Scontro al vertice per il tesoro degli scarabei africani

Inoltrarsi nella riserva nazionale del Parco degli Elefanti di Addo, presso Port Elizabeth, in Sud Africa, è un’esperienza che permette di assorbire la reale atmosfera del più antico e selvaggio dei continenti. Il branco di zebre all’orizzonte, che si confondono tra gli alberi e la vegetazione, mentre una famigliola di facoceri, sobbalzando dolcemente, cammina ai margini del sentiero. Il bufalo del Capo che ci osserva di rimando, i grandi occhi neri sormontati da corna simili ad un ornamento medievale. Mentre si procede, con la jeep, oltre le macchie d’alberi, verso il vasto spazio pianeggiante centrale, abitato dai massicci pachidermi, con gazzelle a far da corollario delle circostanze. E poi talvolta, quando si è davvero fortunati, l’ombra del leone all’orizzonte, splendida criniera, potenza e grazia della caccia, ogni movimento la perfetta applicazione dell’inesauribile energia felina. Al che sarà immediatamente chiaro lo stereotipo, di vecchia data, che vorrebbe attribuire proprio a lui il gravoso orpello, ovvero la corona del governo sulla “società” degli animali. Benché qualcuno, soprattutto gli anticonformisti, potrebbero piuttosto offrirla all’elefante, davvero il più possente, immenso e inamovibile tra gli abitanti di questo universo quasi senza umani. E se… Vi dicessi che oltre a loro, proprio in questo luogo, abita una bestia che potrebbe dominarli tutti quanti? Colei o colui (di nomi ne ha parecchi) che strisciando silenziosamente sul terreno, coltiva alacremente le proprie riserve, impadronendosi del più odoroso e ricco dei tesori: lo sterco. Che producono le zebre. Ed i facoceri. Per non parlare del bufalo o dell’elefante. E le gazzelle, oh, senz’altro! Ma il leone, beh… Il residuo dei carnivori non è la stessa cosa. Poiché non ha compattezza, né solidità, ovvero: risulta più difficile appallottolarlo.
Così è successo, prevedibilmente, che il naturalista e divulgatore Coyote Peterson, famoso per il suo cappello e l’entusiasmo senza limiti, si sia avviato tra questi confini con un nugolo d’idee nella sua testa. Per poi dedicarsi, come fatto spesso in precedenza, alla più strana e trascurata tra le bestie a sua disposizione. Quale miglior modo, dopo tutto, di conquistarsi l’interesse del Web? Ma neanche nelle sue aspettative più ottimistiche, o per lo meno questo è ciò che ci dato da capire, si sarebbe mai aspettato di assistere a una scena simile: come un incontro di wrestling, o di arti marziali miste, lo spettacolo di una feroce lotta che contribuisce alla sopravvivenza, ma anche al prestigio ed all’onore di un piccolo, eppur non tanto piccolo guerriero. Contro il ladro motivato dalla cupidigia del drammatico momento: Ercole e Arnold, lui li chiama (il tema è chiaramente: persone forti della Storia) mentre già si trovano “per caso” ad incontrarsi, mentre il primo s’industriava nell’attività più rappresentativa della propria specie: il trasporto di quel cibo, che è anche nursery per le sue uova, fino alla buchetta dove la consorte attende con fiducia il suo ritorno. Ma non prima di sconfiggere, o almeno lo si spera, il suo terribile nemico tra gli artropodi, pari nella forza e determinazione. Ovvero in altri termini, la copia esatta di se stesso. Gli scarabei stercorari di Addo (Circellium bacchus) sono in effetti assai particolari, persino all’interno della loro variegata famiglia degli Scarabaeinae, per le dimensioni massicce e la totale incapacità di volare. Un tratto eliminato dall’evoluzione in cambio di una dote assai più importante, a queste latitudini e nel clima arido di cui sono impossessati: una riserva di diossido di carbonio sopra le elitre (parte esterna della corazza) utile a respirare senza il benché minimo spreco di preziosa umidità. Essi costituiscono, essenzialmente, la versione artropode di un cammello, se quest’ultimo fosse capace di spingere fino a 250 il proprio peso. Il che, nel caso di Ercole e di Arnold, sarebbe un’entità considerevole, considerata la lunghezza di circa 6 cm ciascuno…

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Le strane pulci incorporate dentro l’albero di quercia

In natura esiste quasi sempre una terza via. In aggiunta a quelle, proverbiali, della laboriosa formica e l’apatica cicala, ciascuna delle quali associata a un diverso comparto del consorzio umano, più o meno in linea col concetto di un adulto senso della serietà. Col che mi riferisco non tanto ad una via di mezzo, né all’applicazione maggiormente estrema dell’una o l’altra scala di valori, quanto a chi senza realmente faticare, possiede un segreto per beneficiare del lavoro altrui. Acquisendone un tesoro che sotto qualsiasi punto di vista, non apparteneva certamente a lui. È il sentiero del ladro o se vogliamo usare un’ottica moderna, quello dell’hacker senza limiti di coscienza, capace di alterare il corso del denaro, titoli o altri beni privi di tangibile immanenza. Il cui gesto fondamentale, ovvero ciò che usiamo per trovargli un nome, consiste nel “modificare” il funzionamento dei computer, instradandoli secondo la sua personale volontà. E se vi dicessi che nel mondo degli insetti, e per essere più specifici all’interno dell’ordine degli imenotteri, esiste un’ampio ventaglio di specie in grado di fare esattamente la stessa cosa? Con la singolare differenza che poiché l’informatica esula dalle loro competenze, essi praticano l’hacking ai danni della cosa più vicina che appartiene al loro mondo: la presenza immobile e silenziosa delle piante. Dovreste visitare, qualche volta, la California al culmine dell’estate, quando gli alberi fioriscono e in particolare le Quercus alba, presenza vegetale tipica di queste terre, di ricoprono di nuovi germogli, spostandosi ancora una volta in maniera lieve, ma determinata, verso l’obiettivo della crescita ad oltranza. E udireste allora, un suono certamente inaspettato: il battito privo di ritmo della pioggia, nonostante il cielo totalmente limpido si rifletta nella rinomata aridità della stagione. Già perché, ad uno sguardo maggiormente attento, scorgerete sul terreno attorno al tronco un vero e proprio tappeto di minuscole palline color legno, non più grandi della capocchia di uno spillo. Ciascuna delle quali, misteriosamente, intenta a sobbalzare alla maniera di un fagiolo messicano. Nient’altro che uno, dei molti estremi che tendono a verificarsi quando un’intera famiglia di vespe impara un nuovo metodo per riprodursi…
Cynipidae è l’appellativo collettivo, benché non trovi spazio all’interno della definizione scientifica del singolo caso, appartenente alla creatura nota in latino come Neuroterus saltatorius, altrimenti detta localmente Jumping Gall Wasp. Il che è interessante, perché il termine inglese gall si riferisce normalmente alla sostanza nota come bile o fiele, prodotta dal fegato tra un pasto e l’altro al fine di essere immagazzinata nella cistifellea, famosa per il gusto orrido che tende a caratterizzarla, ogni qualvolta si verifica un riflusso gastrico di qualche tipo. Questo perché gli antichi, per ragioni che oggi troveremmo assai poco condivisibili, avevano scoperto che questi piccoli animali avevano un sapore disgustoso come misura difensiva, particolarmente nella fase della loro vita in cui risultavano più facili da catturare, corrispondente grossomodo al bozzolo della farfalla. Benché l’origine dello stesso, come dicevamo, sia assai più subdola e perversa; poiché i lepidotteri nella maggior parte dei casi, una volta consumata la materia vegetale, impiegano l’energia risultante per secernere l’involucro in cui potranno svilupparsi successivamente, fino al realizzarsi dell’imago, ovvero la forma adulta adatta alla riproduzione. Mentre ogni appartenente al genus Neuroterus, possiede una speciale secrezione salivare in grado di alterare la genetica stessa delle piante sopra cui depongono le uova, costringendole a produrre un’escrescenza che avvantaggi in modo particolare l’insetto. In altri termini, per l’appunto, quella che noi italiani definiamo una galla. Potreste averne viste, qualche volta, se amate fare scampagnate, particolarmente nei dintorni di un boschetto di castagni. Questo perché il loro parente più prossima che vive nella nostra penisola, il cinipide galligeno (Dryocosmus kuriphilus) ama particolarmente tali piante, inducendole mediante la chimica a produrre quella che potremmo descrivere dal punto di vista vegetale come una sorta d’escrescenza tumorale. Generalmente, una sfera (benché ne esistano di più forme) che avrà il compito di contenere e proteggere le sue uova, finché la larva risultante non fuoriesca praticando un foro, dopo essersi nutrita per un’intero inverno della stessa materia che costituisce la sua gabbia dorata.
Ovviamente, come sopra menzionato, la vespa delle galle californiana compie un passo ulteriore, probabilmente frutto di un proficuo e meccanico ragionamento: poiché nello stato della Costa Occidentale più famoso c’era un alto numero di predatori, primariamente uccelli, che avevano imparato a tollerare il gusto pessimo di queste galle. Costringendole, per così dire, a cercare rifugio altrove.

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La spettacolare cresta dell’acchiappamosche incoronato

Sarebbe ragionevole pensare, osservando da vicino per la prima volta questo uccello di 15-17 cm durante un’escursione ai margini della foresta Amazzonica, di trovarsi di fronte a un comune passero boschivo, dal becco largo ideale per afferrare gli insetti in volo, come gli uccelli nostrani, ed un piumaggio marroncino al 100% indistinguibile dalla normalità. Di certo, questo è un piccolo volatile che, come il pappagallo cacatua, dimostra la sua qualità esteriore solamente se raggiunge uno stato di eccitazione. E poiché la cresta erettile, nei pennuti, non è soltanto uno strumento utile a corteggiare la femmina, così come l’abbaio dei cani non serve soltanto a farsi rispettare, potrà capitare, all’improvviso, che la simpatica creatura vada incontro ad un processo di trasformazione. Diventando all’improvviso un qualcosa di paragonabile a un vero e proprio pavone, per lo meno una volta applicate le opportune proporzioni del caso. Ecco, guardatelo: questo è un Onychorhynchus, ovvero il rappresentante di quel genus, secondo alcuni biologi composto di un’unica specie particolarmente eterogenea, ma che nell’opinione di altri ne contiene ben quattro, corrispondenti grossomodo a diversi territori del Sudamerica e almeno in un singolo caso (Acchiappamosche Settentrionale) la nazione messicana, fin quasi al confine con gli Stati Uniti.
Dal punto di vista della classificazione, sempre fondamentale quando ci si avvicina a una creatura tanto caratteristica e poco nota, stiamo ad ogni modo parlando di un Tyrannidae, ovvero quella vasta famiglia di uccelli passerini in grado di contarne ben 400, soprattutto in forza della straordinaria biodiversità di uno degli ultimi luoghi incontaminati della Terra: la foresta più ampia, ed importante del nostro pianeta, sempre più drammaticamente sovrappopolato dall’umanità. In un contesto naturale tanto ricco di risorse, da poter permettere l’evoluzione parallela di tratti diametralmente opposti in determinate nicchie ecologiche, fino alla creazione di tali piccoli, diversificati abitanti. Ma benché l’avvistamento risulti, come dicevamo, comprensibilmente sporadico (stiamo dopo tutto parlando di luoghi tutt’altro che accessibili) sarà possibile riconoscere il tipico Onychorhynchus dal alcuni tratti comuni e imprescindibili della sua genìa: in primo luogo la maniera in cui ama posizionarsi in agguato sui rami più bassi, pronto a balzare verticalmente per afferrare gli artropodi di passaggio, prima di ritornare brevemente sulla stessa rampa di lancio da cui era decollato. La tipica dieta di questi uccelli include: lepidotteri, omotteri, imenotteri, libellule (Odonata) e inutile dirlo, le grosse e succulente mosche (ditteri) da cui prende il nome. L’animale sembrerebbe tuttavia, almeno a giudicare dai numerosi video presenti su YouTube, anche piuttosto socievole e propenso a venire a consumare il becchime dalle mani protese dei turisti, esattamente come alcuni dei più amati/odiati volatili dei più vasti agglomerati urbani. Eventualità seguita, quasi senza esclusioni, dall’immediato agitarsi dell’uccello, facente da apripista, come da copione, all’apertura del fantastico ventaglio facente parte della sua criptica acconciatura. Il che risulta essere particolarmente emozionante, mentre il piccolino farà ruotare la testa prima da una parte e poi dall’altra, raggiungendo i 260 gradi abbondanti d’estensione, nella vana speranza che l’umano, spaventato, inizi ad attribuirgli il rispetto che viene da un senso generalizzato di terrore. Ma è scontato che per lui l’impresa, considerata la situazione, sarebbe come quella di spaventare Godzilla in persona…

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Scoperta zanzara grande come un passero di montagna

Essere il curatore, nonché principale responsabile del museo di entomologia di Chengdu, nel Sichuan cinese, è un mestiere che può regalare grandi soddisfazioni. Trovare gli esemplari, esporli nella teca, guidare i visitatori nel fantastico mondo delle creature più numerose, e talvolta insolite, di questo azzurro pianeta. Eppure nessuno si aspetterebbe, assolvendo a una simile mansione, di accedere agli onori delle cronache internazionali, in funzione di un singolo insetto raccolto durante un’escursione sul monte Qingcheng. Non che una simile esperienza, per il Dr. Zhao Li, possa definirsi del tutto nuova, considerata la sua scoperta nel 2016 del più lungo Phryganistria chinensis (insetto stecco cinese) mai scrutato da occhi umani: 64 cm di creatura aliena in grado di arrampicarsi e mimetizzarsi (più o meno) sulle piante della sua regione di appartenenza. Ma non c’è forse nessun altro ordine d’insetti, tra il vasto catalogo a nostra disposizione, ad essere in grado di suscitare una reazione d’interesse ansioso come quello dei ditteri, diretti responsabili di una maggior quantità di decessi umani rispetto a qualsiasi altro animale vivente. Per via delle zanzare, soprattutto, in pratica degli aghi ipodermici volanti, capaci di diffondere le più temibili e mortifere malattie. Ragione per cui sarebbe difficile rimanere indifferenti, di fronte all’immagine abbinata alla notizia: la riconoscibile sagoma di questa minaccia, tenuta a vantaggio della telecamera nel palmo aperto. Con l’appendice boccale in corrispondenza dell’indice, e la parte posteriore dell’addome che raggiunge agevolmente il centro del palmo. Per essere chiari, stiamo parlando di un’apertura alare di 11,15 cm, più di 10 volte superiore a quella delle zanzare che ci stiamo preparando ad accogliere con l’avanzare della primavera. Un vero e proprio mostro, degno di epoca preistoriche dimenticate, in grado di gettare nello sconforto il cuore degli adulti ed almeno in teoria, succhiare via una parte considerevole del sangue di uno sfortunato bambino. Se non che, sarà meglio specificarlo subito: la Holorusia Mikado in questione è assolutamente vegetariana, nutrendosi, molto saltuariamente una volta acquisita la capacità di volare, soltanto di pollini e il nettare dei fiori. Il che non ha impedito alla stampa generalista, come avviene ogni volta, di approcciarsi alla questione coi consueti titoli allarmanti e tutti i superlativi del caso. Vediamo, dunque, di fare un po’ di chiarezza e rassicurare chiunque abbia in programma un viaggio in Oriente.
L’eccezionale insetto in questione, appartenente a una specie scoperta in Giappone dal naturalista-entomologo John O. Westwood nel 1876, è un’esponente da libro di testo delle cosiddette tipule o zanzaroni (fam. Tipulidae) creature piuttosto comuni in tutti e cinque i continenti e quindi inevitabilmente, presenti anche da noi in Italia. Incapaci di arrecare un danno diretto alle persone, benché le loro voraci e coriacee larve, note negli Stati Uniti come leatherjacket (giacca-di-cuoio) possano fare scempio di determinate coltivazioni agricole, attaccando di preferenza le radici e i più teneri tra i virgulti, prima di mutare nell’ultima, breve fase della loro vita, dove dovranno rischiare tutto nel tentativo di riprodursi, ben sapendo che nel giro di pochissimi giorni sopraggiungerà la senescenza e in seguito, la morte. Suscitando, nel corso della loro occasionale visita nell’impreparato contesto urbano, un tale senso di terrore diffuso da dare i natali all’insensata leggenda americana, secondo cui proprio questi sarebbero gli insetti potenzialmente più velenosi e quindi pericolosi del mondo, se non fosse per la loro assoluta incapacità anatomica d’inoculare sostanze alle creature tanto più grande di loro. Un’associazione d’idee da cui deriva assai probabilmente il soprannome di origini letterarie Daddy Longlegs (Papà Gambelunga) condiviso col ragno dei solai (Pholcus phalangioides) altra creatura il cui grado di rischio in caso di incontri accidentali, dal punto di vista popolare, viene grandemente sopravvalutato. È tuttavia importante applicare i distinguo del caso: una qualsiasi tipula italiana come la T. Paludosa misura, generalmente, tra 1,3 e 2,3 cm. Niente a che vedere con gli esemplari di 7-8 nordamericani, o addirittura il mostro svolazzante sulle cime nebbiose della montagna cinese…

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