Nella mitica confederazione di Om, la fine dell’educazione scolastica era considerata molto più che un semplice periodo nella vita di una persona. Quando esattamente 123 giorni prima della Cerimonia del Lancio dei copricapi di forma quadrangolare sotto la bandiera del Futuro Radioso, i giovani rampolli si riunivano nella preparazione della Serata Alcolica Danzante, un prezioso momento d’interscambio la cui origine tendeva a scomparire nei recessi misteriosi del tempo. Fatta eccezione per la storia propedeutica di Euridyce e John Smith, lei migliore oratrice e valedictorian della sua classe, lui campione centroavanti nell’antico gioco della Palla Ovale, che nel secondo anno della 36° Presidenza si trovarono sotto l’albero del pero, dando inaspettatamente inizio ad una lunga e prosperosa dinastia. Si dice, in certi ambienti, che svariate bevande alcoliche abbiano giocato un ruolo in tale contingenza. Ma poiché le circostanze del loro incontro amoroso furono registrate nelle cronache come “scomode” ed “anguste” la leggenda vuole che a seguito di quel giorno, nella confederazione di Om sia nata un’importante tradizione: la costruzione di carrozze sufficientemente lunghe, da poter accogliere due bisonti sdraiati uno di seguito all’altro. O alternativamente, il corpo di una sacra anaconda senza costringerla a più di un’ansa o due nell’interspazio tra la testa e la coda screziata. Giungendo qualche volta a tali eccessi che lo stesso mezzo di trasporto lungo oltre due dozzine di cubiti, di suo conto, finiva per protendersi irrazionalmente all’Infinto. Prolungando con il suo passaggio la dolcezza insostituibile di quei momenti.
Col trascorrere degli anni, quindi delle decadi, le storie dei nostri Padri tendono ad appesantirsi ed affondare nel grande fiume della Storia. Ma i segni archeologici tangibili rimangono, all’interno dei parcheggi abbandonati, come un monito importante di quello che era, o ciò che nuovamente potrà essere grazie all’allineamento delle stelle nella volta scintillante dell’Universo. Strano, ma vero: l’oggetto che per oltre 4 decadi, riuscendo a passare miracolosamente inosservato, è rimasto ad arrugginirsi sul retro di un magazzino nel New Jersey, senza che a nessuno importasse attribuirne l’effettiva provenienza. Tale da collegarlo, come opera autorale certificata, allo stesso individuo responsabile di mezzi di trasporto iconici come l’automobile dei Dukes di Hazzard, il Generale Lee, la Ford Gran Torino di Starsky & Hutch, KITT di Supercar, la DeLorean di Ritorno al Futuro ed almeno tre generazioni successive di Batmobile dell’uomo pipistrello. Ovvero lui, Jay Ohrberg il creatore di automobili praticante di quel tipo di professione, così specifica e rappresentativa degli Stati Uniti, da non riuscire a immaginarne l’equivalenza in alcun altro recesso del globo terrestre. Poiché consistente nel prendere qualcosa di già fatto e finito, come sette pregevoli automobili Cadillac Eldorado, poi tagliarlo a pezzi e rimescolarne i connotati. Fino alla creazione di un esemble semovente, al cui cospetto il mostro di Frankenstein costituiva poco più che una semplice prova pratica di fattibilità, attraverso la lente più immediatamente comprensibile dell’anatomia umana. Perché volete mettere? In questo mondo esiste il lusso. Ed il prestigio di arrivare a bordo di un automobile allungata fino alla notevole misura di edificio di 9 piani…
personaggi
Il bizzarro antesignano bielorusso del principio di un ovale volante
Stabilimenti ordinati, contesti limpidi e sperimentali, ambienti frequentati primariamente da figure di stampo accademico abbigliate con camice bianco. Come nasce un aeroplano? Molto spesso, le acquisite cognizioni per quanto concerne il tipo di strutture adibite a questo campo particolarmente delicato dell’ingegneria applicata trovano conferma nella realtà osservabile dei fatti. Molto di ciò che resta, è russo o proviene dai limitrofi territori dell’Est Europa. Luoghi in cui formalizzarsi sullo stile trova raramente collocazione all’origine della “buona” tecnologia, poiché ogni cosa deriva dal bisogno momentaneo, connotato con la competenza pratica di chi è adeguato a individuare un qualche tipo di contromisura operante. Esigenze come quella segnalata presso il Minskom Zavode Shesteren (Istituto della Creatività Tecnica di Minsk) nel 1988, relativa al problematico comportamento in volo dell’ormai vetusto biplano agricolo Antonov An-2, notoriamente incline a oscillazioni e potenziale rischio di stallo ogni qualvolta raffiche di vento incrociavano perpendicolarmente la sua direzione di crociera. Questione tanto grave, per intenderci, da dar vita al paragone informale con “un elefante ubriaco in bilico sui campi” ovvero non propriamente la creatura cui vorresti affidare il tuo ritorno sano e salvo sulla pista da cui avevi spiccato il decollo. Al che l’ingegnere Arkady Narushevich, coadiuvato dal pilota Anatoly Gushchin, disegnò il progetto di un approccio fortemente distintivo nei confronti dell’intera faccenda. Considerando infatti la maniera in cui qualsiasi profilo alare, per il suo principio aerodinamico di funzionamento, non possa fare a meno di generare una coppia di vortici destabilizzanti in corrispondenza dei suoi bordi laterali, che cosa sarebbe potuto succedere, eliminando del tutto tale vulnerabilità del tutto imprescindibile? Mediante l’unico sistema immaginabile a tal fine. Ovvero, sostanzialmente, la costruzione di un singola ala capace di ripiegarsi su se stessa, giungendo a formare un’unica superficie ininterrotta. Narusevich aveva creato in linea di principio, per usare una terminologia appropriata, un raro esempio di velivolo con ala chiusa. Così come soltanto in pochi, fino a quel momento, si erano dimostrati capaci di elaborare. A partire dagli esperimenti esclusivamente teorici dell’epoca della seconda guerra mondiale, come il Lerche (Allodola) del tedesco Ernst Heinkel, ipotetico caccia concepito con una caratteristica conformazione ottagonale, o l’effettivamente costruito SNECMA C-450 Coleoptere francese, l’aereo con un tubo attorno alla carlinga facente funzione di ala, che avrebbe dovuto decollare verticalmente per poi ruotare a 90 gradi il suo senso di marcia. Se non che tale manovra tendeva, irrimediabilmente, a farne perdere il controllo, rendendolo essenzialmente soltanto il più scomodo e bizzarro elicottero della storia. In altri termini, qualsiasi approccio a un tale metodo di volo era stato accompagnato fino a quel momento da evidenti conseguenze deleterie o chiare prospettive di fallimento.
Laddove la creazione bielorussa era tutto, fuorché follemente ambiziosa o irraggiungibile, come esemplificato dalla forma il più possibile rassomigliante a quella dell’An-2. Al punto da trovarsi ad ignorare il concetto geometrico dell’equidistanza dei punti, scegliendo piuttosto la forma frontale di un ellisse visibilmente schiacciato in senso orizzontale. Dimostrando in ciò di provenire dal mondo delle contingenze pratiche, concepite sulla base dei legittimi presupposti di funzionamento. Piuttosto che l’esigenza personale d’incidere il proprio nome a lettere cubitali nel grande almanacco della Storia…
L’avventurosa ricerca di una città perduta nella giungla del Dio Scimmia centro-americano
All’epoca doveva essere sembrato plausibile, persino probabile. Dal punto di vista degli uomini al servizio del grande conquistador, Hernán Cortés, mentre gli veniva esposta e descritta la notizia tramite un discorso del grand’uomo in persona: che in un luogo imprecisato della provincia di Mosquitia, la cosiddetta Costa delle Zanzare continuasse a persistere un prosperoso centro abitato, letteralmente intonso dalle conseguenze dei lunghi anni di guerra e malattie iniziate al doloroso sbarco degli Europei presso i confini del Nuovo Mondo. Un luogo forse non lastricato d’oro come l’altrettanto leggendaria città di El Dorado, ma comunque fonte di ricchezze potenzialmente molto significative, persino “pari o superiori a quelle dei messicani”. Nonostante le sue fonti avessero apparentemente situato tale scrigno del tesoro entro appena 60 leghe (250 Km) da Trujilo, tuttavia, complice la naturale inaccessibilità della giunga honduregna, le forze spagnole non sarebbero mai riuscite ad individuare questo sito. E se gli abitanti indigeni avevano sperato di ottenere una maggiore considerazione in cambio della loro accoglienza nel corso della ricerca, iniziata ufficialmente nel 1545 mediante una lettera recapitata al Re di Spagna, andarono in effetti incontro ad un effetto diametralmente opposto, con le circa 150.000 persone perdute, tra quelle deportate per lavorare in miniera e morte a causa di una grave epidemia di peste. Di quella che gli Indios delle tribù dei Pech chiamavano Kahã Kamasa (letteralmente: “La città bianca”) non si sarebbe quindi più parlato estensivamente per quasi quattro secoli, fatta eccezione per alcune speculazioni per lo più teoriche elaborate in campo accademico, come nel caso di molte altre leggende geografiche dell’epoca del colonialismo occidentale. Almeno finché, nel 1927, il celebre aviatore Charles Lindbergh non ebbe l’occasione di avvistare dalla sua cabina solitaria il candido riflesso di quello che poteva essere soltanto un grande centro abitato tra gli alberi pluris-secolari, dove in teoria non avrebbe dovuto trovarsi alcun tipo d’insediamento umano. Questo fu, essenzialmente, il segnale: al principio degli anni ’30 un paio di spedizioni, una organizzata dall’archeologo statunitense, William Duncan Strong e l’altra voluta dal presidente dell’Honduras, Tiburcio Carías in persona, portarono alla raccolta di una serie d’informazioni in merito al misterioso argomento. Permettendo alla seconda, in modo particolare, di portare indietro alcuni artefatti in ceramica dai siti individuati grazie all’aiuto delle popolazioni tribali della regione di Plátano. Ma l’effettivo aspetto, collocazione e senso logico della vociferata Ciudad Blanca continuava a rimanere rigorosamente oscuro, mantenendo ben nascosta la copiosa cornucopia dei suoi segreti. Una condizione destinata a ribaltarsi totalmente, grazie all’opera di un singolo giornalista, archeologo, avventuriero nonché futura spia in tempo di guerra. E quella che sarebbe diventata la missione più importante della sua intera carriera…
4×4 importanti lezioni offerte dal maestro del recupero stradale statunitense
Angeli di una terra promessa, visioni di un’ambita salvezza. Guardandoti attorno smarrito, cerchi un volto tra gli alberi che possa servire a riportarti all’interno della cerchia del mondo civilizzato e tutto ciò che appartiene ad esso. In quale improbabile maniera, ancora una volta ti chiedi, siamo arrivati ad un simile punto di non ritorno? Forse nel momento in cui, per risparmiare qualche dozzina di minuti, hai deciso d’imboccare la salita a gradoni della rinomata Cadillac Hill, un susseguirsi di rocce intervallate da radici esposte sulle pendici collinari a ridosso del lago Tahoe, quando la spia dell’olio era ormai accesa da diversi fatidici minuti. Ma era davvero possibile, a quel punto, mostrarsi pavidi di fronte agli amici che componevano il resto della carovana? Del tutto inimmaginabile. Ecco perché di certo l’inizio della fine è stato il punto in cui hai affrontato gloriosamente, senza guardare indietro neppure una volta, la roccia di Silby avendo cura di non avvicinarti dalla direzione del ruscello, ricordando il consiglio degli esperti: “Ruota bagnata, macchina bloccata”. Il successo che porta all’eccessiva sicurezza. Non che a quel punto sarebbe stato realmente possibile ritornare al piccolo resort delle Rubicon Springs, tra campeggiatori ed avventurieri di una più “bassa” o comunque “prudente” caratura. “Ah, ci sono!” Esclami tra te e te, mentre guardi il fumo che fuoriesce dal cofano rimasto semiaperto, dopo il surriscaldamento oltre ogni margine previsto dal manuale di ogni singola parte mobile all’interno della tua Jeep Wrangler color cocomero d’inverno: “Se c’era stato un buon momento per voltarsi a 180 gradi, è stato quello in cui hai intrapreso dal basso la Little Sluice” Quella pendenza dalle multiple pietre sovrapposte, uno dei pochi tratti del sentiero dove le autorità locali si sono sentite obbligate ad intervenire, rimuovendo gli ostacoli più grossi che agivano come spalti naturali di una sorta di stadio per i curiosi accorsi dai quattro angoli della California, uno dei pochi stati dove le strade riescono ad essere, talvolta, opzionali. Ancora una volta tenti di girare la chiave d’accensione, con uno sguardo sconsolato rivolto alla tua ragazza, al cugino di lei ed il caro insistente amico di tante scorribande in età scolare. Che continua insistentemente a mostrarti un video dal cellulare, il video di un canale YouTube che a quanto dice, contiene la chiave della sua e vostra salvezza: “Guarda, guarda, fidati, arriverà. Io l’ho chiamato appena siamo rimasti bloccati stamattina e tra qualche minuto, ne sono certo, arriverà da noi!” Intercessione divina? Tutti i santi del calendario? Mentre tenti di ricordarti la data per iniziar l’appello in maniera cronologicamente tematica, una forma gialla e squadrata inizia a far capolino tra gli antichi alberi del Rubicon Trail. L’amico sembra essere rimasto per una volta del tutto senza parole, ed in effetti a ben guardarlo, parrebbe addirittura mancargli il fiato. Sobbalzando vistosamente, il veicolo comincia a prendere forma. Se non lo vedessi coi tuoi stessi occhi, non ci crederesti, mentre sale agevolmente macigni della dimensione di un cranio di gorilla preistorico neanche fossero noccioline sul pavimento dello zoo. Stai per conoscere una vera celebrità del Web, al pari di un professionista di Fortnite o la padrona del gatto grumpy, apprezzato attore animale di celebrate pellicole e innumerevoli partecipazioni televisive. “Scusate per l’attesa!” Grida dal finestrino abbassato. “Siete fortunati che stessi provando la macchina nuova entro qualche centinaia di miglia da qui!”
Uno dei punti cardini di Internet è che senza la gabbia imposta dall’industria dell’intrattenimento si può fare spettacolo da qualsiasi cosa, particolarmente quando la cosa suddetta è già piuttosto insolita e notevole a vedersi. Come gli exploit salvifici condotti da Matthew Wetzel, più comunemente noto col suo nom de plume (oppure de guerre?) Matt’s Off Road Recovery, che rappresenta in effetti il programma stesso di quello che ha scelto di fare, con encomiabile competenza, della sua lunga e appariscente vita professionale…