La svelta mano che sa scrivere “Bus Stop”

Bus Stop

Siamo circondati dalle cose minuziose, ma neanche le notiamo. Bestie metalliche percorrono le nostre grandi città! E non mi riferisco affatto ai lunghi e larghi autobus, giganti dell’asfalto, con passaruota tanto alti che diventano sedili. Bensì a tutte quelle automobili fuorviate, gialle, rosse oppure del colore dell’azzurro cielo, che sostano dovunque possa fargli comodo, senza un minimo di  umana empatia. È del resto tristemente naturale, l’istinto superbo di chi ha una fretta percepita, in grado di portarlo ad individuare linee bianche di parcheggio dove non ce n’era, in verità, nessuna. L’unica soluzione è la chiarezza, possibilmente gialla e cubitale, della segnaletica su strada: una scritta fatta direttamente sull’asfalto, normalmente, è ardua da ignorare. Gli alberi non possono coprirla, gli occhi non riescono a evitarla e neanche i cani, all’alzarsi della zampa posteriore, potranno mai graziarla della loro bagnaticcia ispirazione: QUI, MI FERMO SOLO IO. Chi dovesse trasgredire, affari suoi. Sarebbe questa, l’esegesi del vivere civile, trasformata in alta e imprescindibile tipografia.
Quando la realtà del quotidiano ci insegna che in effetti niente è più difficile, o meccanicamente impervio, che tracciare un qualche cosa d’indelebile nel tempo. Da principio erano gli stencil: una semplice barriera per vernici, già preparata con la forma dell’intera scritta. Facile come un gioco, persino divertente. Tale approccio viene ancora utilizzato, strano a dirsi, in tutti quei casi in cui lo spazio da contraddistinguere sia graziato da una bassa pedonabilità. Per zone periferiche prive del tramtram dei diligenti di (troppo) buona volontà, basta un soffio di colore, per trasmettere il messaggio alle future moltitudini distratte. Mentre in centro, nossignore. Occorre far le cose bene e dunque, molto chiaramente, lo strumento è un altro: si chiama termoplastica. Scrivetevi quel nome, pneumatici selvaggi.
In questo video rubato da quella che potrebbe essere la finestra del secondo piano, Tom Williams, designer grafico di Londra, cattura l’esperienza di due lavoranti del servizio pubblico, in sgargiante tuta catarifrangente, che sfruttano la tranquillità portata dalla notte per cambiare, di nascosto, la funzione di uno spazio urbano. Costoro creano, con rapido colpo di mano, senza un attimo di esitazione, una scritta che potrà raggiungere il futuro. Ciò che riesce a spalancare i nostri occhi non è solo il metodo. Ma anche, e invero soprattutto, la fermezza d’intenzioni.

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Gli stregoni del projection mapping giapponese

PICS Onna Nobunaga

Nel 58° anno di regno dell’Imperatore Suinin, tradizionalmente corrispondente al 29 d.C, un cane sbranò uno dei tassi della specie detta muinin, presso il villaggio di Kuwada, nell’ancestrale Tamba. Siamo, qualora dovesse interessarvi, pressapoco nell’odierna prefettura di Hyōgo, presso la sezione sud-occidentale del Kansai. Tale bestia selvatica, ovviamente, era una creatura magica in grado di mutare forma a piacimento – non che questo artificio sia servito a qualche cosa, in un tale caso dell’improvvido destino. Né ci è nota, del resto, la razza del carnefice canino: sarà stato forse un kaitoraken, cacciatore indipendente dalle strisce simili a una tigre. O magari il fido akita, difensore antico delle case contadine. Piuttosto che il minuto ma agguerrito shiba, dal rossiccio ghigno, carico di sottintesi… Poco importa. Trascorso un pomeriggio di angoscioso senso del rimpianto, il proprietario dell’animale, un tale di nome Mikaso, si decise infine a macellare la pelosa vittima delle pesanti circostanze. Ritrovando, con sua estrema sorpresa, un corposo calcolo di giada nello stomaco della creatura. Tale oggetto era grande all’incirca, per usare un anacronistico termine di paragone (benché assai diffuso, vista l’estrema adeguatezza) quanto… Una palla da baseball. E aveva la forma esatta di una virgola, con un foro nella parte larga del suo ghirigoro. Tale miracolo della natura, parimenti a un frutto generato dalla sommità di un albero divino, venne presto dato in dono al saggio governante Suinin, discendente della relativa Dea. Che portatolo su un monte, vi eresse attorno un santuario, il tempio shinto di Isonokami. Dove si dice che sia ancora custodita tale sacro tesoro, il venerando magatama.
Tra i tre emblemi della nazione giapponese, che includono la spada biforcuta della forza e lo specchio bronzeo della saggezza, nessuno è misterioso quanto quello strano manufatto, continuamente riprodotto, in mille forme e dimensioni, nei tumuli preistorici Kofun. Tombe di nobili, guerrieri e generali, la cui storia è andata persa tra le sabbie di un’arena troppo antica, priva di testimonianze scritte o durature. A parte le leggende come questa… Ma presente, in recondita potenza, tra le regioni occulte dell’immaginifica realtà. Ricostruite, ai nostri giorni, grazie all’uso del moderno proiettore?  Basti soppesare questo fatto: nella gemma c’era un buco. Dietro ad essa, fin dalle origini del mondo, la figura della suprema signora del Sole, Amaterasu, fonte di ogni lucido barlume di sapienza. A metterci davanti un libro, lei sarebbe presto diventata una candela, utile ad espandere la mente anche di notte. Ma collegaci un computer, per vedere cose che…
P.I.C.S.Co è l’azienda mediatica di Tokyo, qui egregiamente rappresentata dal creativo e direttore tecnico Nobumichi Asai, che si specializza in una recente e straordinaria forma d’arte, molto usata in campo pubblicitario: il projection mapping, che consiste nella mappatura di una superficie tridimensionale, sia questa un palcoscenico, un palazzo, un antico monumento (persino il volto umano) e proiettarvi sopra delle immagini create grazie agli strumenti digitali. Qualcuno ricorderà l’impiego che ne aveva fatto l’onnipresente multinazionale Sony in quel di Roma, appena l’anno scorso, per lanciare la PS4 usando le utilissime mura di Castel Sant’Angelo. Le alternative sono innumerevoli: persino un paravento, così facendo, può trasformarsi anch’esso in un castello. Un kimono nella veste fiammeggiante di un signore degli Inferi, finalmente rivelati al mondo della superficie. O persino di una signora, perché no, avvolta da un turbine di petali e di sangue rosa-fuchsia. Vedi la risoluta protagonista di questo memorabile segmento, realizzato per la promozione del recente serial televisivo Onna Nobunaga, in cui il massimo conquistatore giapponese, che aveva nome Oda e visse nel XVI secolo, veniva trasformato nella sua ipotetica sorella, qui l’unica figlia dell’anziano patriarca Nobuhide. Un interessante gioco sulle implicazioni della storia pre-moderna, questo, che trovava modo di concretizzarsi nell’onnipresente “regola 63” del web: “Per ogni personaggio di sesso maschile, qualcuno avrà probabilmente ipotizzato una versione al femminile.” A meno che costei non fosse, in realtà, solamente un tasso mutaforma della specie muinin. Chi lo sa.

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La prima semi-automatica della storia

Lorenzoni Pistol

Dannate chu-ko-nu! Da quando un ingegnoso cinese aveva preso un piccolo arco d’acciaio, l’aveva posto in orizzontale e montato sopra un affusto con leva, bastava l’intenzione e un po’ di mira… Per bucare dieci fieri condottieri, tutti assieme. Appena iniziata una guerra dei vessili, questa già finiva in una salva di quadrelli. Ma una balestra a ripetizione era pur sempre complicata. Caricarla richiedeva addestramento, quanto meno. Non soltanto un corno pieno di polvere, la bisaccia di sferette di metallo; che chiunque poteva proiettare, dopo un attimo, contro la carica dei cavalieri. Con l’immediata pressione di un grilletto ed un singolo, sonoro BAM?! A dire il vero, molti. Almeno nel caso di chi avesse a disposizione il revolver di Lorenzoni, la pistola a polvere nera qui messa in mostra, non senza cospicuo orgoglio, dal rappresentante dell’ottimo canale di YouTube Forgotten Weapons. Che rappresenta l’apice massimo di questa categoria di armi a lunga gittata, realizzatasi, dopo molti falsi tentativi, solamente nel XVII secolo. Benché, come spesso avviene, osservare un tale manufatto ci riporti molto indietro.
La forza di sette uomini, ovvero la tecnologia. Così era stato l’alto Medioevo: quando chi aveva un maggior numero di generali, capitani e validi sergenti, spesso prevaleva presso i campi di battaglia insanguinati. Non soltanto per la strategia. Guardate tanti splendidi cavalieri, con armatura variopinta e insegne trascinate al vento! Un lampo di luce sulla punta della lancia, il rombo del tuono sotto gli zoccoli dell’animale. Uno splendido apparire, indubbiamente. Di una guerra nella quale un solo capitano, dinnanzi ai fanti di un manipolo, valeva quanto multipli avversari: il primo per il rigido cimiero, impervio alle percosse dei giganti armati di bastone. Uno per la maglia di metallo, resistente al taglio degli stocchi o delle sciabole da lato. Due, per lo scudo impenetrabile alle punte dei forconi o di altre lunghe aste acuminate. E altrettanti, soprattutto per l’addestramento, frutto di una vita intera spesa sopra i campi di battaglia, invece che a zappare, seminare e raccogliere i fondamentali frutti della terra. Essere nobili, a quell’epoca, voleva dire mettersi al servizio delle proprie stesse mire combattive, con la dura lama, con la mazza e per la forza delle proprie convinzioni. Una, due, quattro volte. Il popolo seguiva, suo malgrado.  La prima e la seconda volta? E dopo…Giunse anche in Europa, trascinata dalla forza stessa dei conquistatori, una diabolica invenzione. La usavano i seguaci del temuto Genghis Khan, in feroci soluzioni belliche provenienti dal remoto Oriente e per il tramite di una tortuosa Via. Era polvere nera, quella! Mica Seta, colorata. Bombe a mano, esplosivi. E piccoli cannoni primitivi, tra cui alcuni, appoggiati su di un caratteristico sostegno ad Y, venivano puntati e detonati da una singola persona.

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Due antennisti sopra il cielo di Chicago

Hancock Center Antenna

Ciò che si staglia, svettando come sagoma riconoscibile dallo sguardo, resta impresso tra sinapsi e intramontabili neuroni. E in ciascuna città  fondata sopra un pregno meridiano, c’è sempre un qualcosa di speciale nello skyline. Un lineamento incantevole, che caratterizzi il volto messo sulle cartoline. Sarà, questo, molto spesso un monumento. Un palazzo molto bello, oppure rilevante, eletto a simbolo di quelli che si giovano della sua ombra. Sia essa antica e misteriosa, tra volute ed archi gotici misticheggianti. Oppure tecnologica e brutale: Chicago, fin dal 1969, ha la suprema torre nera del futuro, con le corna che perforano le nubi e i limiti del mondo. Sarebbe questo il John Hancock Center, dall’altezza architettonica di 344 metri. Ma che ne guadagna facilmente un altro centinaio, se soltanto si considera la cima delle antenne. Facciamolo, per un minuto.
Il video qui presente, che si svolge tutto in prima persona, grazie all’impiego di una telecamera da casco, è stato girato dai tecnici addetti a una demolizione assai particolare: costoro stavano facendo a pezzi, molto evidentemente, il ricevitore arrugginito sulla cima dell’antenna ovest, sulla cima del palazzo, sulla cima di Chicago. L1irnwrkr, l’uploader e co-protagonista del video, racconta di come questa avesse smesso completamente di funzionare, benché l’altra, assolutamente operativa, li avesse costretti ad indossare delle tute specifiche di protezione.  Forse non saranno stati gli uomini più in alto di quel giorno (vedi l’Himalaya); né quelli ospitati sulla cima della struttura più elevata (c’è sempre il Burj Khalifa, la “Torre alta un miglio”) ma certamente erano tra i tecnici maggiormente esposti agli elementi. Un scena memorabile! Il coinvolgimento resta assoluto. Una fortunata unione tra la stabilizzazione digitale, l’alta risoluzione della telecamera, la durata della sequenza e lo splendore della vista metropolitana, genera l’effetto del trovarsi davvero lì, in prima persona. Dopo qualche minuto, quasi sudano le mani sopra la tastiera.
L’occhio umano vede qualche cosa è dice: lascio tutto, questo sarà mio! Lo fa il bambino coi balocchi dell’asilo, come l’esploratore coi recessi del possibile, da lui visti sulle carte nautiche o nell’orizzonte. E sarebbe un gran peccato, recandosi sulle sponde dell’immenso lago Michigan, non inclinare indietro il collo, per provare, con la fantasia rivolta all’edificio, il senso di vertigine assoluto. Ma è troppo facile, progettare l’esperienza in questo modo. Ci vorrebbe invero una valida testimonianza, per capire a pieno l’avventura e ciò implica sperimentarla; quella di chi, per l’appunto, là sopra ci è già stato molte volte. Per lavoro, senso del dovere e…

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