La tragica storia della vespa che uccise 189 persone

Se esistesse una borsa con le quotazioni pubbliche degli animali, la famiglia delle Vespidae si troverebbe regolarmente nella più profonda valle del grafico sugli andamenti finanziari. Quale altra creatura può vantare, in effetti, la stessa indole aggressiva senza un’evidente ragione, insieme a quella capacità di nuocere a chiunque, semplicemente ogni qualvolta si presenta l’occasione d’intingere nel sangue il suo crudele pungiglione! Unica consolazione, in tutto questo, può essere la consapevolezza che trattandosi di una creatura dalle dimensioni contenute, l’imenottero dalla colorazione aposematica per eccellenza, il suo presunto piano di annientamento collettivo non potrà riuscire a realizzarsi in modo repentino e irrimediabile, bensì tramite una serie di malcapitati eventi, persone allergiche, dolore improvviso a guidatori di macchinari pesanti… E così via. Vi fu tuttavia un singolo caso, nel remoto 1996 presso la Repubblica Dominicana, ad est dell’isola di Haiti, in cui l’aggressiva parente della formica finì per ritrovarsi in una contingenza idonea e per il tempo totalmente imprevedibile, tale da permettergli di porre istantaneamente fine a una quantità terribilmente alta di vite umane. In maniera forse evitabile, magari condizionata da fattori collaterali, eppure nondimeno derivante in modo logico da una catena di causa ed effetto, riconducibile direttamente a quel comportamento che è il prodotto di letterali milioni di generazioni.
Perché le leonesse cacciano in branco. Le tigri tendono gli agguati. Ed un certo tipo d’insetto, mischiando il fango alla saliva, costruisce un nido piccolo e compatto, tale da ostruire in modo accidentale spazi precedentemente definiti. Anche quando farlo, da un punto di vista cosmico, costituisce un’imprudenza di portata orribilmente significativa. Sto parlando, per intenderci, del tipo di vespa che in Italia definiamo “muratrice” o “vasaio” per la sua capacità di trasformare il fango in solide pareti, usate normalmente al fine di proteggere lo sviluppo della sua prole. Mentre in America e Sud America in particolare, data la notevole diffusione delle loro cugine e nemiche della famiglia Chrysididae, anche chiamate “vespe cuculo” per l’abitudine di sostituire le altrui larve nella culla con le proprie, persino tale misura architettonica viene giudicata insufficiente, portando le ronzanti madri alla ricerca di stretti pertugi rigorosamente nascosti alla luce del Sole ed ogni eventuale sguardo indiscreto. Da cui deriva il nome comune della Pachodynerus nasidens anche detta “vespa del buco della chiave” data la natura del tipo di luoghi ove si trova spesso a costruire la propria casa. Ma se l’eventualità di ritrovarvi con un aggressivo essere pungente che vi assale presso l’uscio dovesse sembrarvi l’ipotesi peggiore, vi ricordo a questo punto il titolo del qui presente post, spostando la vostra attenzione al contesto specifico di un aeroporto. Tra tutti i templi dei trasporti moderni e contemporanei, quello dai più elevati standard di di sicurezza, proprio per la natura inerentemente precaria di un jet di linea dal peso di centinaia di tonnellate, che decolla o atterra ad oltre 250 Km/h con potenziali conseguenze impreviste fin troppo facili da immaginare. Ma non è davvero mai possibile riuscire a difendersi da quello che non si riesce a vedere. Ed anche con un rapporto di dimensioni paragonabile al finale di Guerre Stellari (“Grande o piccolo diverso soltanto in tua mente” affermava con saggezza il maestro Yoda) l’inconcepibile può riuscire a verificarsi. Scatenando senza nessun tipo di pregiudizio le più evidenti implicazioni dell’inferno in Terra…

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Seladonia, la tarantola gioiello che risplende tra i rami della giungla Brasiliana

Il grande luogo d’incontro che è Internet permette di confrontare ogni tipo d’esperienza, anche quelle di tipo maggiormente personale e segreto. Come la nozione secondo cui sarebbero in molti a porsi, nel corso dell’infanzia o dell’adolescenza, quella che potremmo forse definire la più basilare delle questioni filosofiche: che cosa rende il colore rosso (o blu, o giallo) per l’appunto, rosso, blu o giallo? E soprattutto quel che ne deriva, ovvero: se ogni persona identificasse ciascuna tonalità come una totalmente diversa, in che modo potremmo comprendere l’effettiva natura del fraintendimento? Giacché non c’è alcuna natura implicita o fondamentale del mondo fisico, che trovi una diversa tipologia di giustificazioni rispetto all’individuazione soggettiva delle “differenze”: l’Alfa, e al tempo stesso l’Omega, di ogni proposito descrittivo immanente.
Chi potrebbe mai affermare, ad esempio, che la piccola tarantola sudamericana della specie Typhochlaena seladonia, con le sue otto zampe affusolate e la coppia di lunghi pedipalpi, sia in qualsivoglia modo simile ad un qualsivoglia aracnide monocromatico, del tipo che vediamo normalmente incorniciato nella ragnatela… Lui/lei con le preziose sfumature azzurre, rosa e verdi metallizzate, le zampe di un violaceo intenso e le strisce giallastre trasversali sull’addome. Abbastanza da giustificare molte pagine e letterali fiumi d’inchiostro, per approfondire lo specifico percorso evolutivo della sua genìa, se non fosse per la natura geograficamente remota del suo habitat naturale: unicamente le zone più selvagge, e remote, dello stato brasiliano di Bahia presso le cime degli alberi più alti, dove è solito ricavare lo spazio semi-nascosto che utilizza per difendere se stesso, e se presente, la sua stessa prole. L’intero genus poco conosciuto dei Typhochlaena prevede infatti sia per il maschio che la femmina, lievemente più grande, un comportamento piuttosto insolito, secondo il quale la creatura ricava uno spazio concavo all’interno dei rami della pianta, per poi coprirne l’unico accesso con un tappo fatto di corteccia, muschio e altra materia vegetale. Facendo di queste insolite tarantole, non più lunghe di due o tre centimetri, l’equivalente arboreo del tipico ragno dalla porta a trappola, anche qui utilizzata con l’obiettivo addizionale di tendere agguati alle potenziali prede. Il ragno classificato per la prima volta dall’entomologo e naturalista tedesco Carl Ludwig Koch (1778-1857) non è infatti un tessitore particolarmente attivo, né a quanto ci è dato sapere un esperto predatore come il ragno lupo o altri membri della sua vasta famiglia, potendo affidarsi unicamente sull’effetto sorpresa e la ricca biodiversità del suo brulicante ambiente di provenienza. Né possiede alcun tipo di veleno clinicamente rilevante, all’interno delle sue zanne o nella fitta peluria che gli ricopre il corpo centrale e gli arti, soltanto lievemente urticante ai danni dei potenziali aggressori. Cionondimeno perfettamente in grado di proteggersi, grazie all’unione operativa tra la capacità di costruirsi una tana mimetica e la colorazione potenzialmente aposematica dell’ingegnosa livrea, il ragno gioiello è andato incontro negli ultimi anni a un ostacolo significativo per la sua continuativa sopravvivenza: l’eccessiva bellezza, tale da farne un ornamento particolarmente apprezzato in ogni tipo di terrario immaginabile all’interno della casa di un collezionista o appassionato di questo settore…

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Perché può essere un errore “Andare a cogliere le margherite” sul monte Kilimangiaro

La forma ampia e digradante come il cappello di un Dio addormentato. La sommità piatta, candida e coperta da nubi nebbiose; la più alta montagna dell’Africa, grazie al maggiore dei tre picchi che misura 5895 metri, costituisce uno dei punti più particolari dal punto di vista ecologico del suo intero continente. Suddivisa su diversi “strati” corrispondenti a biosfere chiaramente distinti, ciascuno dei quali può essere paragonato a scalini successivi di un sentiero che conduce al Paradiso. Tra i 1.800 e i 2.700 metri, la foresta pluviale “a galleria” con specie ad alto fusto affiancate da variopinte fioriture d’orchidee ed Impatiens, frequentata occasionalmente da specie animali della savana, anche piuttosto imponenti come i leoni. Sopra i 4.000, per lo più muschi e licheni, seguiti a 1.000 metri distanza dal più totale ed assoluto deserto alpino. Ma c’è una zona interstiziale, tra i 2.700 e i 4.000 dove le condizioni risultano da una tempesta perfetta tale da creare la ragionevole approssimazione di ciò che potremmo definire, volendo, un differente pianeta vegetale. É la zona della cosiddetta brughiera d’alta quota, un luogo in cui le temperature possono variare tra i 10 gradi diurni e scendere sensibilmente sotto lo zero dopo l’ora del tramonto, creando ciò che viene definito una sorta di ciclo stagionale a cadenza oraria: estate la mattina, inverno la sera. Per cui sarebbe lecito aspettarsi, coerentemente al tipo di vegetazione normalmente nota all’uomo, un’ambiente privo di arbusti degni di nota o altre entità vegetative degne di nota, il che in un primo momento di un’eventuale visita, potrebbe anche trovare l’apparente conferma visuale. Almeno finché, tra la densa foschia, non si scorgessero quegli alti coni verticali, vagamente simili a kebab svettanti per l’altezza di 10 metri, sormontati da una piccola corona di foglie verdastre. Pienamente degne di un’illustrazione per un libro di Isaac Asimov o Arthur C. Clarke, se non fosse per un piccolo dettaglio assolutamente degno di nota: la loro piena e assai tangibile esistenza.
Avete presente, a tal proposito, la comune erba da giardino del cosiddetto senecione? Un intero genere, collettivamente associato al cosiddetto vecchio-d’estate (S. vulgaris) per i fiori dai piccoli petali bianchi, la cui forma si avvicina per il resto alle più celebri appartenenti della sua famiglia delle Asteracee: le beneamate margherite primaverili. Se non che stravolto da una simile convergenza di fattori, il pacato fiorellino sembrerebbe aver subito la più insolita e inimmaginabile tra le mutazioni, assumendo una forma e proporzioni tali da riuscire a incutere un certo ed innegabile grado di soggezione. Ponendoci di fronte, con reazione alquanto impressionata, alla specie unica al mondo nota per l’appunto come Dendrosenecio kilimanjari, o senecio gigante tipico di questo monte, in cui il prefisso greco alla prima delle due parole allude per l’appunto ad un aspetto degno di essere notato: la presenza, contorta e nodosa, di un tronco. Non che tale parte vegetale, fatta eccezione nei casi più svettanti per la parte bassa, risulti eccessivamente visibile da lontano. Perché ricoperta da una fitta coltre di foglie morte di colore marrone scuro, usate dalla paianta come fossero una sorta di cappotto, al fine di proteggersi dal gelo. Una caratteristica che ritroviamo, in un notevole caso di convergenza evolutiva, nel grande numero di specie simili che si affollano, ciascuna in modo totalmente indipendente, sugli alti picchi montani disseminati attorno al grande specchio d’acqua del lago Kilimangiaro. E non tutte appartenenti, per inciso, alla stessa e già piuttosto variegata famiglia dei dendroseneci….

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L’eleganza che contraddistingue il pollo più socievole dell’Africa subsahariana

Con l’avvicinarsi del periodo festivo ed il bisogno percepito, sebbene un po’ smorzato dalle circostanze, di creare una scintilla estranea al quotidiano incedere dei giorni, aree del supermercato normalmente prive di attenzioni iniziano a venire saccheggiate dai più esperti cuochi casalinghi. Come quella delle carni più “pregiate” o che giustifichino in qualsivoglia modo un costo per l’acquisto ragionevolmente superiore, sinonimo per molti di accertata Qualità, indipendentemente da quale sia l’effettivo significato di una simile aleatoria idea. Ecco dunque comparire sulle tavole, con spezie, aromi, alloro e salvia quel particolare pollo dalla pelle scura, e un gusto intenso e ragionevolmente delizioso, che il senso comune ha scelto di chiamare per antonomasia la gallina faraona, proprio perché ritenuto provenire, erroneamente, dalla terra misteriosa di piramidi e sfingi. Eppure resta assai probabile che se il consumatore medio di una tale prelibatezza gastronomica, soltanto per un attimo, avesse modo di conoscere la naturale bellezza e il dignitoso contegno della bestia in questione, assai probabilmente ci penserebbe più di un attimo prima di sostenere il suo sfruttamento intensivo con finalità commerciali. Quelle che accomunano i numididi, maculati e striati galliformi africani imparentati alla lontana con le pernici, famiglia cui appartiene, tra gli altri, la crestata N. meleagris, ormai largamente allevata nell’intero territorio europeo. Con il rigido ornamento cranico che ci ricorda la maniera in cui gli uccelli siano non soltanto discendenti dei dinosauri, ma in effetti i dinosauri stessi trasferiti all’epoca dei nostri giorni, senza eccessivi compromessi in merito all’effetto programmatico dei loro tratti evolutivi più interessanti. E se ora vi dicessi che, lungo i secchi territori della savana etiope, kenyota e tanzaniana, si aggira una creatura che pur condividendo con la faraona alcuni aspetti e qualità cromatiche, assomiglia a una versione più feroce e minacciosa di quest’ultima, lunga 70-80 cm, dal peso di 2 Kg, con lungo collo d’airone oltre a un becco aguzzo che ricorda vagamente quello di un avvoltoio… E faraona vulturina è il suo nome comune proprio in forza di una simile associazione, benché il mondo scientifico abbia preferito inserirla entro il genere Acryllium, proprio a identificare il suo retaggio genetico significativamente diverso ed unico rispetto a quello dei suoi vicini tassonomici maggiormente acclarati. Con un associazione al gentil sesso e un ruolo stereotipato di chioccia materna tipico dell’intero ordine dei galliformi, benché nel caso specifico risulti essere piuttosto immeritato, data la poca propensione ad accudire i piccoli da parte di colei che li ha messi al mondo. Un compito gestito, in genere, dal suo consorte oltre all’opera comunitaria dello stormo, che può essere composto da una quantità di fino a 20-25 individui. Proprio in forza della loro propensione, assai caratteristica, a formare strutture sociali dall’elevato grado di complessità.
Giusto un anno fa veniva a tal proposito pubblicato, sulla rivista Current Biology, uno studio dell’Istituto Max Planck sul Comportamento Animale ed altre prestigiose istituzioni accademiche europee, relativo ad un’analisi più approfondita mediante il tracciamento GPS del particolare comportamento di questa faraona, la più imponente e distintiva rappresentante della sua intera categoria…

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