La bocca spontaneamente si contorce in una smorfia, mentre osservo ciò che si agita nella mia mano. Che orrore, questa palla brulicante! Sopra la membrana di un sottile guanto in lattice, barriera trascurabile, antenne dardeggianti, addomi vermigli e migliaia, milioni di zampette, che fanno il solletico e producono un sonoro tic-tic-tic. Sembra un singolo animale, però con molte teste, tutte unite in un amalgama infernale. S’innalza fra le altre, d’un tratto, quella di un solenne portavoce: “Il mio nome è Legione perché siamo molti” Dice, poi all’improvviso si ricorda, sono soltanto un mirmidone. Piuttosto che parlare, preferisco usare il pungiglione.
Ed è questa, ahimé, la caratteristica più nota della formica americana velenosa, anche detta del fuoco per infame associazione: il modo in cui si difende dai suoi (presunti) predatori, attraverso l’uso spregiudicato dell’alcaloide phosphoinositol 3 kinase, un veleno estremamente doloroso per gli umani. Non stiamo parlando, ovviamente, delle nostre amichevoli formiche rosse europee, ma di ben altro; questo genus tassonomico d’insetti non è fatto per convivere, ma dominare nel suo ambiente, preferibilmente inaccessibile e isolato. La specie solenopsis invicta, in particolare, dal nome degno di una legione della Roma antica, proviene dalle profondità delle foreste brasiliane e si è propagata, gradualmente, attraverso la maggior parte degli Stati Uniti del Southwest, in zone sia rurali che semi-urbane. Piuttosto che spruzzare il suo acido formico in corrispondenza delle ferite faticosamente inflitte ai suoi nemici, alla maniera delle altre formiche nocive, lei li abbranca con le mandibole, poi si piega a C e vi pianta direttamente il suo temuto gladio, posto nell’addome. Più e più volte, ma soprattutto, in buona compagnia delle sue sorelle, fedeli al giuramento pretoriano. Non è in effetti insolito, dopo un incontro particolarmente ravvicinato con questi abitatori dell’ombroso sottobosco, che si debba fare visita al più prossimo pronto soccorso, per il dolore o il rischio di reazioni allergiche nefaste.
Questo destino d’infamia popolare, tipico di chi ha un’indole tanto aggressiva, ci ha impedito molto a lungo di apprezzare le altre doti di un fantastico insetto sociale, costruttore di strutture nella terra, in genere, ma pure fatte con i corpi dei guerrieri, all’occorrenza. Gustatevela, quella polpetta deliziosa. Tante bestie, unite così a palla, che resistono alla forza di una mano umana. Come l’ultima testuggine rimasta in mezzo a barbari giganti.
Stati Uniti
Il primo bagno del gufetto
Nessuno ha mai addomesticato degli uccelli come questi. Attenti percorritori delle notti americane, sempre in cerca di una preda, i gufi della specie megascops kennicottii hanno lo spirito libero tipico di ogni rapace. Becchi ricurvi. Zampe prensili con unghie acuminate, per ghermire meglio topi, insetti o mani umane. E il temperamento di un Gremlin che abbia mangiato appena dopo mezzanotte. Persino il giapponese anonimo, proprietario del canale Kuu owl, nonché dell’omonima creatura, la definisce a malincuore “una bimba un po’ cattiva”. Che però “Si sta abituando” …Poco a poco, senza troppi rischi per il suo padrone. Questo, in effetti, è il notevole vantaggio: come gli altri appartenenti della sua famiglia, la graziosa Kuu, anche una volta adulta, misurerà all’incirca 20 cm d’altezza. Forse appena un paio in più. È una strigide mignon, per così dire, fin da quando uscì dall’uovo, lo scorso aprile (questo video risale alla fine di settembre). Ma che la piccola screech owl sia poco comprensiva dell’ambiente umano non importa, quando sa apprezzare così a fondo le comodità. Messa nella ciotola, come un cagnolino e come un gatto, la rapace si abbandona al gusto di lavarsi, dimentica dei boschi e delle scorrerie. A differenza degli altri animali domestici, però, invece che restringersi per l’acqua, un’immagine ridicola, s’ingrossa sempre più, aumentando conseguentemente il fascino. Le sue piume gonfie diventano un cappotto, una palla soffice da accarezzare. Con quegli occhi giganti, ricorda vagamente il pupazzetto Furby. Non fa venire voglia, anche a voi, di portare a casa un gufo? Ecco, non fatelo.
Famoso è il caso dei barbagianni e degli altri titonidi d’Inghilterra, adottati sull’onda del successo di Harry Potter, ben presto tristemente abbandonati. Un gufo, qualunque sia la provenienza, non è certo come un pappagallo. Tanto per cominciare, mangia solo carne; proprio come avviene in casa di un serpente, Kuu-chan si è probabilmente vista riservare dello spazio in frigo, uno scomparto pieno di roditori surgelati. Ingoiandoli interi, ma digerendoli soltanto in parte, rigurgiterà in giro peli ed ossa, amalgamati in palle appiccicose. La cosa potrebbe anche darvi fastidio, per dire.
San Francisco 1906: il video del traffico prima del caos
Un predicatore di strada con due cartelli al collo, uno davanti, l’altro dietro, la campanella tintinnante in una mano e la pesante bibbia dalla copertina nera, il titolo dorato, stretta saldamente sotto braccio, percorreva certamente Market Street. Era il 14 aprile 1906, quattro giorni prima del più grande terremoto mai subito dagli Stati Uniti. “Repent your sins!” Faceva lui. Incombeva, nel frattempo, l’assoluta distruzione del maggiore centro urbano sulla Costa Ovest, senza Twitter, senza Facebook e Instagram per raccontarla, come tristemente avviene adesso, sotto gli occhi della collettività. Una disgrazia persa per i posteri, purtroppo. Eppure… Difficile individuarlo tra la folla, tale uomo, l’evoluzione iettatoria degli evangelisti di frontiera, guardando fuori da un prototipo della moderna Google Car. Ma con la neve, con il sole, lui su quella strada c’era sempre. Noi, invece, possiamo percorrerla soltanto in questo modo, guardando fuori da una lente in vetro posta sopra il ferro e quattro ruote. Cos’era dunque, quest’arnese semovente, un calesse con la cinepresa? Mike Upchurch, proprietario del canale, la definisce in modo criptico “streetcar”. Un’automobile rudimentale, meravigliosamente priva di cavalli? Le diverse soluzioni veicolari, in quell’epoca, ancora si contendevano ferocemente lo stesso spazio, andando all’invidiabile rapidità di 10 miglia orarie. In tutte le direzioni possibili, allo stesso tempo, come qui si può ben osservare. Non ci è dunque immediatamente chiaro, con che stiamo percorrendo quell’arteria urbana. Finché*
Colui che ci propone questo interessante video, tra l’altro, è riuscito pure a dargli vita nuova, aggiungendovi il sonoro. Non le voci, purtroppo: “Hellfire and brimstone, to those who offend the Lord!” Avremmo sentito a un certo punto, altrimenti. “Pentitevi, abitatori dell’odierna Gerico dalle mura (troppo) fragili, finché siete in tempo!” Magari, e così via, con l’aggiunta di un realistico effetto doppler, come fatto per il resto. Nel video, aguzzando gli occhi della mente, di quel castigatore se ne percepisce vagamente la presenza. C’era sempre, pure oggi e come allora, nell’immaginario popolare americano. Nessuno avrebbe mai pensato, dopo tutto, di trovarlo tanto gravemente confermato.
E allora costruiremo spara-elastici più grandi
Giacche blu e ribelli confederati, finanziati dal cotone, che si affrontarono sui cambi di battaglia della guerra civile americana. Avevano, costoro, una fondamentale divergenza d’opinione: che gli uomini potessero venire usati come semplici strumenti, oppure no. Lo disse il presidente Abramo Lincoln, causa scatenante, suo malgrado, di tanti micidiali scambi di pareri: “La miglior cosa del futuro è che arriva un giorno alla volta” Tranne quando guardi dalla parte fiammeggiante di un cannone come questo, la ricostruzione giocattolo della prima ammazzasette della storia. Che di canne non ne aveva una, né due, ma fino a dieci, sempre pronte per sparare tutte assieme, o in rapida sequenza. Lo strumento più efficace dell’Unione. Ecco, come cadono quei piccoli legnetti, gettati a terra dalla forza degli elastici, così morivano i soldati, sacrificabili sudisti. Anno domini: 1861. Immaginatevi dunque l’improvvisa comprensione, da parte di qualcuno, della grave verità, eternamente (troppo) poco chiara: che se ti rechi col fucile, con la baionetta innanzi al tuo nemico personale, o a quello del tuo presidente, alla fine non sei più “tu” la cosa più importante, ma l’arma. I gladii che conquistarono la Gallia, gli archi lunghi presso Hastings… I trabucchi di Costantinopoli e le molte dozzine di altre cose, avevano sempre parecchia paia di piedi e di stivali, ma pochissimo cervello. C’era un surplus percepito di preziose vite umane, si scialacquava senza metodo. Questo, pressappoco, stava pensando Richard Gatling, accarezzandosi la folta barba bianca, nella sua officina personale, quando finì di costruire il suo prototipo più rinomato. Soltanto lui poteva dimostrare: “L’inutilità dei grandi eserciti”. Come? Beh, in pratica, con dieci fucili legati tutti assieme. La temibile mitragliatrice a manovella, dall’elevato rateo di proiettili, esplosi in rapida sequenza e in grande quantità, soprattutto rispetto alle persone che dovessero spararli. Solo due o tre individui, per portarla in posizione, e fino a 400-500 colpi per minuto, che scaturivano dalle sue bocche.
La battaglia perfetta non è quella in cui si spara per uccidere, ma per inibire gli obiettivi. Questo era, e tale resta, lo scopo della mitragliatrice: il cosiddetto fuoco di soppressione, ovvero lo strumento della somma dissuasione. Un abile comandante, schierate le sue Gatling, come avvenne a Petersburg, le avrebbe usate per bloccare l’avanzata del nemico. Tenendolo occupato, sarebbe quindi giunto alle sue spalle, per coglierlo di sorpresa e costringerlo ad arrendersi. Facendo molti meno morti… Probabilmente. Più o meno. Funzionava benissimo, questa Gatling, contro chi la conosceva. Guadagnò una fosca fama. Vinse la guerra civile, liberò gli schiavi, venne portata in giro per il mondo, insieme alle più varie ambizioni imperialiste. Il problema, semmai, era di chi ancora non la conosceva. E ci andava incontro con la sciabola. O il cavallo.