Il problema del fuoco, come agente naturale, è che non ha una forma definita. Il suo comportamento presunto ed automatico è quello di replicarsi senza fine, consumando e distruggendo tutto ciò che incontra lungo il suo cammino. L’unico modo per contenerlo, allo stato attuale dei fatti, è tramite una chiara dimostrazione di forza e di efficienza operativa, generalmente messa in atto da una squadra di individui appositamente addestrati, non a caso detti in lingua inglese: fireFighters. Le cui doti tatticamente necessarie aumentano, nell’entità richiesta per uscire dalla situazione, sulla base della scala a cui si è giunti nell’agire del disastro. Se l’estensione delle fiamme è ancora contenuta e si sviluppa in un punto privo di beni eccessivamente combustibili, non sarà così difficile fornirsi di una pompa oppure due, triangolando il punto in cui direzionare la risorsa liquida a disposizione. Mentre quando ci si trova all’interno di un ambiente architettonico precisamente definito, come un complesso di appartamenti o uno stabilimento, si è limitati nello spazio per i propri macchinari, come del resto il fuoco nell’ossigeno a disposizione. Ciò contribuisce a mantenere bassi i termini del duro confronto. Ma c’è una particolare situazione, purtroppo tutt’altro che infrequente, in cui l’accrescimento di quel processo distruttivo viene portato alle sue ultime e finali conseguenze: l’incendio boschivo. Quando resina, legno, fronde e corteccia diventano il perfetto carburante, generando l’equivalente carbonifero di un pericoloso forno atomico, l’apocalisse vegetale. In tali condizioni, per quanto bene attrezzata, la cooperazione degli umani appiedati può giungere soltanto fino a un certo punto. E per di più, tanto maggiormente si avvicina a un tale limite, più corre il rischio di ustioni, problemi respiratori o conseguenze ancor più gravi. Per questo, attraverso il trascorso dell’ormai concluso il primo secolo dell’aviazione (ormai siamo nel secondo secolo della reazione) si è tentato in tutti i modi una maniera per contrastare la propagazione del grande distruttore rosso ed arancione senza mai trovarsi innanzi al suo cammino. Ovvero volando, bombardandolo dal cielo. Tipica è l’immagine dell’elicottero, con secchio annesso sotto alla cabina che si reca a cucchiaiare da un vicino lago, per poi scaricare il proprio carico nell’oculum del rogo inviperito. Come altrettanto diffuso, e valido, è l’impiego dell’equivalente velivolo ed idrovolante, il mai abbastanza celebrato Canadair (Bombardier 415 Superscooper) tipicamente colorato di un bel giallo canarino. Esistono tuttavia dei casi, sopratutto in certi Stati nordamericani grandi e aridi del Sud-Ovest, in cui il semplice raggiungimento della zona ad opera di truppe di terra richiederà inerentemente qualche ora, e il lancio di qualche manciata di limpida acqua fresca, senza nessun tipo di supporto, si dimostrerà efficace quanto il rilascio di un bicchiere nella canna di un camino. Finendo letteralmente vaporizzata, prima ancora di toccare il suolo. Ed è infatti proprio qui, che entrano in gioco i VLATs (Very Large Air Tankers) ovvero quella classe di macchine volanti, fra tutte, che sono le più potenti armi a disposizione dell’uomo contro il pericoloso incedere del quarto elemento.
Si tratta di un ragionamento piuttosto semplice, in fin dei conti: nel momento in cui si presenti questa necessità di scaricare, al posto della comune H2O, sostanze chimiche ritardanti, concepite in laboratorio per massimizzare le potenzialità ignifughe dell’area di terreno in cui vengono cosparse, la variabile fondamentale è diventata la capienza dei tuoi serbatoi. Naturalmente non potrai rifornirti in prossimità del fuoco come nel caso di elicotteri & così via, ma soltanto presso l’aeroporto appositamente attrezzato, per quanto questo sia lontano dal punto dell’intervento necessario. Come è altrettanto vero che una linea di quello speciale fango rosso, generalmente fosfato d’ammoniaca LC-95A, sia tanto più efficace, quanto maggiormente è lunga e in grado di fare barriera all’incendio. Così, ecco palesarsi la visione: un possente trimotore Douglas DC-10, normalmente in grado di trasportare fino a 380 persone, dal peso a vuoto di oltre 120 tonnellate, che si lancia in picchiata lungo l’irta parete del canyon Silverado nella parte settentrionale della California, durante i gravi ed estesi incendi che colpirono la zona nel 2013. Come un falco che ghermisca la sua preda, quindi poi risale in uno spazio di 2 Km appena, prima d’impattare contro l’altro lato della depressione, nonché il coraggioso proprietario della telecamera, tale Jesse Peterson. Come nasce un tale fulmine di guerra, da dove proviene?