La tremenda verità sui fichi

Fig Wasp

L’avevate mai considerato? Non hanno i fiori. Proprio così: gli alberi di fico non sembrano possedere alcun tipo di fiore. Mangiare con gli occhi prima che col gusto, si usa dire, è un’ottima abitudine. Perché consente di saggiare mentalmente il senso logico di ciò che si sta masticando, comprenderne l’origine e la genesi immediata. Però che dire, invece, di quella remota? Quante persone, davvero, possono dire di conoscere le piante ed animali che consumano per sopravvivere, ancor prima che vengano impacchettati e trasportati fino al luogo d’interscambio del contemporaneo, l’essenziale spazio del supermercato? Di averli attentamente osservati all’interno del proprio ambiente, giungendo a fare un’equazione delle loro relazioni ecologiche col resto dei consimili connessi… Tra luglio e settembre, puntualmente ogni anno, sulle nostre tavole compaiono quei frutti zuccherini e morbidi, dalla buccia verde e il contenuto granuloso, che notoriamente pendono dall’albero di fico. Espressioni vegetali del bisogno di riproduzione della pianta, esattamente come la mela, la pera, addirittura certe varietà di banana (ibridazione permettendo). Benché i metodi impiegati per percorrere tale immediata strada, così come la direzione scelta presso ciascun bivio dell’evoluzione, siano sempre stati totalmente differenti. Per conoscere la verità, sarà nuovamente necessario fare il grande passo, stranamente arduo al giorno d’oggi, di spostarci con la mente in mezzo alla campagna. Tendere la mano verso il “frutto”…E ritirarla, ricoperta di…Piccole Brulicanti Sagome Nerastre, o per usare il termine più tecnico, insetti. Questo fico non è contaminato, non è malato, non soffre di un’infestazione. Gode, anzi, di ottima salute!
Si tratta di una strana verità. Una questione che sarebbe di sicuro molto nota, se non costituisse un potenziale ostacolo alla diffusione di un qualcosa che sicuramente vende bene, perché profondamente apprezzato da ampie fasce di popolazione. Le quali preferiscono dimenticare, ad esempio, l’orifizio da cui esce l’uovo di gallina. O le acute grida del maiale in punto di macellazione, che riecheggiano in padella mentre si prepara una bistecca beneamata.  Ma persino tutto questo è nulla, in confronto ai milioni o miliardi di minuscole vespe che sono morte attraverso le generazioni, sacrificando la propria esistenza per costituire un’interrelazione evolutiva, tra la propria genìa e quella della pianta xerofila per eccellenza, che si è infine trasformata con finalità di accoglierle, persino, con gioia. Ed è soltanto a quel punto, che la questione è diventata regolare. Per ciascun fico, una generazione. Destinata per la metà esatta ad emergere, per l’altra a perdere la vita. Rimanendo lì sotto la buccia, ovvero trasformandosi in parte indissolubile di quanto noi mangiamo. Senza, neppure, saperlo! Non abbiate, tuttavia, alcun dubbio: proprio questo succede al giorno d’oggi, per innumerevoli delle varietà di fico presenti su ogni banco della frutta, regolarmente vendute anche qui da noi in Italia.
Avete mai notato la strana consistenza diseguale del vostro cibo preferito, il modo in cui per ciascun morso, occasionalmente, ci si trovi in bocca un non-so-che di stoppaccioso, o per meglio dire granuloso, che cede sotto la masticazione solo dopo aver emesso un lieve suono, come CRUNCH-CRUNCH. Ecco, adesso non iniziate a pensare male. Quelli sono solamente i semi. Dunque a questo punto, sarà meglio chiarire ulteriormente l’intera fondamentale questione…

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Gatti sugli alberi dell’Est Europa: un diverso sport estremo

Cat on a Tree

Si dice che qualunque gatto che, per qualche ragione legata ad uno spavento improvviso, si sia ritrovato suo malgrado a correre verso la cima di un arbusto, prima o poi ritorni al suolo senza bisogno di aiuto. Spinto forse dalla fame, dalla voglia di tornare in società, dal bisogno di mettersi a dormire in una cuccia comoda e protetta: ciò che sale ridiscende (quasi sempre) tutto intero. Qualcuno poi consiglia bellamente, senza nessun tipo di riserva, di affrettare un po’ le cose, andando a prendere un secondo felino per portarlo sulla scena: perché i gatti, questo è noto, tendono ad aiutarsi a vicenda, ed è largamente attestato il caso di un secondo miglior-amico-dell’uomo, magari più esperto e/o riposato del primo, che si prodighi nel salire appresso a suo cugino, per poi spronarlo mostrandogli la via migliore per il suolo. Ma la realtà dei fatti non è sempre bianca o nera, come un celtico dal pelo corto: si, è indubbio che un gatto bloccato sopra un albero sia in un pericolo MINORE di quello che correrebbero molti animali nella stessa condizione. Ma è anche vero che i suoi artigli ricurvi, perfetti per salire, sono poi decisamente inefficienti per effettuare l’azione contraria, a meno che il gatto non si volti con la schiena rivolta verso l’esterno dell’albero, percorrendo quindi il tronco a ritroso, come un piccolo ninja miagolante. E non sarebbe questo, certamente, il più naturale degli atteggiamenti di un quadrupede in difficoltà.
Si rende quindi necessario, certe volte, l’intervento umano. E certamente lo sarebbe stato in questo caso quasi apocalittico, di due cuccioli saliti, in qualche modo misterioso, sulla cima del più dannatamente alto albero del circondario; un caso all’apparenza privo di speranza, a meno di chiamare sulla scena i prototipici pompieri, dotati di autopompa con la praticissima scala allungabile. Ma se soltanto la vita fosse semplice, come i cartoni animati! Le problematiche da prendere in considerazione per un tale approccio sarebbero state molteplici, a partire da quella logistica, di portare un mezzo tutt’altro che agile e scattante in mezzo a quello che potrebbe essere un parco cittadino, con panchine, laghetti, viali, innumerevoli altri arbusti dai rami bassi e vicini. Per poi passare alla domanda, critica ma spesso data per scontata: avrebbe avuto una risposta effettiva, questa “tragica” chiamata? La realtà è che chi viene pagato dal comune, per difendere gli umani in caso di emergenza, difficilmente potrebbe poi giustificare l’impiego del suo tempo a vantaggio di sacrificabili animali. È una triste realtà del mondo, questa. Se vuoi salvare un gatto, sii pronto, agisci subito, intervieni come puoi. O almeno, così deve averla pensata l’eroico ciclista Flavius Cristea, giovane protagonista di questo video girato POSSIBILMENTE in Romania (si desume dal suo nome e dallo sponsor di un altro exploit presente sul canale, l’energy drink Glontz) che con grande sprezzo del pericolo, senza esitare neanche per il tempo di un singolo episodio di Tom & Jerry, ha provveduto ad adagiare la sua bicicletta contro l’albero per darsi all’arrampicata, con al seguito una corda, tuttavia non utile a salvare tanto la sua vita, in caso di eventuali passi falsi, quanto per calare a terra i due malcapitati gattini, che lui aveva già pensato d’inserire uno alla volta in una borsa, per calarli quindi a terra con l’equivalente raccogliticcio di un pratico ascensore arboreo.
Aha, ci ruscirà? Oppure siamo destinati a verificare, finalmente in prima persona, la leggenda secondo cui un felino avrebbe un numero plurimo di vite, cioé sette, nella tradizione italiana, oppure nove come sono pronti a giurare nei paesi anglosassoni, o ancora una quantità infinita, come certamente la pensavano gli Egizi, abituati a venerare queste bestie nei templi dedicati a Bastet, dea della guerra. La ragione e il passo dell’aneddoto saranno rivelati a chi vorrà seguirlo, fino ed oltre il pantagruelico finale. Ma attenzione: l’evento qui rappresentato, dopo tutto, non è un monito davvero significativo. Che lezione si può trarre, dopo tutto, da una situazione in cui il pericolo è attentamente controllato, tutti sanno ciò che stanno facendo e non c’è neanche il cenno di un drammatico imprevisto…Molto meglio sarebbe, nel prendere atto che cose tali possono accadere, osservare di confronto un caso in cui l’emergenza è stata condotta alle finali conseguenze, tra esplosioni pirotecniche degne del cinema di Michael Bay;

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L’esperienza di tagliare un albero gigante

Tree Wizard

Sembra quasi di essere lassù con lui. Di nuovo in Australia, ancora una volta per raccontare un capitolo dell’eterna storia complicata, la convivenza tra l’uomo, le sue cose, i suoi edifici e l’avanzata inarrestabile della natura, che tanto vulnerabile e arrendevole ci pare in certi casi, quanto virulenta, pervasiva, inesorabile o insistente. Consideriamo, per esempio, questo grande albero di eucalipto, vegetativa avanguardia della foresta di Sandy Bay, presso la cittadina di Hobard, in Tasmania meridionale. Che non soltanto ha avuto la superbia di raggiungere i 30 metri abbondanti d’altezza, ma l’ha pure fatto presso la singola cosa che, fra tutte, peggio si sposa con il tocco lieve delle foglie, magari spesso umide per qualche lacrima di pioggia: i cavi dell’alta tensione, tesi ad altitudine fra pali sufficientemente elevati, affinché né koala, né vombato, né il roditore bandicoot possano giungere ad arroventarsi sopra simili scintille, pronte a palesarsi quando disturbate. Ma con “l’albero” cosa puoi fare? Con l’arbusto, non puoi ragionare. L’alta pianta a fusto è ardua da spostare. L’unica scelta, in una simile situazione dal significativo potenziale di corto circuiti, è chiamare LUI, o in alternativa, qualcuno come LUI, Tree Wizard (stregone barbuto e dai capelli rasta) l’ottimo rappresentante di un’intera categoria professionale che piuttosto raramente, soprattutto presso noialtri della vecchia Europa, viene fatta oggetto della pubblica considerazione. Il termina arborista, in effetti, può indicare molte cose. Un botanico specializzato nello studio di questa particolare categoria di forme di vita vegetale, oppure il giardiniere addetto a prendersi cura quotidianamente del singolo gruppo di elementi clorofilliani più massicci di un intero parco/giardino, che possono avere molte fogge, ma del resto presentano almeno una categoria in comune: l’altitudine raggiunta dai loro più sporgenti rami. Ragione per cui, di categoria degna di meritarsi l’aureo titolo, ce n’è almeno un’altra, ovvero quella di tutti coloro che occasionalmente, soltanto quando necessario, riescono ad arrampicarsi fino in cima, per rimuovere la pianta in modo graduale. Certo, non puoi urlare CADE! In zone semi-urbane, poi dar l’ultimo colpo d’ascia e metterti di lato. Innanzi tutto, perché così risolveresti solo parte del problema; l’albero in orizzontale, con tutta la sua massiccia presenza, andrebbe in ogni caso fatto a pezzi, quindi caricato sui furgoni. Oppure sminuzzato in fine segatura, ma usando macchine tanto grandi, e pesanti, che trovano il posto solo dentro alle migliori segherie. Molto meno peggio, dunque, procedere per gradi. O per meglio dire dar principio all’opera dal punto culmine, la cima sopraffina del problema. Come faceva lo stregone in questione, in questo caso tanto efficacemente offerto ai nostri occhi grazie a un paio di videocamere per sport estremi.
Il video, caricato sul servizio di self-publishing Vimeo, è comparso all’improvviso sul portale Reddit, ad opera dello stesso protagonista, che si è quindi prodigato in un ricchissimo botta e risposta con gli innumerevoli utenti del sito, offrendo interessanti spiegazioni ad alcuni suoi colleghi statunitensi, ad alpinisti ed altri hobbisti dello spostamento verticale, come ai semplici curiosi delle cose varie, vera e propria linfa di simili discussioni divaganti presso il vasto web. Tra le risposte maggiormente gettonate (in questo sito ogni intervento è soggetto all’attribuzione di un punteggio collettivo) quella data all’utente dal nome sfizioso di readythespaghetti, che chiedeva candidamente: “Quali sono gli alberi che preferisci tagliare?” Ottenendo due specie piuttosto diverse tra loro, benché entrambe appartenenti alla categoria degli alberi più amati dai koala. La prima è il colossale Eucalyptus botryoides, o Mogano del sud, un arbusto che supera spesso i 40 metri, e che a quanto costui ci racconta, fino alla fine degli anni ’70 fa veniva piantato indiscriminatamente, ad esempio come tratto distintivo dei campi da golf. Il risultato è che ad oggi abbondano grandi quantità di simili eco-mostri all’incontrario (spauracchi dell’ambiente artificiale) ormai vecchi, stanchi e in pessime condizioni di salute. Rimuoverli, quindi, è una semplice questione di responsabilità, nonché un’impresa non da nulla, specie se si ha il mandato o l’intenzione di proteggere le piante vicine. Il secondo albero citato, invece, è il Corymbia citriodora, anche detto eucalipto citrato dal delicato profumo di limone che emanano le sue fronde e la liscissima corteccia. Scalare quest’albero in realtà originario delle regioni settentrionali dell’Australia, ma spesso trapiantato fin quaggiù in Tasmani, è una prova d’alpinismo arboreo non alla portata di tutti, specie in condizioni umide o bagnate. Ma l’agilità e la sapienza tecnica di quest’uomo alquanto eclettico, direi, sono davvero sotto gli occhi di noi tutti…

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Le tegole istantanee del maestro d’ascia americano

Cedar Shingles 1

Cresce un albero, nel Pacific Northwest degli Stati Uniti, che ha dei meriti davvero fuori dal comune. Thuja plicata, o cedro rosso gigante, fa di nome. Appartiene alla stessa famiglia del Cedrus libanese, a noi più noto, benché il genus sia del tutto differente. Ha un aroma straordinario. E si adatta, facilmente, negli ambienti di ogni tipo: prospera dalle paludi sul livello del mare, fino alle foreste costiere dell’Oregon, rese temperate dalla vicinanza con l’Oceano sconfinato. Puoi scorgerlo fin sulle alte rupi delle Rocky Mountains, sopra i picchi delle Olympic o della porzione canadese dell’esteso Cascade Range, in contrapposizione con il ripido orizzonte; sempre spicca quel suo fiore solitario, tra una corona di foglie aghiformi, posto in alto come uno stendardo illuminato dalla luce del mattino. E il suo legno di sostentamento ricompare, come se niente fosse, anche ben oltre le propaggini remote degli agglomerati urbani, fra l’asfalto delle strade, circondato dai lampioni e dalle mura di cemento.  È un perfetto materiale per la costruzione, forse tra i migliori.
Gerald M. Chicalo, viaggiatore esperto di foresteria, titolare di un canale su YouTube e soprattutto autore rinomato per la manualistica di settore, ha approntato il suo sgabello in mezzo a una radura. Tutto intorno, come niente fosse, si può ammirare il risultato di una lunga e fruttosa avventura in mezzo al grande verde: molteplici segmenti, perfettamente levigati, ricavati dai possenti fusti del nostro Redcedar tree. C’è giusto il tempo di ammirarli per un paio di secondi. Lui ne prende uno, lo dispone in verticale, poi vi appoggia un’ascia dalla lama particolarmente longilinea. Quindi, con un piccolo e rusticissimo mazzuolo, dà un colpetto attentamente calibrato: meravigliosamente, si materializza la perfetta lamina di legno. Sarà, questo particolare oggetto, già una tegola, perfettamente pronta all’uso. Il gesto si ripete più e più volte, finché cala la materia prima. Trasformata, tanto facilmente, in un tetto intero. I rivestimenti costruiti con questo legno non richiedono particolari trattamenti. Già l’albero naturalmente, per quanto possa sembrare straordinario a dirsi, secerne un olio profumato che lo rende impervio all’acqua. Oltre a scoraggiare di pari passo, secondo l’opinione comune, l’attacco di tarli, larve di imenotteri e di tutti gli altri insetti xilofagi, inclusa la temutissima termite, vera dannazione di chi costruisce abitazioni fatte prevalentemente di materia vegetale. Come si usa fare, per l’appunto tra gli stati di Washington, dell’Oregon e dell’Alaska. Secondo l’opinione dei rivenditori locali, facilmente reperibile online, mettersi sulla propria bicocca un tale tipo d’impervia protezione sarebbe non solo consigliabile, ma la migliore scelta disponibile. Per chi riesce a procurarselo, cosa non facile con tutto l’Atlantico nel mezzo! Un tetto in Redcedar resiste anche 40 anni, senza altro tipo di manutenzione che quella, del tutto occasionale ma altamente consigliata, di rimuovere il muschio, che vi attecchisce facilmente. Facendolo a pezzi usando come punto di partenza le sue venature. Proprio per questo, il materiale è consigliato in modo particolare a chi dispone di una buona esposizione solare (ma non solo). Ha il vantaggio, inoltre, di avere un peso relativamente contenuto:  tra i 390 e i 400 kg/m3 quando asciutto, circa il 30% in meno delle sue maggiori alternative. Anche per questo, si usa spesso e volentieri in campo musicale, per fabbricare le chitarre.
Trovi un albero, lo abbatti, sorge al posto suo una casa. Nella gestualità di Chicalo, così rapida e spontanea, ancora si intravede il modus operandi del pioniere delle grandi esplorazioni. Colui che si muoveva solitario, armato di tutti gli strumenti, sia fisici che mentali, per sfruttare al meglio la natura. Uno dei metodi migliori di onorarla. Che del resto, anche qui in Italia, trova degli ottimi e diversi fautori…

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