Un ragno rotolante, il suo robot

Rechenbergi

Sandali e calzoni corti. Quest’uomo dall’eccentrico cappello di paglia, sperduto in mezzo alle dune del Sahara, è l’esperto di bionica Dr. Ingo Rechenberg, professore della Technical University di Berlino. Costruire sistemi meccanici ispirati alle soluzioni naturali dell’evoluzione, metterli alla prova: non sono imprese adatte a chi si muove in camice tra impeccabili laboratori, tenendo il blocco per gli appunti saldamente stretto tra le mani. Occorre vivere nel mondo più selvatico e inurbano, sporcarsi della sabbia che, senza controllo, vortica nel vento. Sono oltre 60 anni che i paesi dell’Africa nord-orientale, in particolare le regioni aride del Marocco, ricevono le visite sperimentali di questo scienziato multicanale, conoscitore altrettanto preparato della tecnica applicata e della teoria della natura, il puro darwinismo delle forme. L’entusiasmo bambinesco nello sguardo attento, mentre lancia la sua ultima invenzione, nonché la genialità dei gesti, nascondono una buona parte dei suoi venerabili 80 anni di età.
Lo troviamo, costui, sulla cima di una duna. L’immobilità apparente di simili regioni spoglie di vegetazione, dove piove molto raramente, è un illusione attentamente costruita. Il deserto, come adesso ben sappiamo, brulica di vita. Scorpioni e lucertole, serpenti e scarabei, nascosti tra le sabbie senza fine, attenti a non costituire il pasto dei nemici sempre molto attenti. Ciò che resta, sono gli imprudenti, oppure i troppo orgogliosi: lo stercorario, Sisifo della pietruzza puzzolente, sospingeva ogni mattina il sole degli egizi, risorgendo all’occorrenza dal suo nucleo di escrementi arrotondati. Cose tonde, queste qui: piccoli tesori circolari che ricordano il Tabbot, chiassoso essere robotizzato, che in questo frangente anima la duna del visitatore umano. Spostandosi rapidamente con tre zampe articolate, simili a quelle del trinacria siciliano, l’arnese brilla col suo corpo arancio e trasparente. Non è telecomandato né dotato di particolari meccanismi, come un drone; dovrebbe costituire, piuttosto, il proof of concept di artifici futuri, che potrebbero dimostrarsi utili nel campo dell’agricoltura o dell’esplorazione spaziale. Del resto, si sa: lo spettro di Marte, con i suoi deserti interminabili, aleggia sulla maggior parte dei sistemi artificiali di locomozione. Certo, immaginarsi l’astronauta del futuro, dentro ad una tale ruota, che discende sobbalzando da un vulcano a scudo pluri-chilometrico, lascia alquanto perplessi. Possibile che un organismo possa sopravvivere a tali sollecitazioni? Ebbene… Il Dr. Prof. Rechenberg pensa di si. In effetti, lui ha tratto questa idea da un vero essere vivente, nostro zamputo compagno sulle strade evolutive della Terra. Un ragno che rotola frenetico. Solo quando si spaventa, però!

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Boomer, squittiva il tyranno robot

Boomer the Dinosaur

Come corre sulle sue piccole ruote, questo giocattolo fuori controllo! È Boomer, il cucciolo di tirannosauro fatto di plastica, bianca come le ossa, con cavi fibrosi e luci saettanti. Denti di drago, cuore di silicio, occhi di bragia luminescente. “Un burattino non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno” Mastro Geppetto, rinato tra neuroni positronici e servomeccanismi robotizzati, avrebbe assemblato un Pinocchio diverso. Perché l’androide asimoviano, nella sua massima espressione letteraria, non è mai stato la copia di un uomo, completo dei molti difetti. Bensì una creatura evoluta, più saggia, cauta e sapiente dei suoi predecessori biologici, ligia alle regole della legge. Dal naso esiguo, senza segnali di poca sincerità. Che premessa difficile per un’allegoria! Come può crescere, chi è già perfetto?
Anche i giocattoli, spesso, sono così. Barbie, con la sua casa svettante, l’auto costosa, gli abiti all’ultima moda. Nerboruti G.I. Joe col coltello fra i denti, campioni agguerriti della totale virilità. C’è una logica in tali figure, tanto encomiabili all’apparenza, che colpisce la mente dei genitori: “Se i miei figli aspirano a questo, saranno grandi, ricchi e potenti.” Messaggi subliminali per una vita futura, a patto che possa esser solo questo, la vita futura. Realizzarsi per metriche chiare. Però beh, c’è dell’altro. All’estremo opposto del mondo dei balocchi, strisciando, si annidano mostri. Goblin e bestie notturne, tutta l’empia progenie infernale. Anche dal male si traggono esempi, per avversione. Questa è la prima giustificazione, di una simile assenza di probità. La seconda proviene dal metodo. Cosa dovrebbe fare in fondo, il bambino seduto in terra con il pupazzo, se non usare la sua fantasia per… Proiettare se stessi, ebbene si, ma verso cosa? La guerra ai nemici di Ethernia, Shangri-La, Gotham City. Questo vorrebbe la tradizione, fondata sul volto splendete degli eroi. Però si può restare se stessi, anche fuori dal quotidiano. Occorre la scintilla di un buffo contesto. Può fornirla l’odierna tecnologia, attraverso l’imprevedibilità degli spaventevoli automi.
Boomer è chiassoso e chiocciante, irritabile. Se gli tocchi la coda si arrabbia e tenta di morderti il dito. Ciancica carta e la sputa, con sprezzo dell’ordine e del riciclo. Chiunque abbia provato inquietudine innanzi a Furby, con i suoi occhi bulbosi, la voce stridula, per lo meno sapeva una cosa: quell’orrenda creatura non poteva spostarsi, per venire a guardarti dormire con sguardo carico di sottintesi. Quanto cambiano le cose!

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Sinfonia meccanica delle palline in volo

Pipe dreams

Al primo piano della sede Intel di Richmond, Arizona risiede uno strumento articolato che può produrre solamente una ritmica, balzana sinfonia. È un pezzo unico nel mondo dei teatri, senza pari tra le orchestre di chi è desto eppure mille volte riprodotto, nei menti e nelle case degli appassionati della musica del sogno. Soprattutto se ricerchi la sua genesi remota, tanto strana ed improbabile, l’incontro di tre aziende ultramoderne, unite giusto per produrre questo flipper arzigogolato. Lo spettacolo, che si avvia alla semplice pressione di un pulsante, proviene da un’animazione tridimensionale, intitolata con la semplice dicotomia in inglese Pipe Dreams. La quale è stata, forse, la più celebre prodotta ultimamente in questo campo trascurato: provvedere con le immagini alla melodia. Piuttosto che il contrario, come avviene molto più di frequente, per l’analogia verso un modello assai frainteso. Innumerevoli sono gli adulti di oggi, bambini giusto l’altro ieri, che conobbero Johann Sebastian Bach, Ludwig Van Beethoven e Paul Dukas seguendo le peripezie di Topolino, l’apprendista stregone al cinema con Fantasia (Disney – 1940). Tra scope irrequiete, allegorie naturalistiche, centauri, struzzi ed ippopotami, che ripercorrevano nei gesti l’altercare delle note messe insieme da quei grandi, celebri compositori del passato.
Musica ed immagini perfettamente uniti, cadenzati verso un effetto neurologico che viene detto la sinestesia (vedere sentendo, sentire vedendo). Il quale oggi è ricercato, di continuo, da duemila videoclip e videogames. Verso l’ultimo confine della noia. Sarebbe stato meglio chiedersi, fin dal principio, da che cosa provenisse un tale amalgama di percezioni e quanto, in effetti, fosse stato un semplice stilema narrativo.

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Cogito, ergo ping-pong

Kuka Vs Timo Boll

Il progresso dell’ingegneria corre lungo strade parallele, ciascuna orientata alla risoluzione di un problema, puntata verso l’impossibile futuro. Gli incroci sono astrusi valichi dell’immaginazione, con semafori che bloccano il progresso. I freni a disco orpelli deleteri o vinili da graffiare con la punta della mente. Largo al nuovo, la musica dell’invenzione; fuoco, fiamme e CD-ROM. Tecnici aerospaziali disegnano velivoli, meccanici assemblano automobili e nel frattempo gli addetti alle infrastrutture ne progettano gli ambienti, le piste di atterraggio e i tunnel sotterranei percorribili, in più sensi, avanti: indietro e sesta-dimensione. Per non dimenticarsi degli automi. Questi mirabili, magnifici robot. Cui manca solo la parola, sul diciannovesimo sofferto punto di un eterno match, avanti, indietro e ping! Poi Pong! E poi…Solamente certe volte, se si è davvero fortunati, tutti quanti si ritrovano allo stesso svincolo, dove compie quel prodigio che ci porta a dire: “In che epoca, viviamo!?”
Il luogo d’origine è la Germania, città bavarese di Augsburg, città libera, Augusta Vindelicorum, governata da due imperatori tra le pieghe di epoche trascorse. Famosa per l’industria tessile, prima, poi per i telai meccanici spropositati. Ma veniamo al dunque. Anno, mese, giorno: oggi, l’era delle macchine ribelli. Momento lungamente paventato, in cui questo possente dito, senza mano e senza corpo, possa sfidare un uomo e… Perdere. Ma con stile, ovvero, per un pelo (in fibra ottica). Racchettando, raccattando, da un’unghia che è di forma circolare, in legno e gomma, nera quando è dritta e rossa quando ruota, sui suoi cardini potenti, per un colpo di rovescio. KUKA KR AGILUS, il nome di quel dito, dalla pelle metallica e arancione. Il suo rivale a tennis tavolo è Boll, Timo Boll, campione nazionale nonché premiato ambasciatore europeo presso le terre d’Oriente, paesi in cui quel gioco è ossigeno, praticamente cibo quotidiano. Non a caso, proprio per la Cina nasce questo video, pubblicità virale d’alta caratura e annunciata con un teaser, che ebbi a menzionare presso questo stesso blog. Lo scontro si è concluso, il punteggio è chiaro. Qualcuno aveva dubbi? Ai dati di vendita, l’ardua sentenza

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