Felix Colgrave è il disegnatore di alcuni fantastici cartoni animati, degni di occupare a pieno merito la “parte strana di YouTube”. I suoi concisi lavori, dallo stile buffo e inconfondibile, dimostrano il modo in cui persino tale favoleggiato luogo digitale, sede di astruse visioni e inspiegabili video-vicende, possa ospitare spunti di approfondimento e ricche considerazioni esistenziali. Il titolo del corto, questa volta, è semplicemente HONK, onomatopea che dovrebbe rappresentare il tipico verso del gabbiano. Perché qui, di gabbiani, ce ne sono di ben due tipi: quello classico e un altro, assai più particolare. Gli esseri umani amano ogni tipo di classificazione e suddivisione tra i regni naturali, tanto che un tempo erano soliti applicarne di simili anche a se stessi. Non a caso diverse antiche civiltá, da Oriente ad Occidente, avevano la caratteristica di essere organizzate in caste, con una netta separazione tra nobili, gente comune e tutti coloro che venivano considerati, per le ragioni più diverse, indegni. Ci sono molti nomi, nel mondo, per questi individui sfortunati: i paria indiani, ovvero gli intoccabili, l’etnia discriminata per eccellenza. I burakumin giapponesi, coloro che si occupavano di compiti considerati impuri, i cui discendenti ancora oggi faticano ad integrarsi. Le popolazioni medievali delle regioni basche, al confine tra Francia e Spagna, costrette ad indossare sgradevoli distintivi di riconoscimento. Oggi si cerca costantemente di muoversi oltre simili pregiudizi. Eppure basta guardarsi intorno per rendersi conto che, nonostante tutto, i fuori casta esistono ancora. Sono i disoccupati senza prospettive, i mendicanti, i senzatetto, i vagabondi… Tutti coloro che sopravvivono ai margini del mondo cosiddetto civile, dimenticati dalla società. Avete mai visto qualcuno dare da mangiare agli animali randagi, mentre poco più in là un povero soffriva la fame? Questa potrebbe dirsi, attraverso la fantasia di un giovane artista australiano, la giusta rivincita del karma.
Cina
Sculture che si trasformano in lanterne cinesi
La carta è un materiale che facilmente trae in inganno l’intelletto umano. Bianca come marmo, opaca oppure lucida, suggerisce un senso di fondamentale impermanenza. Poiché leggera, sembra delicata, effimera. Nell’uso quotidiano, si strappa e rovina facilmente, oppure si macchia e finisce per perdere ogni utilità. Statue di marmo e bronzo, nate dall’opera di antichi artisti, sono giunte a noi attraverso secoli di polvere e maltrattamenti; mai, fino ad ora, qualcuno aveva scelto d’infondere la sua sapienza scultorea nella mera carta. Li Hongbo, ispirandosi alla struttura a nido d’ape di un certo tipo di lanterne cinesi, quelle dette “a zucca”, spesso usate nelle feste dei bambini, incolla l’un sull’altro queste migliaia di fogli, per poi cesellarli e limarli con una fresetta elettrica, riuscendo così, dopo mesi di lavoro, a ritrarre un qualche tipo di soggetto. Quindi, nel momento della verità, basta un colpetto per compromettere il preciso baricentro di una di tali creazioni, causandone l’inarrestabile dispiegamento vermiforme. Ma una volta rimessa in ordine la strana molla slinky in cellulosa, tutto torna come prima. Fluidità delle forme non sempre significa disfacimento, anzi talvolta crea diverse chiavi d’interpretazione. Queste teste allungabili, serpentine, nascondono l’abilità di cambiare aspetto da un momento all’altro. Proprio come gli esseri fantasmagorici di un racconto surreale.
L’ibrido kiwi-castagna e l’innesto bananifero cocomeroide
Nel comune supermarket la gente può trovare centinaia di merendine, crackers, corn-flakes, gelati, pizze surgelate e cibi pronti ma, dopo tutto, non più che una dozzina o due di frutti differenti. Nonostante il lavoro delle numerose compagnie e laboratori agricoli, con le loro ibridazioni e gli esperimenti di ingegneria genetica, ciò che è genuino, ancora oggi, non può che risultare prosaico ed usuale. I sapori variano fondamentalmente da un paese all’altro, ma la globalizzazione dei mezzi di trasporto ha reso consueta, in ogni parte del mondo, ciascuna delle varietà di frutta più apprezzate. Tanto che ciò che proviene da luoghi tropicali oggi trova collocazione sulle tavole di tutti noi, anche qualora il clima sia del tutto inospitale per l’arbusto o la pianta generatrici. Provare qualcosa che sia nuovo al termine di un pranzo significa più che altro assaggiare specialità, per una ragione o per l’altra, poco popolari al di fuori dei rispettivi paesi d’origine: l’irsuto frutto tailandese dell’albero del Rambutan, il vermiglio Ngaw. Il travolgente Durian, equivalente alimentare di un sigaro cubano. La Pitaya, pastoso pomo vietnamita associato ai draghi. Poi, inevitabilmente, più che altro per praticità e abitudine, si fa ritorno ai classici. Banana. Kiwi. Cocomero. Castagna. Eppure, persino fra questi, c’è spazio per nuove straordinarie, impreviste scoperte agroalimentari…
Svista cinese: il ponte così basso che ci sbattono la testa
Pensando alle grandi città della Cina, è facile fermarsi all’immagine stereotipata di Pechino ricoperta dal cemento e dallo smog, sovrappopolata, iper-trafficata, assediata dai monsoni e spesso vittima di estese tempeste di polvere. Eppure, nello stesso paese ci sono enormi centri abitati che spiccano per vivibilità, in cui parchi e viali alberati caratterizzano l’offerta civica di ogni quartiere. Una di queste è la città di Nanning, sita a 100 km dal confine del Vietnam, luogo in cui vivono più di 6 milioni e mezzo di abitanti tra università, musei e vaste zone residenziali e commerciali. L’amministrazione pubblica, in particolare, può vantare una coscienza ecologica estremamente rinomata, con servizi di manutenzione e nettezza urbana dagli standard qualitativi molto alti.
Ma negli ultimi giorni un seme della discordia sta generando tra i locali parecchi disagi e qualche (letterale) mal di testa. Sono persino iniziate le prime manifestazioni pubbliche di sdegno: ecco un video tratto dalla TV locale, caricato online presso il portale LiveLeak.