Di spiriti maligni e droni spiritosi

Tom Mabe

Il problema non è mai la morte in quanto semplice concetto, che come dicevano gli epicurei: “[…] non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è lei, e quando c’è lei non ci siamo più noi”. Per chi di astrazione sa come sopravvivere, prosperando, la paura di simili questioni è condizione del tutto superabile, superficiale. Ben più amletico, piuttosto, sarebbe liberarsi della Morte. Quella sinistra figura in bianco e nero, proprio lei/lui/esso, candido teschio, mantello cupo e rovinato, magrezza da top-model con sfoggio d’occasionale falce acuminata, ricurva spargisangue dal sicuro effetto spaventoso. Soggetto classico di leggende medievali, vetrate funebri e solenni miniature, la sua figura ci perseguita da lungo tempo, turpe mietitrice, a tratti spietata, altre misericordiosa, sempre catartica e liberatoria. Di questi tempi ci pensiamo raramente, ma lei si annida nei tombini di strade trafficate, a disposizione degli attraversatori disattenti; nelle foreste di parchi battuti da un forte temporale, sotto l’albero più alto, bersaglio di fulmini funesti; sorvola la città, invisibile per tutti, tranne quei pochi “fortunati”. E qualcun’altro. Come le vittime di questo scherzo di Halloween, messo a punto dal comico americano Tom Mabe, famoso per molte candid camera e burle telefoniche di vario tipo.
L’atmosfera, in questo caso, colpisce subito per l’originalità: non c’è una situazione strana, il solito buffio doppio senso, oppure una delle mille altre scuse usate dai goliardi più iconici del web. Soltanto un personaggio, IL personaggio, che… Si aggira, con musica inquietante, volando. Perché naturalmente la Morte non cammina, fluttua. Colei che all’epoca di Abramo era stato un angelo, tra i guerrieri celti un corvo e per gli aztechi vagabondava nel cielo notturno, mangiandosi le stelle, non ha mai perso le sue ali. Al massimo, gli ha affiancato delle pale d’elicottero (telecomandato) usate per aggirarsi, con più disinvoltura, tra macchine e palazzi. Vuoi mettere giungere da dietro, sopra un paio di malcapitati joggers, alitandogli metaforicamente sulla nuca? L’effetto è assicurato. Sia glorificato il drone, strumento di un simile sollazzo. Peccato solo che quel grido ricorrente, ciliegina terribile di questo allegro video, sembra sia stato aggiunto in post-produzione. O forse meno male: non si sa mai, cardio-permettendo, ci serviva pure quella vera…

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Saw: l’enigma residenziale del fantoccio

Billie

Basta un solo coinquilino per renderti la vita impossibile. Specie qualora sadico, biancastro e vagamente sovrannaturale. Negli Stati Uniti è d’uso lasciare quanto prima la casa in cui si è nati, onde realizzarsi come individui indipendenti, in egual misura, dalla crisi e dalle aspettative dei propri genitori. Non lo si fa per convivere col proprio amore, né per l’inoppugnabile necessità di spazi: è così, e basta. Incartate poche cose, fatto il pieno all’automobile scassona (vero fondamento, questo, del paese con più strade al mondo) si parte dalla spaziosa villetta dell’idealizzata generazione sul finir del ‘900. Oltre i confini dello spazio conosciuto, seguendo un mistico richiamo. Bruciato quell’ingombrante ponte, si percorre quindi un’interstatale a caso, verso la svettante skyline di qualche grigio agglomerato, tipo New York, Chicago, Seattle o San Francisco. E non è certo facile, questo passaggio dalla verdeggiante suburbia generatrice ai micro-appartamenti da decimo piano, soprattutto se si considera cosa voglia dire trasferirsi fuori sede, così, subito dopo il completamento degli studi. Percorrere l’ardua via del ragazzino squattrinato, senza bistecche sulla tavola o particolari prospettive, richiede una certa misura di coraggio. Flipping burgers, eating [mostly] ramen, i modi per vivacchiar si trovano, d’accordo, però resta l’ingombrante problema dell’affitto. E a quel punto, secondo quanto previsto da copione, si cerca l’anima gemella[ta] un qualcuno, o qualcuna, con cui condividere gli aspri ostacoli verso il raggiungimento dell’autosufficienza. Un qualcosa? Su tale ricerca dell’ideale convivente, la cultura statunitense ha speso migliaia di parole, centinaia di chilometri in pellicola e rotoli di carta (igienica) fra sit-com, cinema e fumetti. Storie tragiche, drammi balzani, tragicommedie del quotidiano dal retrogusto sempre un po’ amaro, perché, purtroppo, anche troppo vere. Però a nessuno, di tutti questi avventurieri della prematura emancipazione, è mai andata male come a Gary (Chris Capel, comedian di YouTube); perché lui, dannato il fato, ha finito per trovarsi in casa l’arcinoto Billy, professione: bambolotto del brivido, attore rinomato. Con tanta voglia di “giocare”.

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L’ufficio con impianto di raffreddamento siberiano

Bovanenkovo

La mia casa via da casa, luogo d’impegno, dedizione e qualche volta svago. Dentro l’azienda c’è un luogo solo, che ognuno possa fortemente definire “suo” fin dalle ore mattutine, in pausa pranzo ed oltre, verso gli oscuri vespri dell’irrinunciabile straordinario. Il santuario dell’impiegato. L’edificio della computazione: questa grande, solenne Scrivania. Subissati dagli impegni, con documenti, grafici, progetti e studi commerciali da redigere in Excel, può capitare di erigersi attorno metaforiche pareti, strumenti per l’isolamento da tutto ciò che possa causare distrazione. Sparisce il collega rompiscatole; diventa inaudibile lo squillo del telefonino; il chiasso del traffico, l’insistente canto del passero solitario, l’accanirsi delle precipitazioni atmosferiche…Resta solo Lei. Su quelle quattro zampe, che sorreggono l’abbagliante monitor, si costruisce una fortezza inespugnabile, ridimensionata con qualche tocco personale: la piantina grassa, oppure il pupazzetto, la foto di famiglia e il calendario coi personaggi dei fumetti preferiti. Finché un giorno! Niente dura per sempre, nell’epoca del contratto flessibile moderno. Tutti siamo sacrificabili, non essenziali. Soffia ruggente, inesplicabile, un vento terribile di cambiamento. E soffia pure in Siberia, però letteralmente.
Questo luogo ameno, non tanto dissimile (nell’apparenza) dai nostri stabili amministrativi, si trova in realtà nella freddissima penisola di Yamal, in Russia settentrionale. Fa parte del complesso minerario della Gazprom di Bovanenkovo, costruito sopra un tesoro di gas naturale da 4,9 trilioni di metri cubici, responsabile, da solo, di circa un sesto della produzione del paese. In linea di principio, si tratterebbe di un ambiente tanto remoto, difficile e inclemente, che susciterebbe nell’immaginario l’immagine d’uomini d’acciaio, vichinghi del posto di lavoro, tanto diversi da noi quanto lontani dalla generica società del mondo urbano. Induriti dalla vita. Ed eccoli per l’appunto lì, uno accanto all’altro, con golf a quadretti, impermeabile e giacca del completo, intenti a ridere a crepapelle, godendosi la più imprevista pausa della giornata. Di fronte a loro, il disastro più totale.

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Beato il cane al sushi bar

SushiDog

Coco è una labrador davvero fortunata. Ad ogni compleanno, come da tradizione familiare, riceve l’onore di un grande pranzo preparato dal suo padrone, Gajyumaru. Giorno dopo giorno, vivendo insieme a un animale, si stabilisce con lui un lessico fatto di gesti, simboli e parole. E se pure Coco non saprà mai, davvero, cosa siano cookies, sasami e splendidi nigiri, già ne assapora il gusto mentre, rispettosamente seduta, attende il suo momento. L’apoteosi del gourmet. Questa scena, tanto gradevole e compunta, è simpatica, ma pure affascinante. La festeggiata prende posto di fronte a un piattino piuttosto originale, oblungo e frastagliato. Tutto intorno, gli strumenti del mestiere. Pare un tipico scenario da ristorante giapponese: da una parte il cuoco, esperto affettatore di pesci e materia vegetale, che produce con la sua sapienza quel momento irripetibile, non soltanto fatto di sapori, ma anche di spettacolo e atmosfera. Dall’altra…Noi. Perché non c’è figura più autorevole con cui identificarsi, come neofiti di quel mondo culinario, rispetto a quella dell’amico cane. Coco sono io, siamo tutti noi. E non importa quante volte siete stati a Tokyo…Le portate di quel particolare evento, vi assicuro, saranno nuove anche per voi.
Lo chef presenta il suo menù, tracciato a penna sopra un semplice foglio di carta (tutto è semplicità, modestia) con ottima calligrafia, va detto. “È un po’ che non ci vediamo, signora, davvero vuole dirmi che oggi è il suo compleanno?” Già dagli ingredienti si capisce la particolare attenzione utilizzata, nel proporre un pasto su misura: ci sono carne e pesce naturalmente, e molte altre delizie, ma soltanto cose adatte a un cane. Con lungo coltello alla mano, si comincia. Apre il pasto un biscottino per cani avvolto nell’alga nori, servito insieme al riso bianco (sumeshi). *GULP* Sparito! Quindi arriva il primo piatto, un rotolo (maki) di cavolo, ripieno di riso, carote e verdurine. La pietanza è costruita con l’aiuto del tradizionale tappeto di bambù, poi tagliata a fette, come la versione per bipedi parlanti. Coco apprezza, talmente tanto che manda giù tutto, senza nemmeno masticare. Al momento di bere, riceve con gioia la sua ciotolina da saké, riempita, per l’occasione, con del più consono latte di mucca (gyuunyuu). Un colpo di lingua sfortunato, ondata tellurica imprevista, ne rovescia parte del contenuto, fra le risate dei presenti. Ma niente paura. Gajyumaru, giocosamente, di nuovo tratta il cane come se fosse una persona: “Signora, che succede, si è già ubriacata?” Poi, rapido, pulisce. Lo spettacolo deve continuare.

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