono i problemi dall’alto scranno del Mondo, per lo meno finché… Non si ritrovano alla guida di un muletto. Chiunque tra voi abbia mai svolto l’opera del magazziniere, ben conosce certamente la questione. Del capo che ti da l’incarico di trasportare un trave, un lungo pannello o altri simili oggetti dalla forma oblunga, senza un occhio di riguardo alla larghezza degli spazi che dovremo ritrovarci a superare: “Ti pago pure per pensare, stimato dipendente. Quindi trova TU la soluzione.” E noi che ci troviamo ad inforcare, doverosamente, l’ingombrante oggetto col sistema di sollevamento, soltanto per scoprirci, inevitabilmente, impantanati nello stesso fango metaforico del caro amico cane. Perché un veicolo su ruote convenzionali, da che il cavernicolo della Settimana Enigmistica scolpì la tale cosa nella dura roccia di 15-20 milioni d’anni fa, non ASSOLUTAMENTE voltarsi DI LATO e PROSEGUIRE nella MARCIA!? Dico io, stiamo scherzando? È un sogno, questo?
Si, si, lo è stato. E ora continua ad esserlo più che mai, mentre sopra futuro si addensano le nubi argentee gravide di auguste possibilità. Ma cominciamo, molto giustamente, dall’inizio dell’intera storia. Era la calda estate del 1919, quando l’americano Joseph Grabowiecki pensò ben di brevettare per la priva volta il concetto di una “Ruota per veicolo” dotata di una serie di rulli girevoli perpendicolari al senso di marcia, i quali potevano sostanzialmente essere usati per spingere il mezzo, la piattaforma o il carrello che le montava in senso trasversale, arrivando addirittura, quando necessario, a farli ruotare letteralmente su loro stessi. L’applicazione del concetto in questa configurazione finì tuttavia per rivelarsi sorprendentemente limitato, tanto da non permettere all’interessante tecnologia di prendere realmente piede, soprattutto in funzione della poca flessibilità d’impiego. Fu così che nel 1972, Josef F. Blumrich dell’Alabama pensò di creare una versione diversa della ruota, in cui i rulli assumevano la forma essenzialmente di un doppio barattolo di yogurt, diventando così capaci di assicurare una buona presa sul terreno anche in presenza di salite o asperità. E secondo la definizione ufficiale del brevetto, furono proprio queste le prime “Ruote omni-direzionali” al mondo. Ciò lasciava pienamente in forza il problema principale, tuttavia, del come trasmettere il moto trasversale al mezzo di trasporto. Nell’applicazione moderna di un simile sistema, utilizzato ad esempio nel campo della robotica, generalmente viene prevista almeno una quinta ruota messa di traverso, anch’essa dotata di rulli onde essere perfettamente trascinabile nel senso convenzionale di marcia. Ma è difficile che simili apparati, nonostante il grado di sofisticazione del sistema di controllo, possano realmente muoversi con assoluta libertà in qualsiasi direzione, tanto che la prassi di utilizzo preferita diventa quella che prevede di fermarsi, girare su se stessi e poi procedere nel senso preferito. Il vero movimento diagonale, inoltre, risulta un miraggio difficile da perseguire. Ma niente paura: a questo mondo c’è di meglio. E l’avrete probabilmente già visto, in quel video di apertura che costituì, fino al 2008, il biglietto da visita multimediale della compagnia statunitense Airtrax, produttrice di una particolare versione proprietaria della ruota Mecanum, risalente al 1973. Che fu inventata, soltanto un anno dopo l’imperfetta creazione di Blumrich, dall’inventore svedese Bengt Ilon da cui talvolta prende il nome l’intera idea (l’altro appellativo derivava dal nome della sua azienda di trasporti, la Mecanum AB). La ruota Ilon, in parole povere, prende i rulli trapezoidali della Omni e li riposiziona, imprevedibilmente, in senso diagonale rispetto a quello della marcia normalmente prevista. Il che, prevedendo un allestimento motoristico che permetta di far ruotare ciascuna ruota in maniera indipendente in un senso oppure nell’altro, da luogo a tutta una serie di opportunità di movimento. Analizziamo, dunque, le diverse possibilità: caso 1) tutte le ruote girano avanti o indietro. Il veicolo si muove nella direzione scelta, con soltanto un piccolo spreco di energia dovuto alla tendenza dei rulli a spingere, rispettivamente, verso l’intero o l’esterno. Caso 2) le ruote di destra girano in un senso, quelle di sinistra nell’altro. Il veicolo si riorienta facilmente voltandosi su se stesso, esattamente come fatto dai migliori mezzi cingolati. Ma riesce a far questo senza necessitare dell’alta potenza dei motori in stile carro armato, che devono far fronte all’attrito del suolo, e soprattutto in assenza dei danni causati normalmente da simili veicoli alla superficie su cui viene effettuato il movimento. Non a caso, l’applicazione pratica della Airtrax nasceva da una precedente collaborazione tecnologica con la Marina degli Stati Uniti, che un simile sistema lo impiegava all’interno delle portaerei, per spostare liberamente carburante e munizioni senza incappare nel pericoloso paradigma del cane. E tutto sembrava andare per il meglio, se non che…

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In viaggio sulla strada più pericolosa del selvaggio Colorado

Black Bear Pass

Hai già pensato a dove andare per le ferie di quest’estate? Ho una proposta fantastica per te: Telluride. Grazie! No, non era uno starnuto, ma il particolare appellativo scelto verso la metà del XIX secolo per una futura ridente cittadina sita nell’entroterra degli Stati Uniti, a partire dalla definizione informale dell’omonimo minerale impuro, costituito dall’oro mescolato a vari elementi del gruppo 16 (i calcogeni) tra cui zolfo, polonio, selenio e tellurio. E soprattutto a quest’ultimo, come ben sapevano anche i cacciatori d’oro di queste terre, che spesso ne trovavano pepite intere dal valore non troppo significativo, ma considerate dei chiari segni rivelatori della presenza di metalli più preziosi e in profondità. Peccato che, per uno scherzo del destino, nell’intera storia di questa località non sia mai stata trovata una singola roccia di telluride. Ma per fortuna, giacimenti quasi altrettanto validi di zinco, argento, piombo e rame, nonché occasionalmente d’altre leghe con l’oro. Comunque redditizi…Purché si contengano le spese operative. La storia dei minatori che elessero questo luogo a loro dimora, dunque, fu percorsa dagli alterni casi del sistema capitalista di frontiera, con condizioni di lavoro non sempre eccellenti, i conseguenti scioperi e soprattutto un grave problema di fondo, destinato a rimanere insuperabile per molti dei lunghi anni a venire: l’accessibilità. Telluride si trova infatti sul fondo di quello che viene definito in gergo, box canyon (un c. a scatola) ovvero una depressione nel territorio chiusa sui tre lati ed aperta su uno soltanto. Proprio per questo, e dato che gli ingressi delle miniere si trovavano disseminati sulle pendici delle montagne stesse, l’unica via d’accesso ragionevolmente percorribile verso il centro cittadino era una pericolosa mulattiera con partenza dalla strada statale n° 550, che partendo dalla sommità del Passo della Montagna Rossa ad un’altezza di 3.358 metri, discendeva fino ai 2.667 ove si trovavano la banca ed il saloon. Istituto di credito, tra l’altro, che fu il primo ad essere rapinato dal famoso bandito Butch Cassidy (che onore!) Ma questa è veramente un’altra storia. Quindi nel 1891, con l’arrivo della ferrovia del Rio Grande, questo sentiero cosiddetto dell’Orso Nero venne chiuso, anche in funzione dei numerosi incidenti che vi si verificavano nei mesi invernali, quando la neve lo rendeva sdrucciolevole ed infìdo. E in un paese per così dire eccessivamente attento al concetto di sicurezza civile, forse sarebbe andata a finire così. Mentre nella terra dei Liberi e dei Fieri…Successe ad un certo punto che qualcuno inventò la Jeep. Chi è il governo, per dirmi che non posso avventurarmi verso la totale dannazione? Quale poliziotto può frapporsi tra me e il concetto puro d’avventura? Attorno agli anni ’60, il sentiero venne riscoperto e qualcuno vi dispose uno storico cartello, che recita: “Di qua per Telluride, Città dell’Oro. 12 miglia – 2 ore. Non devi essere pazzo per fare questa strada. Ma aiuta – JEEPS ONLY .”
La logica farebbe pensare che se reggere il volante di una fiammante fuoristrada attraverso il procedere scosceso ed arzigogolato di un tragitto montano è divertente, come d’altro canto osservare dall’alto un panorama nuovo è sempre un’esperienza degna di essere sperimentata, le due cose assieme dovrebbero costituire il non-plus-ultra di un’esperienza di vacanza, tale da riempire la giornata con ricordi splendidi e una plètora di bei momenti. Ora non è veramente chiaro, nell’udire l’interscambio quasi comico tra la coppia marito e moglie di Bill ed Elfie Tower, autori di questo video veramente singolare, se lui si sita effettivamente divertendo. Ma la sua beneamata consorte, almeno a giudicare dagli impròperi e maledizioni varie, sembrerebbe proprio di no. Come biasimarla… L’esperienza di un simile tragitto non è certo adatta a chi soffra di vertigini, con stretti tornanti in bilico verso il dirupo all’apparenza senza fondo, e la continua necessità di far manovra, spingendo il proprio cofano verso il baratro e la pressoché sicura dannazione, mentre la soave musica country dell’autoradio ti accompagna verso l’aldilà. Il loro viaggio, così accuratamente documentato con un video di ben 20 minuti, diventa quindi l’occasione di scoprire quella che costituisce, senza la benché minima ombra di dubbio, una delle strade più incredibili del mondo.

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Questo veicolo consuma meno di una lampadina

Eximus 1

Un nuovo record mondiale si fa strada dalla cittadina svedese di Delsbo, in prossimità del lago Dellen Settentrionale e non poi così distante dalle coste del Mar Baltico, tra le acque gelide che bagnano l’Europa del Nord. Che costituisce la risposta pratica ad una domanda che un po’ tutti ci siamo posti, prima o poi: possibile che spostarsi su rotaie debba sempre comportare, nonostante il costo ridotto per singola persona rispetto all’automobile, un’impronta carbonifera comunque sufficiente a consumare ulteriormente le risorse del pianeta? E cosa succederà, nell’imminente giorno dell’esaurimento delle risorse fossili, quando tutto quello che ci rimarrà a disposizione saranno un paio di pedali, l’eolico, l’energia del Sole… Sarà forse a quel punto, che ci ricorderemo dell’opera del team di studenti dell’Università di Dalarna, che come già molti altri gruppi simili a loro, hanno tentato di applicare la loro mente priva di preconcetti ad un problema che ci assilla tutti quanti, per vincere un premio in denaro non propriamente straordinario, ma riservando uno spazio per la propria creazione in una pagina importante dell’antologia motoristica dei nostri tempi. Eximus 1, dal termine latino che significa “straordinaria” questo è il nome di quella che si potrebbe definire una vera e propria locomotiva leggera, del peso di appena 100 Kg ma in grado di trasportare facilmente un equipaggio di cinque persone lungo i 3,36 Km del tratto ferroviario che collega Delsbo a Fredriksfors, completo di un dislivello complessivo di 3 metri. E tutto questo, consumando un valore comprovato di appena 0,84 wattora a persona, laddove una lampadina al neon ne fagocita tranquillamente 3,5, e sia chiaro che si tratta di un dato che viene considerato, ad ogni modo, estremamente positivo. La competizione rilevante, denominata semplicemente Delsbo Electric, prevede in effetti la partecipazione a ciascun viaggio di un numero variabile tra 1 e 5 persone, dal peso medio di ALMENO 50 Kg, sulla base delle quali vengono quindi scalate le misurazioni finali. Di conseguenza, un veicolo dalla capacità di trasporto superiore, come la Eximus, non viene in alcun modo svantaggiato. Il che costituisce forse l’aspetto maggiormente significativo di questa particolare competizione rispetto a quella che l’ha ispirata, la quadrimestrale Shell Eco-marathon, in cui la convenzione prevede che ciascun veicolo trasporti unicamente il suo pilota. Un concetto chiaramente finalizzato alla presentazione di dati ancor più sfolgoranti, ma che avrebbe esulato in qualche maniera dal concetto di cui sopra, che vede i mezzi di trasporto che utilizzano la strada ferrata come una risorsa di ottimizzazione ulteriore del consumo, proprio in funzione del numero di passeggeri contenuti al loro interno.
Contenuti: stipati, inscatolati. Il veicolo in questione, in effetti, per lo meno in questa sua prima iterazione, non si è propriamente fatto notare per il comfort di utilizzo, visto il suo corpo interamente in alluminio, sia dentro che fuori, senza alcun occhio di riguardo a qualunque cosa avrebbe fatto lievitare il peso. La carlinga aerodinamica, con una prua esteticamente simile a quella dello Shinkansen giapponese (benché ovviamente a scala molto più ridotta) vedeva inoltre l’unica apertura di una lastra trasparente in plexiglass, mentre per il resto gli occupanti erano stati sostanzialmente chiusi dentro all’equivalente motorizzato del tipico barbecue da esterni in stile americano. Non era del resto necessario godere di una visibilità eccellente su ogni lato, visto come la competizione prevedesse l’impiego su rotaie, e con l’unico attraversamento potenzialmente pericoloso di quella che il sito ufficiale definisce “una strada molto trafficata”. Benché immagino che fosse stato, per lo meno, abbassato il passaggio a livello. L’intero tragitto ha richiesto un tempo di circa 20 minuti, durante i quali il motore elettrico, alimentato con tre batterie, è stato accesso soltanto per 110 secondi, lasciando che l’Eximus procedesse per inerzia nella rimanente parte della sua impresa. Una tecnica, oltre che logica, comprovata da una lunga storia di esperienze studentesche pregresse…

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Come trovare il platino per strada

Cody's Platinum

È un esperimento, fondamentalmente. Nient’altro che uno studio di fattibilità su un processo che, svolto in una simile maniera, non potrà mai essere in alcun modo profittevole o proficuo. Il che non significa, del resto, che un’adattamento alla prassi dell’economia di scala, con grandi attrezzature, macchine e strumenti, non possa in un futuro trasformare questa attività in qualcosa di diffuso e totalmente quotidiano, per aziende pubbliche o private che poi mettano in commercio lo splendente materiale in massa, con un probabile immediato crollo del mercato. Nei primi minuti dell’intero processo, tuttavia, appare fin troppo chiaro che Cody ed il suo amico Arthur, l’ospite del presente video, al momento di girarlo fossero stati invasati dal demone della pura scienza. Altrimenti come potresti mai spiegare, la folle scena in cui i due coraggiosi, senza neanche l’ombra di un gilè catarifrangente, si sono avventurati con altrettante scope presso un viale a 6 corsie alle 3 di notte, con l’unica protezione della loro fida berlinetta con i lampeggianti accesi, a mettere in guardia chiunque dovesse sopraggiungere rischiando un incidente catastrofico e letale…Ma il guadagno ecco, il guadagno fa l’uomo… Imprudente.
Perché un’automobile, da certi inaspettati punti di vista, è fatta esattamente come una persona. Ha due occhi per guardare, orecchie, gomma zigrinata sotto i piedi. Ha un esterno resistente alle intemperie ed un interno morbido, ricolmo di strumenti utili al suo procedere da un luogo all’altro con estrema nonchalance. E una tale analogia, per quanto all’apparenza ardimentosa, può trovare il suo riscontro addirittura nei dettagli: vedi, per esempio, l’intestino. Perché al termine del nostro tratto digerente, una volta che il prezioso cibo ha già percorso l’esofago e lo stomaco, ciò che segue nel suo viaggio è un lungo tunnel, pieno di anse e punti ciechi, dove gli enzimi si attivano ed assorbono una parte addizionale del prezioso quibus nutritivo. Mentre prendi un mezzo a quattro ruote, mettilo sul ponte del meccanico ed osserva bene il suo squadrato deretano: cosa vedi? C’è un oggetto, poco prima del tubo di scappamento, che ha una forma esterna simile a un barattolo cavo all’interno, ma è in realtà riempita da innumerevoli cellette, come un alveare. Sarebbe questa la marmitta catalitica, dove i gas di scarico sono rallentati, grazie all’uso di una simile struttura, e quindi intrappolati, esattamente come le sostanze da noi masticate che finiscono laggiù, per aiutarci a camminare, parlare, respirare. Con una significativa differenza: poiché un’automobile non è vivente, e per funzionare essa consuma un qualche cosa che è tremendamente velenoso, non può essergli permessa la defecazione incontrollata. Almeno una parte, di simili scorie, devono restare lì, all’interno. Ed è una furba applicazione della chimica, quella che ha permesso agli ingegneri di risolvere il problema; poiché esistono metalli PREZIOSI, a questo mondo, che possono indurre la trasformazione degli ossidi d’azoto in puro azoto, e il monossido in anidride carbonica, ovvero CO2. Che non sarà la più desiderabile delle sostanze ma almeno, non uccide gli scoiattoli che vivono sui margini dell’autostrada. Per questo, all’interno del convertitore catalitico di un’auto nuova, possono esserci tra i 6 ed i 15 grammi di platino, palladio e rodio, ben nascosti tra i villi e cavilli della complessa struttura interna. Fino a 30, se si tratta di un SUV.
Il che ci porta a una questione estremamente suggestiva. Perché pare che, e ce lo racconta in questo caso il grande sperimentatore del canale Cody’s Lab, chiunque abbia mai lavorato con delle marmitte catalitiche ben conosca un incredibile segreto. Relativo al fatto che, dopo aver percorso 100.000 miglia, all’interno della marmitta resti la metà del contenuto originario in simili metalli. Come se la rimanente parte, per uno strano caso del destino, fosse destinata a volatilizzarsi assieme al carburante che in forma gassosa, li attraversa con grande violenza e velocità. Ma il punto, semmai, è un altro: perché l’esperienza ci insegna che i metalli di questo mondo, fra tutti gli elementi della tavola periodica, sono quelli meno propensi a mutare dallo stato solido, essere lanciati ad alta quota e scomparire tra la polvere di stelle. Mentre ciò che sempre fanno, per innata predisposizione, è ricadere sul terreno, soggiacervi, quindi scomparire tra gli strati superiori dei sedimenti, molto più leggeri. Ora, l’ambiente naturale dell’automobile è la strada, dove non esistono processi geologici (di questo noi ci siamo assicurati, per ovvie ragioni) ma si verifica comunque un qualche tipo di deposito costante: quello dello sporco, la polvere la spazzatura. Certo, quanto platino può perdere una singola automobile, in un tratto y di strada? Però quante auto passano, ogni giorno, presso i più importanti svincoli e le vie di scorrimento?
I conquistadores spagnoli, al volgere della scoperta del nuovo mondo, viaggiarono tra le giungle sudamericane alla ricerca della mitica città di El Dorado, in cui si diceva che le strade fossero lastricate d’oro. Non la trovarono mai, o almeno questo è quello che ci è stato detto. Ma è possibile che invece, le nostre vie asfaltate di maggior impiego, siano segretamente ricoperte del singolo metallo più prezioso di questa Terra? Vediamo un po’…

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