L’elaborata disarmonia della prima pagoda dei boschi alascani

Vivere alla convergenza dei sentieri sovrapposti, sulla somma degli spazi soavi, lasciando che lo sguardo si avventuri dietro valli e monti, al fine di capire la reale essenza della condizione umana. I suoi problemi e tutti quei trionfi, i piccoli gradini della vita quotidiana, oltrepassati sul sentiero della più intima e speciale realizzazione. Poiché ogni persona è differente e qualche volta ciò che la mente desidera, può guidare per svariate decadi le gesta di qualcuno. Un individuo scaltro, attento, in alcun modo privo di quel tipo di risorse materiali necessarie per rendere tangibile la materia onirica delle ore notturne. Da sogno a verità, ad allucinazione dunque. Quella che potrebbero per qualche attimo pensare di stare vivendo, tutti coloro che volgendo lo sguardo dalla strada statale di Parks Highway verso il tramonto, scorgono la cima alta 56 metri di quella che il suo costruttore ha scelto di chiamare in modo molto semplice “La torre di Goose Creek”. Ma la maggioranza di Internet parrebbe aver scelto di ribattezzare come un edificio dedicato al celebre autore letterario statunitense Dr. Seuss, con chiaro riferimento alla casa alta del Lorax, il surreale guardiano della foresta nonché antitesi del malefico Grinch. Ma ci sono altri termini di riferimento possibili: il Burrow, la dimora familiare dei Weasley in Harry Potter, trasformata in sede dell’Ordine della Fenice durante la guerra dei maghi; il luogo scenografico in cui si svolge l’indagine del videogioco What Remains of Edith Finch. O persino l’inquietante SCP-3333, entità del noto progetto collaborativo costituito da una torre di vedetta forestale capace di replicare se stessa all’infinito oltre lo spazio ed il tempo. Tutte influenze a dire il vero successive a quegli anni ’90 in cui, secondo le poche informazioni reperibili, il noto e facoltoso avvocato di Anchorage, Phillip Weidner decise che avrebbe potuto fare affidamento su un luogo unico dove trascorrere gli anni futuri del proprio pensionamento. Una baita poco fuori Talkeetna, comunità di persone al di sotto della soglia necessaria per poter essere considerata una città, ma abbastanza eclettica da aver avuto per oltre una decade un gatto come primo cittadino. Una storia che parrebbe anch’essa fuoriuscita da un tomo dell’autore di oltre 60 testi per bambini e non solo, sebbene il suo creatore non ami affatto che se ne citi il nome, forse per evitare l’appropriazione indebita di associazioni non sanzionate, o magari per il semplice bisogno di rivendicare l’originalità e creatività alla base di una tale realizzazione. Che considera notoriamente una poesia rivolta al cielo, così come quelle che vorrebbe scrivere, un giorno, seduto nella camera più alta mentre con sguardo senza limiti scruta ed osserva l’infinito spazio del cosmo e della terra antistante. Ah, invecchiare oltre la curvatura dell’orizzonte…

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La soluzione anfibia del quartiere semicircolare in un comune d’Olanda

In principio, era l’acqua. E non c’è nulla che l’uomo avrebbe potuto concepire, per poter costruire un territorio abitabile integrato con tale elemento. A meno che fosse, in qualche modo, galleggiante. Quindi attorno all’undicesimo secolo d.C, gli abitanti dei Paesi Bassi ebbero una sorta di rivelazione: che costruendo attorno ai confini di un bacino idrico, potevano drenarne agevolmente il contenuto. E trasformare vasti territori in quello che viene localmente definito un polder: terra reclamata, non creando cumuli emergenti. Bensì rimuovendo l’elemento liquido che avrebbe ricevuto la mansione naturale di circondarli. Vi sono poi, casi particolari come i laghi di Vinkeveen, nella provincia di Utrecht. Una riserva naturale naturale, e zona d’accoglienza dei turisti al tempo stesso (pare una contraddizione in termini) conseguente dai secoli trascorsi ad estrarre torba per il beneficio dei mercanti olandesi. Fino a lasciar emergere dal pelo della palude lunghe strisce di terra, trasformate in seguito in punti di approdo per gli sport acquatici preferiti dai visitatori europei. Laddove in base a presupposti simili, gli abitanti dell’adiacente Frisia al confine geografico e culturale con la Germania, sembrerebbero aver voluto rispondere alla domanda: e se in un luogo simile, piuttosto, si scegliesse di vivere per l’intero arco dell’anno? Conseguenza: Het Brekkense Wiel di Lemmer, all’imboccatura dei fiumi Rien and Zijlroede, dove le acque semi-limpide del più vasto lago artificiale d’Europa, lo IJsselmeer, lasciano il posto a una ridente cittadina di circa 10.000 abitanti. Ed a partire dal 1992, uno dei quartieri più bizzarri e riconoscibili, al punto da ricomparire periodicamente nel discorso internettiano sull’architettura sostenibile e le soluzioni urbanistiche perfettamente calibrate sul territorio. Il che è in realtà piuttosto ironico, quando si realizza come la “Ruota Spezzata”, questo il significato dell’appellativo nella lingua locale, altro non costituisce che una trasformazione del concetto di villette multifamiliari a schiera, in cui a una parte raggiungibile in maniera tipica attraverso autoveicoli, ne corrisponde un’altra che si affaccia direttamente su una serie di canali navigabili dal pescaggio di circa un metro e cinquanta. Abbastanza, in effetti, per piccoli motoscafi e barche personali, evidenziando l’importanza della zona come un punto d’approdo affine a Vinkeveen per uso in termini situazionali e nel corso dei mesi estivi. Il che costituisce soltanto una metà dell’ingegno conferito al piano regolatore: questo per la conformazione a mezza luna di ciascuna palazzina, affinché ogni gruppo di residenti possa beneficiare del proprio cortile fronte-lago in armonia e pacifica convivenza. Un luogo che persegue determinati obiettivi con esplicita chiarezza e riesce a farlo, senza dubbio, fino alla totale realizzazione dei propri intenti…

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La grande vasca nella villa che la Russia ha dimenticato: tonnellate di granito per il bagno del suo sovrano

In un’affermazione popolare che non vuole essere mero commento storico, ma piuttosto una freddura politicizzata rivolta ai trascorsi nazionali dei secoli passati, i russi sono soliti affermare che il periodo monarchico abbia lasciato in eredità al paese tre imponenti quanto inutili manufatti: un cannone che non ha mai sparato; una campana che non ha mai suonato; una vasca da bagno che non è mai stata riempita. Probabilmente… Chi può dirlo, davvero? 8.000 secchi d’acqua sono tanti, soprattutto nel primo trentennio dell’Ottocento, quando Alessandro I era solito recarsi presso la sua residenza per così dire “segreta” nel condurre la sua tresca clandestina con la figlia del banchiere di corte e barone Osip Petrovich, Sofia Velyo. Il fatto d’altra parte è che a differenza dello strumento metallico privo di batacchio esposto al Cremlino e l’adiacente bombarda semplicemente troppo grande per essere utile, la vasca del palazzo Babolovsky presso il villaggio vicino San Pietroburgo di Tsarskoe Selo risponde se non altro ai crismi di una perizia costruttiva priva di difetti e pressoché assoluta nella sua apprezzabile realizzazione. Essendo non a caso il prodotto dello scalpello di Samson K. Sukhanov, lo scultore leggendario cui vengono attribuiti numerosi monumenti di questo periodo storico particolarmente incline alla celebrazione del grandeur monarchico ereditato dal tardo Rinascimento. Così come questa intera struttura, originariamente fatta costruire nel 1782 all’architetto I.V. Neelov sul terreno di una dacia dalla nonna di Alessandro, Caterina la Grande, al fine di donarla al suo favorito nonché autore politico del colpo di stato contro il marito Pietro I, il principe Grigorij Aleksandrovič Potëmkin. Sovrana illuminata e nota mecenate delle arti, nonché di opere d’ingegneria dalla portata significativa, che in epoca coeva all’edificazione del suo Grande Palazzo di Carskoe Selo in questo tratto di foresta paludosa e precedentemente disabitata commissionò assieme al maniero la costruzione di una diga, canali ed un giardino formale in stile inglese, benché il nobile recipiente di quel dono sarebbe stato destinato a utilizzarlo solamente una manciata di volte negli anni a seguire. Cui fece seguito un lungo periodo di abbandono, fino alla riapertura e aggiornamento delle sale ad opera del nuovo Imperatore, che amava particolarmente un luogo tanto isolato, al punto da farlo restaurare ed ampliare ad uno dei fondatori dello stile Impero, Vasily Stasov. Fu dunque nel 1823, grazie al coinvolgimento tra gli altri dell’ingegnere spagnolo Agustín de Betancourt, che lo Zar decretò di far portare in situ qualcosa di eccezionalmente notevole e imponente: lo strumento ideale per la pratica dei bagni freddi, che da educazione egli considerava un’importante risorsa per poter preservare lo stato di salute di un lungimirante sovrano…

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L’ombra sopra Tokyo del palazzo in grado di raggiungere i confini della stratosfera

In base al testo di un vecchio proverbio, si è talvolta soliti affermare: “Le strade dell’Inferno sono lastricate di ottime intenzioni”. Lo stesso, d’altro canto, vale per il Paradiso. Strade o trombe verticali di ascensori a dire il vero, di un qualcosa che potremmo definire come l’ago di collegamento, il nesso imprescindibile tra sopra e sotto, presente e futuro, sopravvivenza e inevitabile auto-annientamento della collettività urbana. Fino alla creazione di 30 milioni di effettivi co-inquilini, intesi come gli abitanti di un singolo spazio architettonico, per quanto ciò possa sembrare improbabile, persino dal punto di vista di colui che giunse a dargli forma nella propria fervida immaginazione di scienziato urbano. Il soggetto dell’intero balzo quantico verso il possibile reame delle cose ha dunque il nome di Toshio Ojima, noto educatore, ricercatore, studioso ed ingegnere che insegnò all’università tokyoita di Waseda. Quella stessa città che avrebbe visto un giorno disgregarsi, scomparire al fine di creare un qualche cosa di assolutamente nuovo: la più impressionante, inimmaginabile realizzazione mai teorizzata del concetto di arcologia. Avete presente? Il tipo di costrutto abitativo sufficientemente grande da essere dotato di residenze, luoghi di lavoro, fattorie, fabbriche robotizzate, tanto popolare nella fantascienza letteraria ed altre opere d’ingegno di generi confinanti. Benché sia raro, addirittura in quel contesto, che un autore immagini qualcosa di costruito dalla mera umanità, che possa nel contempo superare l’altezza del monte Everest, considerato fin da tempo immemore il tetto del mondo. Troppo improbabile? Ma un’evoluzione che giammai nessuno avrebbe avuto modo, né ragione di allontanare. Per lo meno nell’idea creata in prima persona dal professore ed illustrata dal disegnatore di concept art Masaki Yabuno, che sarebbe stata oggetto di alcune ragionevoli disquisizioni durante l’evento storico del summit della Terra del 3-14 giugno 1992 a Rio de Janeiro. Il primo grande incontro di nazioni organizzato in merito al tema dell’ecologia e il momento esatto, nell’itera della progressione generazionale contemporanea, in cui sarebbe stato elaborato e promulgato il protocollo di Tokyo. Sebbene molti meno ricordino, o abbiano mai preso in seria considerazione, l’idea parimenti dedicata alla risoluzione dell’impronta carbonica della popolazione globale, il soggetto per riunire l’attuale popolazione di una megalopoli in uno spazio paesaggistico comparativamente insignificante. Ciò grazie all’edificazione della Tokyo Babel Tower (東京バベルタワー) iper-grattacielo dalla forma tondeggiante vagamente riconducibile a una lettera “A” , con riferimento alle soluzioni strutturali utilizzati dall’attuale Tokyo Tower e la sua dichiarata ispiratrice, la torre Eiffel di Parigi. Ma un’altezza superiore ai 10.000 metri e base di 110 chilometri quadrati, essenzialmente sufficiente a ricoprire del tutto i confini urbani all’interno dell’anello urbano della ferrovia di Yamanote. Poiché non sarebbe forse meglio riunire tutte le proprie uova all’interno dello stesso paniere, quando quest’ultimo può essere reso impervio a terremoti, inondazioni, persino l’impietoso passaggio dei secoli nell’inconoscibile avvenire?

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