L’hovercraft pensato per chi gioca a golf

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C’è qualcosa di speciale in un golf cart. Il tradizionale veicolo usato per spostarsi tra una bandiera e l’altra dei verdeggianti links è in genere concepito per raggiungere una velocità di appena 20-25 Km/h, sfruttando dei piccoli motori elettrici o a quattro tempi. Eppure la sua candida livrea, le minuscole ruote, l’aspetto squadrato e tranquillo finiscono per ispirare in molti guidatori uno spontaneo senso dell’avventura. Si tratta dell’indistinguibile fascino di un mezzo diverso dal solito, lo stesso che caratterizza go-kart, furgoni dei gelati, Formula 1 e le recenti hatchback sportive di certi produttori tedeschi o giapponesi. Sarà ora, tutto sommato, di rinnovarlo… Perché non solo i dilettanti alle prime armi, ragazzi e ragazze neopantentati, ma anche gli esperti veterani di questo sport possano ritrovare, al volante della simpatica automobilina, il fascino di guidare, per una volta, oltre le regole del semplice buon senso. O del codice della strada. La soluzione fortunatamente c’è già, e l’ha pensata l’insigne Bubba Watson, golfista americano famoso per la potenza del suo drive. Ecco un video di presentazione con tanto di rendering in grafica computerizzata e la giusta dose di aria, gomma e turbine direzionabili. Solo non fate caso alla data di pubblicazione; si tratta del DUE aprile, quindi sarà meglio crederci al 100%. Per guidare, e tirare, là dove nessun giocatore aveva fatto prima.

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Rembrandt rivive ad Amsterdam in una folle flash mob

Ronda di Notte

Camminando fra la natura o in luoghi isolati può capitare di percepire brevemente il respiro ineffabile dell’arte. Montagne distanti si trasformano allora nei picchi ancestrali dell’epica antica; alberi e foglie, mossi dal vento, ispirano un sentimento di musicalità e poesia. Non è difficile, in quei momenti, sentirsi subito parte di un raffinato dipinto, creato dall’abile mano di un qualche antico maestro: il turchese del cielo sembra attraversato da lievi pennellate azzurre e biancastre, usate per indicare la presenza di impercettibili formazioni nuvolose. Il chiaroscuro delle ombre assume, nell’immaginazione, l’aspetto e la pastosità dell’inchiostro di china. Questo, ovviamente, purché si viva in mezzo alla campagna. Come si potrebbe mai immaginare un qualcosa di paragonabile a questa linea di fantasticherie, ma che ci colpisca, piuttosto, in mezzo al traffico e al caos della vita urbana? Eppure a qualcuno potrebbe essere successo, pensate un pò, dentro al più classico centro commerciale. Tempio del moderno consumismo, si, ma anche il luogo in cui un ladro d’altri tempi, in braghe, camicia e cappello piumato, può far scattare accidentalmente l’allarme di un negozio. Per farci assistere all’intervento rocambolesco non della semplice sicurezza, ma di una particolarissima ronda notturna, quella degli archibugieri del capitano Banning Cocq, borgomastro della città di Amsterdam di appena 4 secoli fà. Ci sono (quasi) tutti: il fedele luogotenente Wilhelm van Ruytenburgh. L’astuto portabandiera Jan Cornelisz Visscher. C’è anche la bambina con il pollo appeso alla cinta, simbolo dei nemici sconfitti. Manca solo l’autore del quadro: Harmenszoon Van RijnRembrandt.

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Il vagone della metro in cui tutti chiedono l’elemosina

Panhandlers

Panhandlers è il termine inglese di uso comune, molto frequente negli Stati Uniti, con cui ci si riferisce a tutti coloro che avessero incontrato, per una qualsiasi ragione, la necessità di chiedere l’elemosina per strada. Letteralmente significa “[colui] che tiene un cesto” e si riferisce al classico recipiente, spesso sostituito da un cappello, messo dai bisognosi sul marciapiede come implicita richiesta di denaro, oppure da far passare tra la gente, cercando l’altruismo di un qualche sconosciuto in mezzo alla folla. Questa parola viene spesso tradotta, in Italia, con il termine mendicante. La maggiore concentrazione di panhandlers si trova, ovviamente, nelle grandi metropoli, in luoghi di alta visibilità come parchi, giardini, zone commerciali e nei treni della metropolitana. A New York City, in particolare, è statisticamente molto probabile incontrarne anche più d’uno nel corso di un singolo viaggio, specialmente se ci si muove nelle ore di punta; ma persino lì, una situazione come questa non l’aveva mai vista nessuno. Non è un caso: questo è l’ultimo scherzo di Gary Lee Mahmoud, un comico locale, messo in atto con lo scopo di far sorridere ma che riesce, se guardato con il giusto spirito, a dare anche un pò da pensare. Il titolo, già di per se un programma, è Panhandler Party.

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L’astuzia del corvo: una prova d’intelligenza

Crow

“Mai più!” disse Bernhard. Vivere con i bestioni a due zampe, accettare le loro regole ha certamente alcuni lati positivi. Abituato a rischiare la vita in città, tra alti palazzi e sfreccianti automobili, per lui avere il cibo pronto è un grosso passo avanti. Ogni mattina, i suoi gentili carcerieri vengono a salutarlo nella gabbia, lo accarezzano e rivolgono al suo indirizzo complimenti e moine. Talvolta, quando Bernhard dimostra chiaramente di desiderarlo, gli offrono anche il gradevole lusso di un bagno in acqua tiepida, limpida e rilassante. Poi, a metà giornata, inizia la parte di cui nessuno gli aveva mai parlato. Lui, infatti, ricorda chiaramente le parole di Douglas il Piccione, anziano abitante della piazza centrale “Ho sentito dire che in gabbia nessuno ti scaccia, non ti maltrattano e puoi dormire quanto ti pare.” Diceva, due giorni prima di finire sotto un tram. E così, Bernhard scelse spontaneamente di recarsi al Laboratorio, tempio scientifico degli esseri bipedi, signori indiscussi del pianeta. “Mai più!” disse, mentre per l’ennesima volta si ritrova, suo malgrado, ad affrontare un complesso esperimento. Cosa avranno pensato i loro enormi cervelli questa volta? Dannati scaltri individui. Il cibo si trova in una scatola, dietro robuste sbarre di legno “Ummm” Bernhard tenta invano di raggiungerlo. “No! Serve uno strumento!” Appeso per un filo a un alto ramo, messo un pò da una parte, scorge improvvisamente un semplice bastone. “Ci sono!” Compiuto l’agile balzo, impugnato l’oggetto familiare, di nuovo fallisce nel guadagnarsi il cibo… Perché con sua somma delusione la pillola di carne, stavolta, l’hanno messa troppo in là. Dev’esserci un passaggio successivo. Bernhard aguzza l’ingegno…

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