Divertimento del sabato sera grazie all’uso dell’elettromagnetismo: come mai non ci avevamo mai pensato? Cinque gru di carta dorata giapponese, sviluppate altrettante paia di gambe umane grazie al corso dell’evoluzione, giacciono immote sopra un piano lucido e specchiato. Uno stato naturale ma soltanto temporaneo. La vibrazione della musica percorre l’aria: uno, due, tre colpi di basso e poi la batteria, con l’accompagnamento stridulo del sintetizzatore digitale. Difficile non battere un po’ il tempo nella mente oppure con la mano, se davvero necessario. Con il corpo e con le gambe, con le ali, il becco e quella coda striminzita. Perché esistono due tipi di uccelli di cellulosa a questo mondo: decorativi ed action-mode. Il secondo àmbito, come dimostrato negli astrusi manuali del settore, è concepito per trovare il suo significato nella manipolazione. Lo tiri da dietro, allunga il collo. Ne ruoti il segmento intermedio, agita le piume per spiccare un volo immaginario. E così via, nei limiti della possibile ragionevolezza. Finché non aggiungi, follemente per le telecamere, il fluido mistico della ferrite.
Mettiamoci il camice, il cappello, le cuffie e i guanti a mezze-dita: è giunta l’ora dell’esperimento. Un momento riservato, per la convenzione, alle scolaresche di fisica o di chimica, indotte dall’insegnante a visionare qualche strana conseguenza dell’incontro tra le cose o le sostanze. C’era questa credenza largamente immotivata, secondo cui l’osservazione di uno strano fenomeno, indotto da un demiurgo appassionato al suo mestiere, potesse fornire comprensione e poi memoria di una qualche legge di natura. Poi tale intendimento, col procedere del tempo, è andato a perdersi nella foresta. Siamo ormai amanti dell’assoluta spettacolarizzazione. Quando ogni cosa, persino le più astruse, possono trovare un senso per farti passare due minuti a filosofeggiare, temporaneamente scollegato dalle problematiche del mondo delle cose, ci occupiamo veramente della causa di funzionamento? È come una danza con la scienza, questo modo di passare il tempo, eternamente trasformata grazie alla genialità dell’ultimo arrivato. O degli ultimi creativi: vedi i giovani tecnici del canale di Ugoita T, che hanno trovato il modo per far muovere le loro candide creazioni non-pennute. Il segreto viene generosamente svelato, in un paio di fotogrammi sull’inizio della splendida sequenza. Sotto il vetro del cassone costruito persiste un complesso array di piccoli elettro-magneti, sostanzialmente cilindretti in ferro con un filo di rame avvolto tutto attorno. Che una volta “illuminati” grazie all’energia, sviluppano quel campo che ha la strana capacità d’attrarre ciò che gli assomiglia. E di respingere quello che è uguale. Ciò che restava da fare, a questo punto, era soltanto collegare il tutto attraverso una serie di cavi ad una di quelle schede informatiche a basso costo, come l’italianissima Arduino, usate in tutto il mondo per la costruzione di prototipi o invenzioni tecnologiche. Si: persino fin laggiù, in Giappone. Persino per far muovere le gru, sulla base di un’accuratissima programmazione.
Secondo la tradizione stregonesca giapponese il tipico onmyōji, l’esorcista cacciatore di mostri e di yokai (fantasmi, apparizioni) aveva la capacità di farsi assistere da un tipo assai particolare di famiglio, lo shikigami – 式神. Simili spiriti incorporei, in grado di svolgere ogni tipo di mansione, dal mantenere in ordine la casa ad affrontare gli orchi oscuri della notte, potevano essere controllati attraverso l’impiego di piccoli manichini di carta, all’interno dei quali venivano confinati durante l’utilizzo. Cosa facesse muovere quei pupazzetti, resta largamente ignoto.