Ventisei studenti silenziosamente riuniti dentro a un’aula, mentre l’insegnante legge un brano dei Promessi Sposi, poi commenta. Sarebbe assai opportuno, no, persino necessario, annotare sul quaderno il nesso e il succo del discorso, che sicuramente si presenterà di nuovo, in forma di domanda, all’ora di verifica verso la fine del semestre. Ed è quindi certamente vero, che scrivendo e riassumendo il vasto eloquio, trasformandolo in un minerale nato dall’inchiostro e dalla cellulosa, costoro stiano facendo soprattutto un gran favore a loro stessi. Ma è altrettanto giusto, se vogliamo, ribaltare la questione in senso longitudinale. Per vederla soprattutto in questo modo: c’è qui un colui/colei che dall’intero scambio partecipativo, riesce a trarre un ben più significativo beneficio. Eccolo lì, che parla dalla cattedra, compunto. Perché parole pronunciate per premura, per preambolo o primaria premeditazione, è loro massima prerogativa, spariscono immediatamente come il fumo. Mentre scriverle, vuol dire conservarle. Quale onore, vostro… E non si tratta di una cosa cui si possa rinunciare, in determinati tipi di contesti ancor più delicati. Tra cui quello, antico e imprescindibile, in cui l’aula deputata è di un tutt’altro tipo. Dove c’è un giudice, chiamato per decidere del fato della gente. Dando un peso a ciò che viene detto, veramente, estremamente significativo.
È un meccanismo complesso che ormai conosciamo molto bene, soprattutto ad una ricca selezione di opere d’ingegno, quali film, romanzi, serie a medio budget per la Tv. La cui provenienza prevalentemente americana, persino qui da noi nella penisola distante, appare estremamente chiara dalla tipica struttura: l’uomo sull’alto scranno con il martelletto, posto innanzi a una giuria, rigorosamente scelta tra il popolo in maniera casuale. Due avvocati, l’accusa e la difesa, dall’eloquio particolarmente spigliato e accattivante. E mentre gli occhi vagano, irrimediabilmente attratti da quella figura in prima fila, l’imputato del processo, diviene facile da trascurare la figura dell’agente di trascrizione, un uomo o una donna (tradizionalmente, la seconda) che appare impegnata nel suonare una bizzarra quanto inaudibile sinfonia. Su uno scomodo sgabello o una seggiolina, rigorosamente priva di braccioli, mentre dinnanzi a lei, su di un rigido treppiede, si erge quella che potrebbe anche sembrare una piccola macchina da scrivere, se non fosse che vi sono troppi pochi tasti, nonché di natura estremamente poco chiara. Come nel Gibsoniano “deck da cavaliere del cyberspazio” (Neuromante – 1984) qui non servono caratteri numerici o figure delle lettere da premere con alcun fine. Ma soltanto quadratini plastici, ciascuno con la sua funzione bene impressa nella mente e nelle mani di chi dovrà premerli in sequenza, per…Scrivere, ovviamente. Che altro? Ma non un semplice discorso. Bensì molti, spesso in parallelo tra di loro, pronunciati a ritmi svelti o pacati, con inflessioni dialettali o specifici slang di quartiere. E a ragione per cui è possibile riuscire in una tale ardua missione, nonostante i duri presupposti, sono in egual misura merito della persona e della macchina, ovvero sarebbe a dire, di colui che quella cosa ebbe modo di progettarla tanto tempo fa, come espressione ingegneristica del suo particolare campo d’interessi. Ed è significativo notare come anche nella macchinetta da stenotipia del video di apertura, del tutto conforme all’originale progetto americano del Sig. Ward Stone Ireland, risalente al 1906, si riesca ad intravedere lo stesso progetto funzionale dell’italianissima Macchina Michela, costruita nel 1878 dall’insegnante ed inventore Antonio Michela Zucco, con la finalità specifica di essere impiegata per trascrivere le sessioni del Regio Senato Italiano, continuando poi ad essere impiegata con la sua rifondazione come Senato della Repubblica, a seguito del passaggio dell’Eroe dei Due Mondi. Giungendo infine, con poche significative modifiche, virtualmente identica fino ai nostri giorni. La stessa nota relativa a questo meccanismo riportata sul nostro sito istituzionale, si apre orgogliosamente con uno stralcio di missiva di Giuseppe Garibaldi scritta a Caprera il 16 dicembre 1877, contenente il semplice messaggio: “Desidero che l’utilissima scoperta del professor Michela sia messa in opera”. Ma cerchiamo di capire adesso, anche grazie al video esplicativo di apertura, la maniera in cui funzionino questi dispositivi.