Epoca: fine degli anni ’90. Luogo: quell’altro ramo del lago di Como, fra quattro alte mura costruite per contenere, originariamente, il grano. L’uomo il cui nome le cronache non riportano, concentrato sul suo lavoro, infondeva l’energia e la passione in ciascun singolo colpo. THUMP, risuonava, THUMP, THUMP… Il piccolo maglio, attentamente calibrato grazie a evidenti anni d’esperienza, sulla lamiera in lega d’alluminio acquistata a caro prezzo presso le acciaierie locali. Un contadino, forse. Magari un fabbro. Sicuramente, un creatore; ovvero un membro di quel gruppo di coraggiosi che, non contenti della sola immaginazione, a un certo punto della propria vita decidono di dare una forma, fisica nonché tangibile, a quello che avevano sempre sognato. Anche se tutto questo, nei fatti, sembrava impossibile. Sebbene il completamento apparisse infinitamente distante. L’individuo continuò a battere giorno e notte, nel vortice di scintille suggestivo del fuoco dell’arte. Fino al raggiungimento dello scopo che si era prefissato: l’armonico succedersi di linee curve, spazi concavi e convessi, con un foro al centro, dove avrebbe trovato posto l’abitacolo del guidatore. Un appassionato di manga nato negli anni ’80 l’avrebbe potenzialmente scambiata, nel suo colore argenteo, come una fedele replica dell’auto di Mach Go Go, l’eroico pilota noto in Occidente con l’appellativo anglofono di Speed Racer. Ma un amante delle automobili, senza esitazione, avrebbe carpito l’intenzione alla base dell’ardua impresa: ricostruire, in maniera quanto più fedele possibile, una delle automobili più rare e preziose della storia. Il che, naturalmente, richiede sempre un certo grado di equilibrio: poiché se di un veicolo a quattro ruote, all’epoca primigenia, ne fu prodotto un singolo esemplare, esso viene considerato un “prototipo” potenzialmente desiderabile per un collezionista, in funzione dello stabilimento presso cui fu costruito. E se invece ne furono costruite svariate centinaia, diventa ovviamente facile per chiunque spendere qualche decina (o centinaia) di migliaia di euro, per annoverarlo tra le splendenti perle del suo garage. Ma se di questa macchina straordinaria, oltre 60 anni fa, ne furono costruite esattamente tre dozzine, guidate in gara da personaggi del calibro di Pete Lovely, Paul Frere, Phil Hill, Cliff Allison e Olivier Gendebien, allora diventa davvero fin troppo facile immaginarne il valore. Destinato soltanto a crescere nel tempo: vedi, ad esempio, le Ferrari 250 Testa Rossa. Una delle quali il 20 agosto del 2011, dopo un’asta serrata negli Stati Uniti, fu venduta all’interessante cifra di 16,39 milioni di dollari. Mentre nel febbraio del 2014, la stessa vettura, passando di mano tra collezionisti privati in Gran Bretagna, avrebbe raggiunto il valore spropositato di 39,8 milioni. Abbastanza per comprarsi, a scopo puramente indicativo, una villa nel quartiere di Beverly Hills. Una BELLA villa.
Ora, ci sono persone, dotate d’ingenti risorse finanziarie, guidate dal segno e dal passo del desiderio. Per cui persino simili investimenti diventano mere formalità, di fronte all’occasione di mettere finalmente mano, dopo una vita trascorsa a sognare, sopra l’oggetto che rappresenta, per loro, un fondamentale traguardo della propria vita. E Peter Giacobbi, rinomato ingegnere automobilistico con molte decadi di carriera all’attivo, oggi un sereno pensionato statunitense, è di certo un rappresentante di tale genìa. Con una sola, significativa differenza: egli non avrebbe mai potuto trovare, neanche volendolo, una cifra spropositata tendente ai 40 milioni di dollari. Il che significava, in altri termini, che non avrebbe mai posseduto una Ferrari 250 Testa Rossa se non che… All’inizio degli anni 2000, durante una delle molte trasferte che l’avrebbero portato in Italia, patria internazionale del design veicolare, conobbe per caso un amico di amici. Il quale, gli disse conversando amabilmente, che gli avrebbe fatto conoscere a sua volta un amico. Intrigato dal racconto sulla vasta collezione di pezzi di ricambio di costui, nonché la sua rinomata passione per i motori, il progettista veterano decise quindi di recarsi presso il domicilio di un tale individuo, con la speranza segreta di riuscire ad acquistare, magari, un pezzo per la sua collezione o due. Immaginate la sua sorpresa quindi nel momento in cui, raggiunto il granaio del lago, fece il suo ingresso oltre la porta ombrosa, per scoprire la letterale montagna di cianfrusaglie disposte alla rinfusa, provenienti dai più svariati momenti della storia automobilistica. Ed al centro di tutto questo un suo probabile coetaneo le mani guantate, la fiamma ossidrica nella sinistra, un largo sorriso dipinto in volto per accogliere lo straniero. Ma fu mentre i due parlavano, scambiandosi le rispettive esperienze nel mondo fantastico delle carrozzerie, che un lieve bagliore sopra uno scaffale attrasse progressivamente l’attenzione di Giacobbi, costringendolo a inclinare il collo di lato. “Ah, si! Ti faccio vedere.” Disse l’italiano, aprendo una pesante tenda per lasciar entrare la luce del sole. E fu così che l’oggetto misterioso, d’un tratto, venne rivelato in tutta la sua magnificenza: nonostante la polvere, le ammaccature e le saldature imprecise, non poteva che trattarsi di questo: una fedele riproduzione della carrozzeria di un delle poche auto dinnanzi alla quale nessuno, in qualsivoglia circostanza, sarebbe potuto restare indifferente.
Iniziò una trattativa, vennero fatte delle proposte. Di nuovo, le cronache ci vengono meno sulla cifra che venne effettivamente riconosciuta, in tale occasione, al misterioso maestro del martelletto per il suo “capolavoro scultoreo” degno di un Michelangelo rinascimentale. Sappiamo invece per certo che la conturbante carrozzeria, di lì a poco, sarebbe salita a caro prezzo su un aereo per dirigersi verso gli Stati Uniti, dove il nuovo proprietario assieme al suo team di meccanici avrebbe realizzato un sogno. O per meglio dire, l’avrebbe finalmente portato a termine, tanti anni dopo. L’intenzione di Giacobbi, fin dal primo momento, non era tanto di costruire una fedele riproduzione della 250 TR, bensì di rendergli omaggio, attraverso l’assemblaggio di un veicolo che fosse al tempo stesso il più simile esteriormente all’originale, quanto effettivamente guidabile nella vita di (quasi) tutti i giorni. Lui voleva, in altri termini, rivivere le emozioni dei grandi eroi della sua gioventù…
auto
Macchinista dimostra l’estrema disinvoltura dei treni azeri
La città: un essere pulsante che respira, suda, si guarda intorno e socchiude le palpebre, per farsi scudo dalla luce eccessiva di uno spietato disco solare. Mantenuta in vita, attraverso le sue alterne peripezie, dalla moltitudine di creature, talvolta benevole, in altri casi parassita, che trova modo di riconoscersi nel nome di eclettica umanità. Un luogo terribile, un luogo magnifico. Come Baku, moderna ed avveniristica capitale dell’Azerbaijan. Porto antico sul vasto Mar Caspio, il più ampio lago del pianeta, avendo costituito da lungo tempo uno dei punti di passaggio obbligati per tutte le merci inviate verso la Russia dai paesi dell’Est Europa. Un luogo, questo, composto in egual misura di alti grattacieli specchiati e moschee di marmo, moderni quartieri commerciali affiancati dai resti monumentali dell’impero Shirvanshah, che dominò con le sue armate per molti secoli, a partire dal IX secolo secondo la nostra cronologia. Eppure nulla, tra i suoi confini, si è mai fermato. Niente può dire di aver raggiunto uno stato di quiete. Poiché questa è la natura stessa dell’urbanistica: prendere un qualcosa di completo e renderlo differente. Trasformare un’area di carico/scarico in un parco. Ed una strada di 7 corsie in ferrovia. Perché dopo tutto… I passaggi a livello sono sopravvalutati, no?
Questo è un video che trova il suo svolgimento poco dopo la prima curva del circuito di Formula 1, che negli ultimi anni ha rappresentato una parte importante del campionato automobilistico di Formula 1. Dove una delle principali arterie per il traffico locale, proseguendo sicura verso Oriente, attraversa l’area un tempo occupata dalle banchine del “vecchio” porto, a partire dal 1990 sostituite da svariati luoghi di riferimento più o meno utili, come questo giardino pubblico dal chiaro valore decorativo, edificato a poca distanza dal lungolago e dominato dall’insolito monumento centrale di un paio di dadi giganti. Quasi a voler sottolineare l’importanza della determinazione casuale indotta dall’uomo, in grado di modificare i più logici presupposti delle circostanze. Il che ci porta a alla fine del 2016 ed a lui, Javid Sadradinzadeshows, l’uomo che da un piano elevato dei grandi condomini sul Nefcilar Prospekty, impugnando la fida telecamera/telefono cellulare, ha realizzato la registrazione di un qualcosa che all’epoca doveva sembrare relativamente comune: il passaggio di un treno merci. Ma un treno diverso da quelli che potreste immaginare d’incontrare, un giorno come gli altri, mentre corrono paralleli alla strada durante la vostra trasferta verso il luogo di lavoro. Tutto inizia col fischiare intenso della sirena, mentre il convoglio attraversa con sicurezza il tratto di strada ferrata lasciato com’era ai margini del giardino. Poi gradualmente, con l’avvicinarsi della banchina stradale, l’incredibile verità appare evidente: esso non ha alcuna intenzione di fermarsi. Ma piuttosto prosegue, valicando il confine, mentre la sua locomotiva fa un ingresso baldanzoso sopra l’asfalto percorso a gran velocità dalle auto. Zero passaggi a livello, nessun semaforo e in apparenza, neppure i binari. Il che naturalmente è una pura illusione, creata dalla bassa definizione dell’oggetto elettronico usato per portare a noi una simile testimonianza. Si forma così questa immagine, favolosa e memorabile, della serie di vagoni che, uno dopo l’altro, impegnano lo spazio di transito come potrebbe farlo il pollo della classica barzelletta. Al che, due cose sembrano verificarsi allo stesso tempo: una fetta statisticamente rilevanti di automobilisti azeri mettono alla prova i freni dei loro veicoli. E la loro prontezza di riflessi scongiura quello che poteva essere, in altri luoghi, un drammatico quanto spettacolare incidente.
Relegato per anni agli archivi confusi dei video inspiegabili del Web, questa scena riemerge oggi, per la diffusione di una gif animata, in cui l’episodio appare naturalmente velocizzato e di conseguenza, ancor più impossibile nel susseguirsi dei suoi singoli momenti. Non che nessuno, in precedenza, avesse mancato d’indagare e offrire un punto di vista informato sull’argomento…
Virtuoso della chitarra riproduce i suoni della Formula 1
È stato certamente uno spettacolo: le sgargianti livree delle monoposto di Formula E, ciascuna coronata dal casco di un abile pilota, che disegnavano accurate geometrie tra le angolose curve del quartiere Eur di Roma. Una gara sportiva lungamente attesa, proiettata verso il futuro per organizzazione, idee e comparto tecnologico di fondo. E mentre le vetture acceleravano, e con esse l’entusiasmo del pubblico, mentre le telecamere creavano quel filo ideale di energia elettrica, riflessa ed amplificata dai motori lineari attraverso l’etere, fino all’ingresso delle nostre case, in molti si resero conto gradualmente di un qualcosa che non si erano aspettati. Si riuscivano a sentire le voci delle persone. Il tifo dagli spalti, gli ordini dei meccanici nei box, le domande dei giornalisti; come in una rappresentazione idealizzata della primavera all’inizio di un documentario disneyano, non c’era un sussurro, il grido di un gabbiano, e neppure i passi di qualche altro ipotetico animale, che potessero sfuggire alla captazione dei microfoni, in una sostanziale cappa di armonia auditiva in grado di pervadere ogni momento della surreale kermesse. Il che, da una parte, sovvertiva fondamentalmente un aspetto considerato importante in precedenza: la possibilità di percepire i singoli gesti di ciascun pilota. Come un esperto di calligrafia orientale, che osservando i tratti prodotti dal pennello di un maestro riesce a identificare le singole curve e ogni fondamentale rettilineo del kanji rappresentato sul rotolo, rivivendo nel suo essere il motivo delle scelte compiute, degli approcci cadenzati e le angolazioni prodotte, così l’esperto spettatore di simili gare impara a distinguere, nei sorpassi, il momento esatto in cui un pilota ha lasciato l’acceleratore, riconoscendo il diritto dell’avversario a prendere momentaneamente il comando. A meno finché la prossima opportunità, nell’economia degli eventi, non gli permetta di ribaltare la situazione. Potremmo chiamarlo, volendo, il “senso innato del ruggito graffiante” ovvero quella dote, che diventa necessità, di applicare quanto si è guadagnato per se stessi attraverso anni di evidente passione individuale per il cavallino rampante, la freccia d’argento, il toro vermiglio o una qualsiasi tra le sfavillanti alternative che mordono l’asfalto di gara.
Eppure l’evento di Roma, diretto al cuore stesso di noi italiani, parla davvero chiaro: l’elettrico sta continuando a prendere piede, sempre di più e in ogni campo dell’ingegneria, per una semplice necessità dei nostri tempi. Che dire, dunque, di tutto ciò… Riusciremo a ritrovare il nostro equilibrio sonoro costruito in generazioni di Formula 1, o continueremo a oscillare tra passato e futuro, alla ricerca dell’ago di una bussola che fondamentalmente, non è esistita e non esisterà mai? In quale modo potremmo semplificare la transizione? Di certo sarebbe assurdo! Inutile. Chiamare un musicista, intendo, giù dagli spalti e vicino alla tribuna di chi ci tiene di più, al fine di fargli accompagnare le immagini con il movimento delle sue abili dita. A meno che… La persona in questione, pescando tra gli archivi di Internet, non sia il misterioso Mario Torrado, dal volto costantemente coperto mediante il cappello in pieno stile Michael Jackson, l’eterno giubbotto di jeans, la postura composta ma vagamente informale, mentre strimpella l’iconica chitarra elettrica Gibson X-plorer (o Explorer) al fine di produrre una sola, lunghissima e articolata nota. Si, proprio così. La definizione è corretta, se è vero che la più piccola unità musicale, sostanzialmente, altro non è che una vibrazione dell’aria, misurabile in singole ripetizioni esattamente come la rotazione di un motore. Il tutto attraverso una procedura scientificamente analitica che in un molti modi, traspare con grande evidenza. Nel suo video più celebre risalente al 2013, recentemente ripubblicato sul portale social Reddit, l’artista compare mentre dimostra la precisione del suo metodo, effettuando una tripla dimostrazione pari a una rassegna retrospettiva proiettata delle epoche trascorse, espletata attraverso i tre motori più celebri nella storia di queste gare: V10, V8 e V6. Ma prima di passare ad un’analisi tecnica di quanto questo video risulta in grado di offrirci, c’è almeno un altro esempio da prendere in considerazione…
Un mini cingolato che parcheggia il rimorchio nel tuo garage
È davvero una vita grama questa, in cui molte delle cose più divertenti comportano il fastidio della “preparazione”. Dipingere un quadro è impossibile, se prima non si appronta il cavalletto, tirano fuori i colori e trascorrono svariati appiccicosi minuti, nella preparazione della tavolozza cromatica da tenere in mano. Giocare a scacchi è sempre un piacere, a patto che si prenda la scacchiera, liberi il tavolo da pranzo e dispongano i pezzi uno per uno con grande cautela. E avete mai pensato, ad esempio, di andare a pescare in maniera naturale? Sarà meglio che abbiate qualche ora a disposizione, per andare a raccogliere le esche vive nel fango bene idratato. E persino tutto questo non è nulla, in confronto alla noia di rimettere tutto com’era. Quando il rush biochimico dello svago si trova agli sgoccioli, e senza endorfine, né aspettative immediate di ulteriore soddisfazione, dovete ancora affrontare il tormento del riordino, la domenica pomeriggio, con la mente già orientata al lavoro. Di certo ci sono alcuni, tra i più disordinati, che evitano semplicemente di farlo. Trascorrendo le proprie serate dei giorni feriali con la bicicletta in salotto, il puzzle in mezzo al tappeto, il windsurf di traverso nell’androne di casa. Dopo tutto, che cosa cambia? Ciò che importa è associare tutto questo, non tanto alla pigrizia, quanto ai piaceri passati e futuri dell’esistenza.
Ma vi sono cose che, per quanto ciò possa essere la nostra preferenza, semplicemente non possono essere lasciate a portata di mano. E una di queste è l’appartamento su ruote, la casa trainabile, ovvero quella che in molti chiamano, con pratico francesismo, la costosa e spaziosa roulotte (che poi, colmo dei colmi, nel paese del vino è definita caravane). Immaginate, se avete il tempo, la scena: trascorso il week-end al lago/in campagna/sulle pendici pedemontane, fate il vostro accesso nel vialetto di casa, pienamente consci di quanto sta per succedere: è giunta infatti, la più terribile delle ore, quella trascorsa nel parcheggiare l’attrezzo nel vostro garage. Ora, generalmente parlando, tutti conoscono la problematica d’incastrare una grossa automobile dentro un parallelepipedo poco più grande di lei, con all’interno, per di più, colori a tempera, scatole degli scacchi, canne da pesca disposte in giro… Che ci vuoi fare, non tutti dispongono della cantina! Ma ora provate a considerare le problematiche di fare lo stesso, con un “pezzo” attaccato dietro, ancor più grande del veicolo a quattro ruote in questione. Un’operazione che non è soltanto il doppio più difficile, ma una cifra moltiplicata più volte, poiché come saprete la retromarcia di due mezzi incatenati tra loro, inverte la direzione dei controlli per il primo vagone, ma lascia invariata quella del secondo. In altri termini, per il guidatore medio, simili operazioni richiedono quasi sempre l’aiuto di uno spotter (persona che guarda da fuori) e una lunga, paziente porzione di pomeriggio. Roba da sovrascrivere, nei propri ricordi, il gusto immediato di una piccola vacanza. O cercare soluzioni alternative, come l’impiego del nuovo Trailer Valet RVR, un aiuto tecnologico a disposizione di tutti coloro che hanno bisogno d’affrontare l’infelice questione. Ovvero la trasposizione di terra, ridotta di molte volte nelle dimensioni, del semplice concetto di una pilotina portuale telecomandata.
La portata della semplificazione appare evidente dalla pubblicità, girata con la consueta verve drammatica del marketing statunitense; scene sincopate, brevi, accompagnate da una grandinata d’esclamazioni. Sembrerebbe del resto trattarsi di un prodotto, a tutti gli effetti, utile ed innovativo. È un piccolo veicolo telecomandato a batteria, dal peso approssimativo di un cane di taglia media, ma una potenza sufficiente a trascinare, a seconda del modello, 1.588, 2.495 o 4.082 Kg. Ora, tutto questo non sarebbe neanche lontanamente altrettanto impressionante, se l’oggetto in questione non fosse anche dotato di un pratico telecomando, che sostanzialmente vi permette di agire come foste gli spotter di voi stessi. Il che in altri termini, non vi pone più al volante nella cabina di guida, mentre tentate nervosamente di acquisire coscienza degli spazi attraverso gli specchietti inadatti, bensì rilassati al livello del suolo, come veri figli del faraone, mentre osservate il problema che sembra, letteralmente, risolversi da solo. E i vicini che vi guardano, invidiosi, non possono fare a meno d’interrogarsi su come una cosa tanto piccola, possa vantare una simile potenza. Una questione che in effetti, troverebbe risposta nello stesso video promozionale…