La chiesa della colomba che voleva essere un pollo

Quando il manager dell’industria tedesca BASF nel distretto centrale dell’isola di Java, il cristiano Daniel Alamsjah, andò a letto quella sera del 1988, non immaginava certo di svegliarsi come un uomo completamente cambiato. La forte convinzione, l’ideale della fede e la credenza in un potere superiore tende a fare di questi scherzi. Specialmente, quando si è propensi a seguire la strada indicata dai propri sogni. Così nel profondo della notte, l’uomo nel mezzo del cammino chiuse gli occhi, soltanto per trovarsi inondato da una luce sovrannaturale. Attraverso la quale, si palesò dinnanzi a lui una colomba bianca, accovacciata sulla cima di una verdeggiante bianca. La quale, con la naturalezza tipica dei contesti privi di sostanza, aprì il becco e iniziò a parlare: “Sappi che la grazia del Signore è immensa, e il suo perdono sconfinato. Forse tu mi costruirai una casa, perché Io possa abitarvi a beneficio di tutto il popolo dell’Indonesia?” Svegliandosi allora, possiamo presumere, in un bagno di sudore, Daniel meditò a lungo sull’intera questione, prima di decidere che sarebbe andato al lavoro in maniera del tutto normale. Benché non avesse ragione di pensare che il segno sacro ricevuto fosse del tutto immaginario, le sue responsabilità restavano particolarmente importanti, e c’erano molte persone che dipendevano da lui per lavorare. Persone come l’impiegato rimasto senza nome nelle cronache internazionali, di religione musulmana, che per qualche ragione aveva mancato di tornare agli stabilimenti dopo il concludersi delle feste per il termine del Ramadan. Così decise, senza particolari esitazioni, di recarsi presso la città natìa di quest’ultimo, Magelang, per andarlo a cercare. Ma la sua famiglia non sapeva dov’era. E nei principali bar, nessuno lo aveva visto. Se non che verso sera inoltrata, sentì la voce secondo cui egli si trovasse sul promontorio di Rhema antistante la città, a meditare in completa solitudine. Prima di tornare a casa, quindi, risalì il sentiero e una volta giunta in cima, proprio come previsto, il collega era lì, seduto sopra una roccia. “Signor Alamsjah, la stavo aspettando. Si, eviti di fare domande. Deve sapere che anch’io ho avuto una visione, che mi ha portato qui, ora, con lei. Domani sarò pronto a tornare al lavoro, ma soltanto a una condizione: per stanotte, resti quassù con me. Osserviamo insieme il sorgere del sole.” L’uomo razionale che c’era in Daniel, a quel punto, iniziò a combattere contro il suo spirito convinto nell’esistenza di un Potere superiore, giungendo alla conclusione che l’intera faccenda aveva qualcosa di strano. E che meritava, quindi, di essere approfondita. Pensieroso, dunque, si sedette su una roccia vicina. Dovete comprendere che in un paese tropicale come l’Indonesia, passare la notte all’aperto senza nessun tipo di preparazione difficilmente comporta particolari problemi. Il racconto non ci dice che cosa fecero, esattamente, i due per le lunghe ore notturne. Forse dormirono. Oppure pregarono, ciascuno secondo i dogmi della propria religione. Ma alle prime luci dell’alba, d’improvviso, l’importanza della loro impresa fu evidente. Nel momento esatto in cui Daniel si alzò in piedi, facendosi schermo agli occhi con le mani a coppa, intravide tra le sue dita qualcosa d’inaspettato. La stessa identica vista della collina che aveva visto nel suo sogno, fin nei più piccoli particolari. “Manca soltanto…Manca soltanto…”
Ora, nell’architettura monumentale, la maggior parte dei paesi che hanno avuto, nel corso della loro storia, una maggioranza a cultura e religione buddhista, presentano un’innata propensione nei confronti delle statue. Come quelle di Borobudur, l’antico e giganteggiante santuario situato non troppo lontano dalla collina di Rhema, al punto che con le condizioni climatiche giuste, si riusciva a scorgerne tra le fronde le numerose cupole ornate. Una propensione che, analizzata nelle sue più estreme e moderne conseguenze, porta nell’intero Sud-Est asiatico all’esistenza numerosi templi con una forma particolarmente suggestiva, come quella di una nave, un drago, lo stesso Siddharta Gautama, seduto sul fiore di loto in meditazione e poi… Ma una chiesa, di contro, è sempre una chiesa. Esistono norme architettoniche assai precise, come per le preghiere, il nome da dare ai figli ed il comportamento considerato corretto, a beneficio dei veri cristiani che vogliano costruire una casa per il Signore. Almeno che Questi, per una ragione o per l’altra, si sia rivolto direttamente a loro. Così che una simile distinzione, fino da allora data per scontata, stava per mutare in un singolo istante. Quando Daniel, ormai prossimo alla pensione, disegnò su carta la sua idea nel 1992, portandola all’attenzione di alcuni suoi conoscenti operativi nell’industria delle costruzioni. Preso congedo definitivamente dalla BASF, ed investito fino all’ultimo dei suoi risparmi tra le proteste di moglie e figli, l’uomo iniziò ad assolvere alla grande missione che l’avrebbe reso celebre sul Web.

Leggi tutto

La barba che cresce sulle code della falena

È tutto iniziato con il post dell’utente giavanese di Facebook, Gandik, che il 19 ottobre all’ora italiana 14:08 ha postato la frase presumibilmente in indonesiano: “Nmbe tumon kupu macem kie” (traduzione, uhm…) accompagnata da foto e video di un insetto decisamente peculiare. Una falena dall’addome corpulento di colore arancione con puntini neri, le ali striate molto aerodinamiche, e una livrea sinuosa simile alla zampa di un tavolo ornato in prossimità della testa. E poi, quasi dimenticavo, quattro mostruosi tentacoli arcuati fuorusciti dalla parte posteriore del corpo, simili agli arti prensili di una creatura concepita per succhiare cervelli fuori dai padiglioni auricolari umani. Soltanto simili, s’intende. Voglio dire, l’aspetto della creatura è piuttosto insolito ed innegabilmente inquietante. Forse perché sembra a tutti gli effetti che sia stata infettata da uno o più parassiti, ricordando per certi versi la tipica scena dei vermi nematodi che fuoriescono dal corpo di un bruco o una sfortunata mantide religiosa. Ma la reazione collettiva di disgusto professata dalla maggior parte dei portali Internet e la blogosfera direi che appare appena un pelino esagerata, per un’animale che misura poco più di un centimetro di lunghezza: “Chiaro segno dell’Apocalisse avvistato online” oppure “Se lo vedessi brucerei istantaneamente la casa, ma che dico, la città…” Seguìto dal sempre popolare: “Gettate una bomba ATOMICA dall’orbita terrestre per eliminare questo araldo di Satana fra di noi.” È un po’ il gusto dell’iperbole che si sa, garantisce un numero maggiore di click. Non che questo giustifichi la quasi totale assenza di analisi scientifica nella trattazione reperibile tramite Google, che sembra essersi fermata al primo accenno offerto da Wikipedia in materia. Laddove, tra l’altro, la specie è nota: ciò che abbiamo visto coi nostri occhi increduli costituisce in effetti un esemplare maschio di Creatonotos gangis, nient’altro che uno dei Centuria Insectorum(100 insetti) descritti per la prima volta nell’omonimo testo tassonomico del 1763 compilato dal sempre rilevante Linneo. “Se non conosci il nome, muore anche la conoscenza delle cose.” Amava dire costui… Ma sapete cos’è ancora meglio, per ricordarselo? Associare un racconto al nome. Si tratta di una storia davvero importante. Forse la più importante di tutte…
Il momento culmine nella vita di questo lepidottero, diffuso in tutto il Sud-Est Asiatico ed in alcune regioni settentrionali dell’Australia, si verifica durante un periodo delle notti di primavera, quando fuoriesce dal duro bozzolo in cui ha trascorso l’inverno. Non più bruco strisciante e peloso, bensì un essere volante concepito primariamente per uno scopo ben preciso: trovare una femmina ed accoppiarsi con lei. Il che avviene attraverso un organo produttore di feromoni che l’entomologo Robinson, inventore della più celebre trappola per falene, definiva nel 1962 “Uno dei miracoli della natura.” Il nome dell’apparato artropode in questione è coremata e il suo aspetto dalle molteplici biforcazioni barbute, beh… Diciamo soltanto che suscita una certa quantità di domande. La prima delle quali nasce dalla semplice osservazione di come dette mostruose “code” siano a tutti gli effetti più lunghe dell’addome dell’animale. Come è possibile tutto ciò? La risposta, in un certo senso, fluttuava nell’aria. Gas incorporeo che la falena risucchia tramite l’apposito opercolo, gonfiando letteralmente un qualcosa che si rivela essere, dunque, nient’altro che la versione naturale di quelle maniche vagamente antropomorfe fatte sorgere in maniera pneumatica in occasione degli eventi e fiere di paese. La cui finalità non è però soltanto, né primariamente estetica, avendone una decisamente più funzionale: liberare un richiamo nell’atmosfera. Preparatevi quindi alla rivelazione che, forse, getterà nello sconforto il battito del vostro cuore: queste falene non arrivano mai da sole.

Leggi tutto

La strana nascita del pollo dei vulcani

Un litro d’acqua gassata all’interno di una bottiglia da mezzo litro, questo è la Terra. Pianeta i cui stessi sconvolgimenti, attraverso gli eoni, hanno posto le basi per la nascita della vita e la deriva dei continenti. Che cosa saremmo, oggi, se tutta l’energia a nostra disposizione dovesse provenire dal Sole e dalle maree? Nessun fuoco interiore, niente venti, né terremoti. La vita animale, tra cui quella umana, non è che un aspetto della sua controparte minerale, il residuo di quel grande boato primordiale che si oppone naturalmente al processo dell’entropia. Vi sono creature che lo comprendono. Vi sono esseri che devono la loro stessa sopravvivenza a questo particolare barlume di saggezza. E qualsiasi simile recipiente, ciò è inevitabile, presenta un qualche tipo di valvola di sfogo. Normalmente, le chiamiamo “tappi” ma i geografi preferiscono definirli Islanda, Etiopia, Filippine, Giappone… Indonesia, in particolare presso l’enorme isola di Sulawesi. Una confluenza serpentiforme di territori abitabili, fatta di quattro penisole e diversi centri abitati e costellata di vulcani. Ma forse, descrivere questo luogo a partire dalle sue zone urbane sarebbe alquanto riduttivo. Poiché è proprio dalla vasta giungla centrale, che emergono alcuni dei più strabilianti capolavori dell’Evoluzione.
Può capitare di vederlo succedere in qualsiasi periodo dell’anno, come è consueto negli ambiti climatici tropicali: uno stormo, se così scegliamo di definirlo, composta da uccelli lunghi all’incirca 60 cm ciascuno, il dorso nero come il carbone ed il ventre rosa, color di una pesca matura. Con gli occhi cerchiati di giallo e qualcosa di strano sopra la testa: ciò che in gergo aviario incontra il nome di casco, ovvero una struttura semi-solida e bulbosa, simile a un elmetto da football. Ma che è stato anche descritto come una zecca gonfiatasi fino alla dimensione di una noce. Ed è forse proprio questo elemento a donare in massima parte l’aspetto marcatamente alieno dell’animale, un’impressione ulteriormente supportata dagli strani versi che emette, simili a un stridulo tacchino. Per non parlare del suo impossibile comportamento. Una volta raggiunta la spiaggia antistante la propria foresta, infatti, il gruppo di Macrocephalon male (Comunemente detti maleo) inizia immediatamente a scavare, facendo uso delle potenti e spesse zampe ricevute in dono dalla natura. Il proseguire di questo episodio, se non vogliamo definirla una vera e propria scena, progredisce quindi verso il regno dell’impossibile, con le diverse coppie di maschio e femmina che collaborano nel sollevare un impressionante nube di polvere, mentre manciate di sabbia vengono gettate in ogni direzione, incluse le buche dei propri colleghi. Di tanto in tanto, gli uccelli immergono il becco nella sabbia, nell’apparente tentativo di sentirne il sapore. In realt, ne mettono alla prova la temperatura. Nasce qualche lite, gli spazi vengono definiti, il vortice del Caos impera in un favoloso congiungimento di turbinii. Una volta tornata la calma, le femmine si accovacciano sopra i rispettivi buchi e depongono un singolo uovo. Enorme ed oblungo, grande fino a cinque volte quello di una gallina. A questo punto lo ricoprono completamente e con apparente soddisfazione, spiccano il volo per fare ritorno ai boscosi territori di provenienza.
Se ci fossimo trovati in un qualsiasi altro paese, probabilmente, tutto questo non avrebbe portato ad alcunché di fecondo. Privo di calore sufficiente a raggiungere la schiusa, il pulcino sarebbe morto in totale solitudine e oscurità, senza mai sperimentare l’ebbrezza del sovrastante cielo. Ma poiché il suolo di Sulawesi, come per l’appunto dicevamo, è connesso ai condotti che si diramano dal grande mare di magma nelle profondità del mondo, e grazie all’attenzione prestata dai suoi genitori, il suo pertugio irraggiungibile dai predatori potrà vantare una temperatura che si aggira attorno allo sweet spot dei 33 gradi netti. Sufficiente affinché, dopo il trascorrere di 60-90 giorni, il neonato possa rompere il guscio, mettendo piede in quella che potrebbe assai facilmente costituire la sua stessa tomba. Il fatto, vedete, è che il piccolo di maleo può facilmente trovarsi anche ad un metro di profondità. Ragione per cui è biologicamente concepito, fin dal primissimo attimo di libertà, per affrontare le imprese e le fatiche di un esemplare adulto, fatte le debite proporzioni. Ed a quel punto, con rapida rassegnazione, non potrà far altro che mettersi a scavare.

Leggi tutto

Questa mosca nera salverà il mondo

Nello studio del ciclo vitale di un insetto, c’è sempre il momento in cui ci si trova di fronte all’affermazione: “Quindi la femmina depone le uova e si ricomincia da capo.” Bruco, farfalla, bruco. Libellula, larva, libellula. Niente può fermare o rallentare il bisogno funzionale di riprodursi né la pulsione a trovare un luogo idoneo a farlo. Ma per noi esseri umani è diverso. Poiché preponderante è in noi la necessità di raggiungere lo stato di benessere, le nostre priorità sono differenti. Piuttosto che preservare, consumiamo, invece che osservare le inviolabili norme della natura, le calpestiamo ricercando metodi per aggirarle. L’essere umano, allo stato attuale dei fatti, ha drammaticamente bisogno di aiuto, principalmente perché ha perso la capacità di occupare un raggio della grande ruota del cosmo. Ma piuttosto pretende di guidare il carro, puntandolo dritto verso il più profondo baratro dell’entropia. E chi potrebbe mai darcelo, se non i nostri amici artropodi, che per secoli interminabili abbiamo scacciato, bruciato, avvelenato ed odiato qualora invasivi, velenosi o sporchi… Eppure sentite a me, senza mai andare incontro ad un fato terribile, come quello che potrebbe aspettarli nelle prossime generazioni. Adesso che chi di dovere ha capito, finalmente, che essi possono essere prevedibili ed efficaci come una macchina che non si guasta mai. Soprattutto quando mangiano la spazzatura.
La mosca soldato nera (Hermetia illucens) diffuso in tutto il mondo nell’area tropicale e sub-tropicale, è un dittero piuttosto atipico, poiché una volta raggiunta l’età adulta non può più mangiare. La sua bocca viene rimpiazzata da una struttura ad uncino, che usa per fuoriuscire dal substrato e spiccare il volo, per un lungo periodo di due settimane durante le quali, salvo particolari sfortune, dovrebbe riuscire a trovare la sua compagna. In funzione principalmente di questo, la forma adulta dell’insetto (imago) non è infestante, né viene naturalmente attratta dalle abitazioni e dagli insediamenti umani. Nel caso in cui dovesse entrarti accidentalmente in casa, poi, non ha i riflessi straordinariamente rapidi delle mosche nostrane, non punge e può essere facilmente raccolta e lanciata fuori da una finestra. Una volta completato l’accoppiamento, quindi, la femmina va in cerca di una certa quantità di materia marcescente, che può essere di origine vegetale o animale, dove deporrà le sue uova. Poco dopo, muore. La sua numerosa prole, una volta emersa nel mondo a distanza di quattro giorni, avrà un aspetto e uno stile di vita molto diverso: piccole larve biancastre simili a vermi, create esclusivamente per mangiare e diventare più grossi, diventare il più grossi possibile nel giro di poco tempo. Chiunque conosca la leggendaria voracità dei pirañha, connessa all’immagine tipica (ma esagerata) della carcassa di mucca gettata nel fiume e fatta sparire nel giro di pochi minuti, ancora non potrà facilmente prevedere la velocità con cui le BSF (Black Soldier Fly) effettuano il loro lavoro di acquisizione e stoccaggio dell’energia. Nel tempo necessario a maturare, un metro quadrato delle loro larve consumerà 15 Kg giornalieri di materiale organico, qualunque sia la sua provenienza. A questo punto, capite di cosa stiamo parlando? Siamo dinnanzi a una risorsa potenzialmente fondamentale per il nostro futuro.
È naturale che nell’attuale scenario della spazzatura prodotta dal consumismo, questo tipo di rifiuti non occupi il primo posto tra le nostre preoccupazioni. Dopo tutto, gli scarti di cibo, le bucce della frutta e gli avanzi sono naturalmente biodegradabili, giusto? Beh, fino ad un certo punto. Benché i microbi presenti nell’atmosfera possano riuscire a scorporare molte di queste cose, in effetti, essi non riusciranno a farlo quando la maleodorante materia si trova pressata contro se stessa in situazione anaerobica all’interno una discarica, dove tenderà a decomporsi in maniera straordinariamente lenta. Generando, conseguentemente, ingenti quantità di gas metano, uno degli agenti più pericolosi nel riscaldamento terrestre. Così per eliminare il pattume ancora ricco di nutrienti, alcuni paesi si sono rivolti storicamente al suino. Ma i maiali richiedono spazio, lavoro ed attenzioni assolutamente non comparabili a quelle di un’ammasso di larve di mosche. E questo senza considerare il nesso finale della questione: alla fine, senza falla, vengono mangiati da noi. E chi vorrebbe mai consumare una carne che ha nutrito se stessa in siffatta maniera… Anche se, cosa forse piuttosto sorprendente, anche le larve di potranno entrare, in maniera indiretta, a fare parte della nostra dieta. Ne è la prova uno studio prototipico messo in atto dalla EAWAG, l’ente svizzero per lo studio e lo sfruttamento dell’acqua, nel distante arcipelago indonesiano…

Leggi tutto