La calura sconvolgente rendeva l’orizzonte tremulo, e l’aria più pesante di un macigno. Ma non tutti sembravano risentirne. Dalla cima della struttura di legno e argilla, in un vortice di piume e un frullar d’ali, gli uccelli rapaci gridavano la loro gioia senza fine. “Cibo, cibo!” È un giorno importante, situato attorno a questo dì d’agosto del 400 a.C. È tempo di dire addio. Alle spoglie mortali di un anziano funzionario, nel corso del più solenne rituale dello zoroastrismo: la sepoltura tramite l’impiego della Torre del Silenzio. La famiglia di avvoltoi, specchio dei parenti umani che dovevano trasportare verso la sacralità del Cielo, è stata attentamente addestrata dalla casta sacerdotale del grande tempio, a non lasciare il benché minimo avanzo, ossa escluse. Siamo a Yazd, la città che sorge presso l’incontro di due dei deserti più caldi dell’intero pianeta: il Dasht-e Kavir e il Dasht-e Lut. Temperatura estiva: 40/45 gradi all’ombra. Non proprio l’ideale, per scrutare verso l’alto il corso di un processo escatologico dalle profonde implicazioni ultramondane. Così i figli ed i nipoti del saggio, gli uomini e le donne adulte, osserveranno rispettosamente un giorno di digiuno. Mentre ai più giovani, ormai prossimi allo sfinimento, verrà offerto un pasto rinfrescante. Col procedere del pomeriggio, verso l’ora del tramonto, essi verranno accompagnati fino al centro cittadino, presso un grande muro con una struttura piramidale, edificata sul lato più distante dal Sole. Bassa e tozza, dalle pareti particolarmente spesse e una caratteristica forma a gradoni. Dinanzi al quale un banco di strada, gestito da un esule fuggito fin da qui da Susa a seguito della conquista achemenide, istruito nelle arti culinarie della grande città, vendeva un qualcosa di estremamente simile a una moderna granita. E il…Gelato.
Se vi sembra impossibile… È perché non conoscete la fantastica funzione dello yakhchāl! Traduzione del termine dalla lingua persiana: pozzo del ghiaccio. Mentre negli idiomi moderni del Farsi e del Pashto tale termine vuol dire, molto semplicemente, frigorifero. La stessa IDENTICA parola, attraverso un periodo di quasi due millenni e mezzo… Per riferirsi ad un qualcosa di intrinsecamente moderno nella sua concezione di fondo, talmente avveniristico, persino oggi, che non tutti riescono a intuirne il funzionamento. Benché nessuno, in barba all’evidenza, potrebbe mai sognarsi di negarne l’utilità. Nella sua versione più remota originaria dell’odierna Iran, non era tuttavia un qualcosa da porre all’interno di un edificio, bensì esso stesso una struttura, parzialmente sotterranea e costruita sulla base di precise direttive. Fondamentale risultava, in primo luogo, l’uso per pareti e tetto del sarooj, una speciale malta termoisolante creata mescolando pelo di capra, cenere. sabbia, argilla e chiara d’uovo. Quest’ultima, soprattutto, per agire come copertura impermeabile, affinché l’umidità non potesse attraversare lo strato esterno. Come altrettanto importante, risultava essere la presenza di due buchi, nel soffitto e nel pavimento della struttura. Il primo affinché l’aria calda, inevitabilmente più leggera della sua controparte, potesse fuggire verso il cielo soprastante. Ed il secondo per qualcosa di molto più incredibile ed inaspettato: raccogliere le gelide correnti ascendenti dalle viscere della terra, grazie alla presenza di quello che tutt’ora viene definito un qanat. L’acquedotto sotterraneo dell’intero Medio Oriente.
Stiamo parlando di popoli, dopo tutto, che sempre seppero sfruttare al meglio le limitate risorse idriche a loro disposizione. È molto facile, quasi istintivo, per noi abitanti dell’Europa ricordare le meravigliose infrastrutture idriche degli antichi Romani, le svettanti sopraelevate dai molti archi concatenati, capaci di portare quel prezioso fluido oltre chilometri e chilometri di distanza. Ma provate voi ad immaginarvi, solo per un istante, una soluzione simile in un luogo con le temperature di Yazd. Prima di giungere a destinazione, tutta l’acqua farebbe la fine delle anime lasciate libere sopra la Torre del Silenzio… Vapore, vapore e nulla più di questo. Fin dall’inizio dell’epoca urbana in questi luoghi, fu dunque percorso un altro approccio. Che faceva affidamento, principalmente, sull’abilità di scavo di un’intera casta ereditaria, in grado di intuire, come i rabdomanti, la presenza di una faglia idrica connessa ad un ventaglio alluvionale, possibilmente all’interno di una collina o piccola montagnola. Per iniziare, quindi, a trasferirla fino allo yakhchāl…