L’incontro inizia, quasi sempre, con un suono. Simile al fruscìo battente della pioggia, contro il tetto delle fronde che sovrastano la foresta pluviale. Ma in realtà prodotto, come presto è dato modo di scoprire, dal passaggio dei più antichi e caratteristici abitanti di Son Trà, la montagna nel distretto omonimo della regione di Da Nang, Vietnam centrale. Coloro che percorrono, senza riposo, le strade superiori di un ambiente che naturalmente gli appartiene, date le notevoli caratteristiche del loro fisico slanciato. Cercopitechi, ovvero scimmie del Vecchio Mondo e per di più della sotto-famiglia Colobinae, forse il gruppo più agile e distante dal bisogno di toccare terra con le proprie mani. Sibilo seguito, dopo breve tempo, da un verso cinguettante simile a quello degli uccelli, ragion per cui parrebbe spiegazione logica, al momento in cui si scorge la sua fonte, pensare per un attimo di averne appena conosciuto uno. Ma il rosso, grigio, arancione e bianco, della notevole colorazione di questa creatura, è in realtà il segno distintivo del Pygathrix, un genere di scimmie normalmente detto in queste terre, il langur o “douc”. Dall’antico termine in lingua vietnamita che significa semplicemente scimmia, sebbene l’usuale traduzione in lingua inglese sembri riferirsi in modo chiaro all’assonanza fonetica con uno dei principali gradi nobiliari della storia europea. E questo forse anche in un riferimento, più che mai giustificato, all’eleganza di un simile animale, anche chiamato “la regina delle scimmie” o il primate più affascinante del mondo intero: poiché la panoplia di colori, lungi da essere soltanto un merito concettuale, appare disposta con la pennellata di un vero e proprio artista, caratterizzando ulteriormente la sua splendida livrea grazie alla sfumatura di arti, torso e anche la barba folta, che incornicia un volto con l’aspetto cromatico di un trucco teatrale. Il tutto dominato da due occhi a mandorla inclinati e cupi, come il buio dello spazio siderale.
Il douc dalle zampe rosse o Pygathrix nemaeus in particolare, forse il più celebre delle tre varietà esistenti (gli altri due, P. nigripes e P. cinerea) presenta le sopra descritte caratteristiche in maniera talmente appariscente da essersi trasformato, in epoca contemporanea, in un vero e proprio simbolo del suo paese, favorendo la nascita di un movimento estremamente operativo per la sua conservazione, purtroppo motivato dallo stato correntemente a rischio della specie, causa caccia centenaria e la costante riduzione dell’habitat dovuta alla spinta della modernizzazione in questa parte strategica del territorio. Che ha portato, fin sulla montagna della sua pacifica esistenza, alla costruzione d’ingombranti resort turistici e strade con carreggiate abbastanza larghe da impedire il congiungersi delle alte fronde sopra cui egli vive, costituendo nei fatti la realtà di una barriera invalicabile per i diversi gruppi di questa popolazione già ridotta a poche centinaia, per cui scendere al livello del terreno è una realtà semplicemente inconcepibile per più di pochi minuti. Tanto che il langur duca, unico tra tutte le scimmie, ha imparato ad ottenere tutta o quasi l’acqua di cui ha bisogno dalle semplici componenti vegetali della dieta, tra cui foglie, germogli e semi, benché non disdegni l’occasionale frutto e fiore (circa il 4% della dieta). Ma neppure la più notevole cautela, può proteggerti dalla letale precisione di un cacciatore umano, tragicamente ed irrispettosamente affamato…
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Lettere africane sull’anello mancante tra la rana e l’uomo
Avere un superpotere non è la parte difficile, che sia frutto della propria eredità genetica o persino quando, nonostante i presupposti, si riesce ad acquisirlo tramite l’impegno nell’addestramento. Ciò che riesce, nella maggior parte dei casi, a fare realmente la differenza è in prima analisi l’effettiva capacità d’usarlo, coadiuvata dallo charme ovvero il fascino, la propria essenza personale in grado di cambiare per il meglio il mondo e le persone attorno a noi. Il che presuppone, d’altra parte, un certo grado d’intelligenza e d’empatia, possibilmente unito alla prestanza fisica esteriore sufficiente a risultare, in qualche modo, belli oppure affascinanti, simpatici, possibilmente “un tipo”. Poni il caso, per esempio, che il destino vi abbia dato l’opportunità di un superare un baratro, compiendo un salto equivalente a 7 volte e mezzo la lunghezza del vostro corpo; ora ciò che occorrerebbe chiedersi, è PERCHÉ vogliate compiere l’impresa. Per salvare? Per mangiare? Per sfuggire a un predatore? Oppure per il mero fatto che non farlo, costituirebbe un’occasione ormai perduta. La prova del fattore secondo cui ogni tentativo mancato è la negazione stessa di quello che siete finalmente diventati, grazie ai molti secoli d’evoluzione della specie…
Buongiorno! Il mio nome è Galago. Ma tutti sono soliti chiamarmi Bush baby (bambino della prateria) più che altro in forza del mio verso, ovvero la specifica maniera dell’eloquio, che uso nella notte per riuscire ad affermare la presenza del mio essere peloso e qualche volta solitario, un massimo vantaggio per me stesso, e gli altri. Certo non facile vederci, sopra gli alti rami di un arbusto, data quella dimensione che si aggira in genere tra quella di uno scoiattolo e di un gatto, benché gli occhi riflettenti siano soliti risplendere contro il bagliore di una luce artificiale (se presente). Il mio insieme tassonomico è quello degli strepsirrini, “l’altro” tipo di primati contenente vari tipi di proscimmie, inclusi lemuri, lorisiformi e tarsi. Ed in effetti c’è una somiglianza, tra noialtri e il Nycticebus coucang o loris lento della Sonda, l’animale che più d’ogni altro viene in mente al senso comune, quando si ricerca la corrispondenza naturale di un caratteristico pupazzo come Furby, oppur 14 specie diverse di Pokémon. Ma le somiglianze concettuali, dopo tutto, non sono tanto significative: a partire dall’areale, che vede quest’ultimo abitare nel Sud-Est Asiatico, laddove i nostri piccoli consimili, dal canto loro, si trovano più che altro tra il lati del triangolo che corrisponde sulle mappe al continente africano. E sopratutto, ancor più di questo, la naturale capacità di spostamento, consistente nella realizzazione dei più eccezionali salti da terra, in proporzione, praticati nell’intera classe dei mammiferi, capaci di condurci fino a meta. Di che tipo, siete a chiedermi? D’accordo, non se quanto sia in grado di descriverlo a parole. Proviamo con un video…
La notte del colugo, agile aquilone con la faccia di un cane
Quando è la dura legge della giungla a determinare le caratteristiche di una creatura, e intendo proprio il geoma tropicale umido e biologicamente affollato dell’area terrestre sita ai margini dell’Equatore, puoi capirlo facilmente. Poiché lì necessiti, per sopravvivere, di occhi grandi per vedere anche di notte e un affilato senso dell’udito. Di zampe artigliate al fine di poterti arrampicare, sopra gli alberi, almeno di essere il supremo predatore. E qualche volta anche, perché no, di un grande paio d’ali al fine di elevarti, sopra il dramma quotidiano della continua lotta per riuscire a sopravvivere, scampando al segno del pericolo che ti circonda e chiama, con patetica insistenza, al fine di ghermire tutto ciò che può costituire per te vita, gioia e ogni possibile soddisfazione. Ali, oppure perché no, il patagium: termine latino in grado d’indicare, nella maggior parte dei contesti, la pratica membrana posseduta da certi mammiferi pipistrelleschi (e qualche rettile) in grado di agir dinamicamente per creare la portanza necessaria, a evadere, spostarsi, raggiungere auspicabili fonti di cibo. E forse non cè n’é un più rappresentativo possessore, nella zona succitata ed in particolare nei paesi di Thailandia, Malesia, Indonesia e le Filippine, del colugo o cosiddetto “lemure volante” che in effetti non è un lemure, né volante. Bensì l’unico membro di un particolare ordine, quello dei Dermoptera, e una singola famiglia, Cynocephalidae (letteralmente: testa di cane) suddivisa in due generi e altrettante specie. Entrambi riconoscibili come questa creatura arboricola del peso di appena 1-2 Kg, lunga fino a 40 cm, il cui aspetto complessivo in posizione di riposo rassomiglia in modo significativo ad una sorta di termocoperta con le zampe e il muso a punta, dagli sporgenti bulbi oculari ottimizzati chiaramente per l’attività notturna. Ma è con l’arrivo della sera e il ritirarsi dei maggiori predatori, che il colugo rivela le sue notevoli caratteristiche inerenti, tra cui la capacità, più unica che rara, di planare fino a 150 metri in un singolo balzo, a seconda dell’altezza dell’albero che hanno scelto d’impiegare come rampa di lancio; verso nuove mete e altri validi arbusti, nonché dispense della loro dieta folivora del tutto vegetariana. La vista di queste creature in volo, con la succitata membrana che si estende a formare una sorta di quadrato che si estende dalla punta delle dita posteriori e la coda fino alle manine dell’animale, è sempre risultata così caratteristica da far pensare, per lungo tempo, che potessero essere in qualche maniera imparentati coi pipistrelli. Mentre analisi più approfondite, e la moderna scienza tassonomica, ci hanno dimostrato come i suoi parenti più prossimi fossero nient’altro che i primati nostri contemporanei, modificati tramite un notevole caso di convergenza evolutiva nei confronti dello scoiattolo possibilmente volante. Della cui genìa il Callosciurus notatus, coabitante malese di una delle due specie, costituisce in effetti un problematico rivale per l’acquisizione di cibo…
La foglia che cammina quando il vento smette di soffiare
Di certo avrete già sentito il detto universalmente valido: “Sei quello che mangi”. Ma difficilmente avreste mai pensato di associarlo, in senso tanto letterale, a un piatto d’insalata… Se voi foste, in questo preciso momento, sotto il tetto umido della giungla della Malesia, spostereste a un certo punto il vostro sguardo verso l’alto. Soltanto per scorgere, come un lieve movimento ai margini del campo visivo, un piccolo corpuscolo marrone che precipita verso il terreno. Forse un seme, forse frass, tipica deiezione degli insetti erbivori, costituita dalle foglie masticate e semi-digerite all’interno di quel piccolo condotto digerente? Oppure lo speciale recipiente, come si trattasse di una capsula spaziale, di colui che giunto al culmine di un tale stratum, non può fare a meno di dimenticare ciò che è stato responsabile per la sua crescita iniziale: il duro, distante, quanto mai spietato suolo. Phyllium giganteum è il nome scientifico di quell’inusitata creatura, considerata tra le maggiormente rappresentative di un’intero ordine di fantasmi, che solo in pochi hanno provato l’emozione di vedere, all’interno dello specifico habitat di provenienza. Per lo meno, riconoscendola per ciò che veramente è: già! Stiamo parlando, dopo tutto, di un’artropode dalla lunghezza di 11-13 cm (se di sesso femminile) e largo fino a 6, nel punto piatto del suo addome frastagliato. Seghettato, dentellato, addirittura morsicato all’apparenza, per sembrare esattamente quel che maggiormente può servire a esonerarlo dal pericolo dei predatori: figlio della foglia, e foglia prima di ogni cosa. Segno sopra il foglio, di una pagina che può passare inosservata.
Naturalmente, per il più grande insetto foglia al mondo, non c’è una singola ragione al mondo per cui i propri figli non dovrebbero nascere già dotati della sua unica arma e straordinaria strategia di difesa, il mimetismo. Eppur non sempre, ciò che è conveniente risulta essere anche possibile, ragion per cui i piccoli nati dall’incontro possibile, ma non obbligatorio tra i due sessi (molti fasmidi praticano la partenogenesi facoltativa, ovvero l’autoclonazione femminile) vengono letteralmente espulsi in maniera relativamente infrequente, circa ogni 3-4 giorni, ma continua per l’intero anno. Finché al termine di un simile periodo, sotto l’albero di acacia o di melone che li ospita, si accumulano fino 400 di queste letterali pillole della vita, del tutto simili alla forma potenziale di un futuro arbusto equivalente. Almeno fino a che… Cadendo nella trappola creata dall’evoluzione, qualche inconsapevole formica non passi casualmente da quelle parti, decidendo subito di aggiungere simili oggetti alla dispensa della sua colonia. Ed è proprio allora, in mezzo all’esultanza delle moltitudini, che inizia il più importante tra i capitoli di questa storia. Poiché per 4-6 mesi, totalmente impervio ad ogni tentativo di violarne il guscio, l’uovo d’insetto foglia rimarrà sopìto nella più profonda delle stanze sotterranee. Finché un giorno prefissato, aprendo dall’interno la speciale botola biologica (opercolo) di un tale carro armato, farà proprio zampettante ingresso nel consorzio dei viventi. Con l’aspetto totalmente indistinguibile… Non certo dalla madre.
Oppur dall’eventuale padre, rispetto cui risulta, d’altra parte, avere meno di un centesimo di stazza. Bensì l’imenottero padrone di quel mondo, mirmecologico percorritore delle oscure sale: la formica. Davvero conveniente, nevvero?