Il paradigma digitalizzato dell’abnorme anuro verde rana

L’ingegno è che in definitiva, anfibi tanto grandi non sono del tutto inauditi nel vasto catalogo del regno animale: tanto per cominciare, pensate all’ingombro niente affatto indifferente della rana toro, capace di raggiungere i 20 cm e 750 grammi di peso. O perché no i sirenidi da un metro ed oltre, con la loro lunga e tozza coda, anticipata da un paio di zampe sproporzionatamente sottili. Ed è soltanto con l’ingresso nel teatro delle salamandre giganti, da un metro e mezzo, un metro virgola sette ed uno virgola otto (rispettivamente Giappone, Cina e Cina meridionale) che la situazione inizia a farsi decisamente seria, rivaleggiando l’ingombro di qualsiasi creatura in grado di sopravvivere senza fatica in un ambiente composto esclusivamente da un fiume o uno stagno. Eppure c’è qualcosa nella rana Dumpy (una she, ovvero femmina, indipendentemente dal genere della parola) orgogliosamente esibita dal TikToker Lucas Peterson, capace di ottenere nel corso dell’ultimo anno un aumento esponenziale dei suoi followers grazie all’impiego di una scioccante serie di corti video. In cui molto semplicemente, documenta le caratteristiche biologiche e il comportamento del proprio animale domestico senza fare alcuna menzione dell’elefante, anzi pardon, batrace, situato al centro dell’inquadratura. Verde, statica, pensierosa e silente, come sono solite apparire le altre appartenenti alla sua stirpe almeno finché non si sentono minacciate. E di sicuro potrebbero esserci ben pochi predatori, nell’ambiente domestico o naturale, in grado di mettere in difficoltà un’agile saltatrice di questa stazza. Grossa almeno… Il doppio della sopracitata L. catesbeianus, potendo contare inoltre su di una conformazione fisica molto evidentemente adatta ad arrampicarsi sugli alberi, con lunghe zampe e polpastrelli ampi in grado di fare presa sulla corteccia più liscia e priva di alcuna asperità residua. Il che introduce a stretto giro il principale nesso di rilievo o apparente singolarità della faccenda, perché rane come queste, della specie australiana Ranoidea/Litoria caerulea, raramente superano i 10 centimetri di lunghezza, potendo in altri termini entrare comodamente nel palmo di una mano d’influencer adulto. Siamo dunque innanzi ad un esempio decentrato dell’effetto imprevedibile delle radiazioni di Fukushima? Assurdo! Una creatura accidentalmente colpita da un raggio d’ingrandimento prodotto della tecnologia aliena? Non scherziamo! Forse viviamo all’interno di The Matrix? Ecco, in un certo senso…

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La volubile creatività del granchio che voleva stare solo col suo cappello

In un laboratorio giapponese, tra luci fredde e impersonali, sotto lo sguardo attento di scienziati della stessa nazionalità, una spugnetta per i piatti giapponese viene gradualmente sezionata e ritagliata a misura. Le sforbiciate procedono in maniera equa, ponderata e senza un briciolo d’asimmetria evidente. I presenti trattengono il fiato… È questo il momento, a dire il vero, in cui dovrei specificare come l’attuatore principale dell’esperimento non sia neanche lontanamente umano. Bensì appartenente alla genìa del mare che assomiglia vagamente ad un artropode di terra, così perfettamente adattata per la vita sui fondali da non possedere neanche l’ombra di una coda, uropode o telson. Il quarto segno zodiacale dell’oroscopo, se voi credete a queste cose, benché sia oggettivamente difficile trovare una versione della vita più efficiente a sopravvivere nel suo particolare habitat d’appartenenza. Cancro, granchio o Brachyura e così via a seguire, in questo particolare caso appartenente al grande gruppo familiare dei dromiidi o “granchi pelosi della spugna”. Come quelle, per l’appunto, che la scaltra piccola creatura è solita trovare per gli oceani senza tempo, al fine di agguantarla e trasformarla nel suo personale mobile giardinetto. Cosa molto pratica ed indubbiamente funzionale ad uno scopo, come nel caso di moltissimi altri granchi praticanti dell’antica arte della decorazione, sperando ed ottenendo molto spesso di passare inosservati tra il paesaggio marino. Benché in questo caso rilevante il valore aggiunto di quel gesto può essere individuato nella dotazione spesso tossica o comunque scarsamente commestibile di quel tessuto vivente, con cui gli abitanti sono soliti agghindare il proprio ruvido carapace. Stabilendo un qualche tipo di relazione commensale se non proprio mutualmente vantaggiosa, che concede o loro stessi, per quanto possibile, di estendere la propria vita a discapito di eventuali famelici predatori. Da che l’idea di Keita Harada, col suo collega Katsushi Kagaya nel 2019 e presso il laboratorio marino di Seto, di provare a determinare i limiti precisi del comportamento istintivo di un campione di granchi appartenenti alla specie Lauridromia dehaani. E capire fino a che punto possono davvero essere pronti ad accontentarsi, di fronte a possibili opzioni non propriamente ideali. Cui avrebbe fatto seguito l’anno successivo un secondo studio, pubblicato nuovamente sulla rivista bioRxiv, in merito a uno studio matematico delle possibili variazioni comportamentali dei granchi. Già perché sorprendendo pressoché tutti e deludendo praticamente nessuno, la stessa squadra di ricerca avrebbe ben presto scoperto come non soltanto i questi ingegnosi crostacei sembrino poter ricorrere a una vasta pletora di materiali e soluzioni per la creazione della loro magica coperta. Bensì addirittura che ciascun singolo esemplare tenda a preferirne, in maniera almeno apparentemente arbitraria una al posto di tutte le altre. Il che in effetti molto poco corrisponde, al preconcetto di automi a malapena pensanti che siamo soliti attribuire alle comuni tipologie di granchi. Una notevole opportunità, se vogliamo, di stringere ulteriormente l’effimera chela della conoscenza…

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Così è tornato dopo mezzo secolo (forse) il draghetto dell’erba e del sole

L’estinzione di una creatura è soltanto raramente in grado di presentarsi come un singolo e preciso evento, da segnare in modo inequivocabile sul calendario. Benché ciò possa succedere, se qualcosa è andato fondamentalmente per il verso sbagliato, come nel caso del Tilacino o Tigre della Tasmania: un singolo esemplare mantenuto in uno zoo, che spira nella più totale assenza di qualsiasi opportunità riproduttiva. Molto più comune, ed egualmente triste nel suo risultato finale, è la graduale presa di coscienza che creature un tempo onnipresenti sono diventate progressivamente rare, quindi quasi impossibili da incontrare. Ed infine, soltanto un vago ricordo. Ed è così che in epoche antecedenti a quella moderna, nascevano infinite leggende sui criptidi e mostri di varia natura, ivi incluso quello totalmente imprescindibile d’infine leggende o saghe: il drago. Mentre in Australia, dove il distintivo folklore dei nativi e la relativa ragionevolezza dei coloni, giunti presso questi lidi soltanto ai margini del XIX secolo, un tale appellativo è stato da sempre riservato ad una forma di vita biologica effettivamente e materialmente presente in queste terre, almeno fino all’epoca in cui i Beatles stavano ancora rilasciando alcuni dei loro dischi più famosi. Tympanocryptis, hai presente? [La lucertola] “con le orecchie nascoste” ed a dire il vero anche incomplete, poiché mancanti di alcun tipo di apertura riservata nella pelle scagliosa ed un vero e proprio timpano funzionante. Il che è oggettivamente insolito nel mondo degli agamidi e basterebbe a dare a simili creature, imparentate alla lontana con le iguane, un aspetto sottilmente inquietante. Se non fosse che stiamo parlando di animali non più lunghi di una quindicina di centimetri, in base alla specie, ed oggettivamente anche piuttosto graziosi. Poiché di varietà riconosciute dei cosiddetti draghetti dell’erba o grassland ce ne sono (almeno) 23, difficilmente distinguibili tra loro al punto che affermare che negli anni sia stata fatta della confusione sarebbe, a conti fatti, il più ottimistico degli eufemismi. Particolarmente in relazione al protagonista dell’entusiastica notizia della scorsa settimana, il presunto o presumibile T. pinguicolla alias drago di Victoria, più volte spostato dal punto di vista tassonomico e in origine accorpato in una singola specie assieme con il T. lineata ed il T. petersi tipico della provincia di Canberra. Tutti egualmente in bilico di fronte al baratro dell’evoluzione, per la predazione spietata da parte dei gatti domestici e la riduzione dell’habitat, benché il tipo appena “ritrovato” costituisca da questo specifico punto di vista un caso estremamente particolare. Tanto da aver portato numerose testate internazionali a divulgare il termine di paragone offerto dai ricercatori, inclini ad evocare niente meno che la tigre stessa della Tasmania…

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I cerchi dentro l’albero che custodisce la storia climatica dei continenti

Nel tormentato autunno della sua esistenza, il botanico cecoslovacco Franz Sieber guardò verso un pubblico importante ma decisamente scettico ed alquanto disinteressato. “Aveva pochi fiori, vi dico. POCHI fiori.” Con gli occhi socchiusi per la luce obliqua che entrava dalla finestra, Napoleone si tolse il cappello e fece una smorfia. “Quando l’armata non ascolta gli ordini, l’unica risposta è fare ammenda nei confronti dei genitori!” Un verso con la gola ed un sussulto, seguito dal rumore di qualcuno che batteva le mani una, due volte: “No, no, basta. Occorre aprire il piccolo passaggio verso il tempio delle vestali. Sono io, Giulio Cesare che lo afferma!” Aristotele, in un angolo della grande sala, scosse la testa. Mentre Carl von Clausewitz e Alessandro Magno annuirono con veemenza. “Se lui lo afferma, io gli credo.” Disse il grande condottiero macedone. “Nella foresta delle circostanze, vige la regola del più forte. E lui ha sciolto, ha sciolto il nodo con l’intento indagatorio di un dioscuro impertinente!” Fu allora che un ramo dei pini nel cortile del manicomio, fatto muovere dal vento, si appoggiò lieve sullo stipite della finestra. “È… È lui. Ascoltatemi, amici miei. Guerrieri, generali, politicanti! Giunge al nostro cospetto, tremebondo ma magnifico, l’imponente Eucalyptus pauciflora. Non ha molto da dire, ma le sue foglie pallide conoscono soltanto la verità. Per poterne trarre beneficio, occorrerà TAGLIARE fino al nocciolo della questione…”
Vissuto appena 55 anni, il ricercatore entrato in conflitto con le autorità boheme dopo essersi convinto di aver scoperto una cura per la rabbia, impresa per la quale pretendeva di essere pagato profumatamente diventò progressivamente più aggressivo e nervoso, fino al ricovero coatto che avrebbe segnato il termine della sua carriera. Sieber il naturalista, lo studioso, il collezionista di piante ebbe, tuttavia, se non altro una vita interessante e costellata di scoperte scientifiche, in Europa, Africa, Medioriente. Nonché ovviamente, l’Australia. Dove salendo in cime alle catene montuose nella parte meridionale del continente, si ritrovò al cospetto di uno svettante arbusto alto fino a un massimo di 30 metri, lucido e policromo soprattutto al primo sorgere del sole, ancora umido per l’aria notturna, che sembrava sfidare le sue cognizioni botaniche date precedentemente per acquisite. Com’era possibile che una varietà di Eucalyptus, pianta notoriamente affine ai climi caldi e gli ambienti di pianura, potesse non soltanto sopravvivere ma crescere alta e forte in luoghi dove la neve cadeva una pluralità di volte ogni anno, tra il sibilo di venti che non sembravano poter placare la loro furia? Non ci volle molto, tuttavia, perché egli comprendesse la relativa applicabilità del preconcetto nozionistico figlio di un punto di vista incompleto. Pur finendo per commettere, notoriamente, un errore. Tra i campioni da lui raccolti e riportati in Europa per la catalogazione, infatti, soltanto una minima parte sembravano esser caratterizzati dalla presenza di boccioli o le tipiche infiorescenze bianche e circolari di questo arbusto. Che decise quindi di chiamare, in lingua latina, pauciflora o “dai pochi fiori”. Laddove non c’è nulla, ad oggi, di maggiormente iconico e caratteristico delle montagne degli stati del Nuovo Galles del Sud e di Victoria che le intere cascate odorose prodotti da questi alberi, ben presto destinate a trasformarsi negli irsuti frutti simili a ghiande convesse tipici di questa specie dalle molte varianti. Il cui segreto maggiormente rappresentativo, d’altra parte, si nascondeva ben al di sotto di quella corteccia variopinta…

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