Fluttuando mentre volta la sua forma da un lato e dall’altro, l’essere eccezionalmente cupo muove in modo ritmico le pinne superiore ed inferiore, simili agli ornamenti di una danzatrice brasiliana. Mentre il suo bordo di un color giallo intenso, tocco di colore su di un fondo indefinito, appare e scompare in rapida alternanza. Il costume da chirottero e il trucco da clown, avete presente? Diffusa è l’interpretazione supereroistica secondo cui Batman e il Joker siano sempre stati, nella psicologica realtà dei fatti, due facce della stessa moneta. Altrettanto folli e disallineati, distanti dalla società che si realizza serenamente nel quotidiano, con l’unica (fondamentale) differenza di essere disposti a uccidere per i propri scopi, oppure no. Forse proprio perché privi, nel corso delle loro travagliate mitologie esistenziali, di un passaggio in cui al raggiungimento dell’età adulta si sono lasciati indietro ciò che “pensavano” di essere, continuando per tutta la vita ad inseguir quell’impossibile stile di vita, privo di assennata propensione ad operare entro gli schemi della ragionevolezza giudiziosa e prudente. In altri termini, né l’uno nell’altro ha avuto la possibilità di crescere con genitori in grado di affermare, con assoluta sicurezza: “É soltanto una fase, passerà crescendo”.
Eppur pensando in senso ittico al concetto di pesce-pipistrello, di per se stesso dotato di una simile fortuna dagli schemi continuativi dell’Universo, sarebbe stato ancor più bello poter evocare una singola tipologia di esseri pinnuti del profondo; mentre caso vuole che una tale analogia, in se stessa tanto descrittiva ed affascinante, debba corrispondere ad almeno due categorie totalmente distinte. La prima, piuttosto famosa, del genere mimetizzato dei fondali che abita l’ambiente delle isole Galapagos, col nome scientifico di Ogcocephalus, l’espressione corrucciata e le grosse labbra rossastre. E la seconda mai altrettanto discussa, proprio perché così falsamente “ordinaria” nel suo aspetto adulto: sto parlando della famiglia degli Ephippidae, comunemente detti anche pesci forcella o in lingua inglese, spade fish (p. pala). Creature dalla forma triangolare con il corpo piatto in senso verticale, la bocca preminente dai denti affilati per mangiare piccoli crostacei e molluschi, nonché brucare le alghe che crescono sulle barriere coralline dell’Oceano Pacifico orientale. In grado di raggiungere con l’età adulta la considerevole dimensione di 45-50 cm, sebbene resa meno impressionante da una colorazione grigiastra o argento spento, con appena qualche riga colorata in corrispondenza degli occhi, finalizzata a mantenere un certo grado di mimetismo. Ciò che da lungo tempo ipnotizza e cattura l’attenzione dei sommozzatori, per non parlar di quella dei collezionisti d’acquario, è invece l’aspetto sub-adulto di queste creature, per tutto il periodo in cui la natura e l’evoluzione le ha dotate dei più validi strumenti atti a incrementare i propositi di mimetismo. Ovvero la capacità di sembrare, a seconda dei casi, qualcosa d’inutile, qualcosa di spiacevole, oppure qualcosa di attivamente pericoloso…
evoluzione
L’alato draghetto che dardeggia tra gli alberi della foresta asiatica meridionale
E quando l’uomo raggiunse l’assoluto predominio della terra, del mare, delle montagne, delle valli, dei fiumi e le pianure, si fermò per qualche generazione; egli ancora non era pronto, semplicemente, a rivolgere il suo sguardo verso il cielo. Così mentre la marcia dell’evoluzione (tecnologica) continuava la sua inarrestabile corsa, palloni aerostatici iniziarono a sollevarsi, quindi ali si spiegarono dai fianchi di scintillanti aerei, liberandosi dall’insistente tirannia del proprio peso gravitazionale ereditato. Perché quanto segue è quello che riesce a renderci, nell’opinione delle moltitudini, in qualche maniera “speciali”: la capacità di realizzare quanto ci sembra possibile, soltanto dal punto di vista teorico, verso l’ottenimento di uno stato o condizione che siano degni di essere considerati Migliori. Ma stiamo davvero parlando, in tali prototipiche circostanze, di una caratteristica dei soli ominidi discesi dalle scimmie dei primordi naturali? Poiché se il succedersi delle generazioni progressive ci ha donato, con notevole vantaggio, di un cervello tanto complesso e sofisticato, ancor più diretto verso il cielo quel processo è risultato per una particolare sottofamiglia delle lucertole agamidi, che includono per fare qualche esempio quella barbuta (pogona) il drago d’acqua cinese (P. cocincinus) e il compatto acantinuro dei deserti africani (Uromastyx a.). E poi ci sono loro, le Draconinae dotate di ali e addirittura una pinna di stabilizzazione collocata in corrispondenza della gola, che possono aprire o chiudere a comando neanche fossero una sorta di aeroplano a geometria variabile. Circa 40 specie differenti, benché alcune molto più comuni di altre e dotate di una serie di elementi e caratteristiche, che potremmo facilmente ritrovare disperse tra le sommità degli alberi dell’India, le Filippine e l’intero Sud-Est Asiatico. O ancor più facilmente, individuarle mentre balzano, come costituisce loro primaria prerogativa, dai rami protesi tra l’uno e l’altro, avendo cura di ricordare al mondo come il pavimento possa veramente essere lava, quando sei un rettile delle lunghezza di 20 cm circa che vive in un ambiente pieno di agguerriti e famelici predatori. Così che, per queste piccole e colorate creature, esistono soltanto due modalità: l’attività frenetica che le prepara al coraggioso balzo nell’infinito, o un assoluto stato d’immobilità mimetica, facendo affidamento sulla propria livrea generalmente specializzata nel ricordare la corteccia di particolari tipologie d’arbusti. Vedi il caso della Draco dussumieri della parte meridionale dell’India, che resta prevalentemente immobile per buona parte della sua giornata, facendo affidamento sul reiterato e prevedibile passaggio di letterali schiere di formiche arboricole, che divora con trasporto risucchiandole dentro la bocca dotata di denti piccoli e aguzzi, concepiti unicamente come ultimo strumento d’autodifesa. Almeno finché il suo cervello di rettile, per una serie di circostanze non sempre apparenti, non segnali che è giunto il momento di raggiungere un differente angolo del proprio territorio, portando allo spettacolare dispiegamento del patagium disteso tra costole specializzate, la membrana di pelle che permette all’animale di staccare tutte e quattro le zampe dal terreno solido, planando via verso destinazioni, anche piuttosto lontane: fino a 10 metri di distanza, in circostanze convenzionali, benché si abbiano notizia di lucertole che si sono dimostrate in grado di percorrere volando uno spazio anche tre volte superiore, grazie alla loro leggerezza inerente e la capacità di generare un elevato grado di portanza. Benché gli etologi sembrino dissentire, sostanzialmente, sul perché una simile situazione abbia avuto il modo e la ragione di verificarsi…
L’ornato cimiero che campeggia sulla testa del pollo-piccione
Un solo suono che risuona, particolarmente nei mesi della primavera, sulle verdeggianti terre della seconda isola più grande al mondo: come l’intensa vibrazione aerea, della corda di un bassista senza forma fisica visibile tra gli acquitrini ai margini della foresta. Intensa e reiterata, naturalmente misteriosa per l’orecchio degli umani. Ma non quello, assai più esperto, della femmina in attesa; dondolando, sulle lunghe zampe decorate con un disegno a macchie, l’occhio rosso cerchiato di nero e fisso verso la radura, ecco che si allargano le ali di colore marrone. Mentre sulla testa, si ergono le piume prelevate in apparenza dalla coda di un pavone: è una Goura victoria, splendido uccello crestato della Nuova Guinea. L’affascinante perlustratore di un ambiente tanto eccezionale da sembrare quasi alieno. Eppure ragionevolmente familiare, in apparenza. Soprattutto per colui che si trovasse ad identificarla, da lontano, senza un senso chiaro di quei 70 cm di lunghezza ed i 2,1 Kg di peso, pensando che tutto sommato non sia poi tanto diversa dal comune piccione delle piazze cittadine europee. Benché sia ragionevole affermare che dal punto di vista delle dimensioni stia ad esso, in proporzione, come un tacchino americano al familiare pollo della fattoria.
Come potrà emergere da un rapido approfondimento, tuttavia, capiremo presto di trovarci innanzi a una creatura dalle abitudini ecologiche e comportamento nettamente distinte, la cui metodologia di cantare all’alba e poi mettersi alla ricerca del cibo preferito, che include frutta caduta, semi, vermi e lumache, assomiglia nettamente al tipico uccello razzolatore del sottobosco europeo. Inclusa l’abitudine di ritirarsi con l’intero gruppo di circa 5 o 6 esemplari, al sopraggiungere del vespro, sugli alti rami usati per sfuggire all’attenzione dei predatori. Il che del resto non è mai stato abbastanza per proteggersi dalla spietata caccia, per le carni e la bellezza delle sue piume, messa in atto attraverso i secoli dalle popolazioni locali. Nonché la cattura frequente per zoo, collezioni private e voliere, dove generalmente non riesce a riprodursi in modo particolarmente efficiente, causa le caratteristiche particolari della sua biologia. Tra cui soprattutto la necessità, comune al tipico colombo occidentale, di nutrire i propri piccoli con la particolare secrezione prodotta nel suo gozzo, comunemente detta il latte di piccione. Le cui doti antiossidanti e benefiche per il sistema immunitario dei pulcini possono soltanto derivare da un particolare equilibrio dell’alimentazione, difficile da riprodurre in cattività. Un ulteriore grado di complessità, per preservare la continuità genetica di questo animale progressivamente più raro e prezioso…
Il topo che ottiene il suo potere dall’albero della morte africano
Quando al termine dell’anno 2007 in Kenya venne dichiarato il risultato delle presidenziali, che vide la problematica ed inaspettata riconferma di Mwai Kibaki, nel paese si aprì una crisi destinata a sfociare ben presto nella violenza. Le critiche e i sospetti del Movimento Democratico Arancione, ascoltate da diversi gruppi politici, tribali e terroristici del tormentato paese, furono quindi il segnale che avrebbe dato inizio a violenti disordini civili. Durante i quali, a causa della difficoltà di reperire armi da fuoco in Africa Orientale, le antiche culture locali sfoderarono uno strumento ormai dimenticato da tempo: il cardenolide, un potente veleno contenuto all’interno dell’albero Acokanthera schimperi, comunemente detto in lingua inglese il poison arrow tree. Migliaia di punte sibilanti, accompagnate da altrettante asticelle piumate, iniziarono così a sibilare da un lato all’altro della Rift Valley, assolvendo perfettamente la compito per cui erano state create: indurre un’incremento drammatico dei battiti cardiaci di chiunque venisse anche soltanto superficialmente ferito. Con conseguente, irrimediabile e immediata dipartita dal mondo dei viventi. Nell’intero mondo vegetale non esistono, d’altronde, molte altre sostanze che si siano evolute con la specifica funzione di riuscire a dissuadere un elefante. E di cui soltanto pochissimi milligrammi, una volta entrati in circolo, possono assicurare la morte di un essere umano adulto. I gruppi armati dei Kalenjin, Mungiki, Chinkororo e Mulungunipa, tuttavia, non erano i soli a conoscere un simile segreto potenzialmente letale per i loro nemici. Lungamente noto a una creatura assai più piccola, ma non meno letale, che si aggira di notte nel sottosuolo della foresta, il Lophiomys imhausi.
Potrebbe sembrare, in un primo momento, nient’alto che una puzzola striata (Ictonyx striatus) data la colorazione bianca e nera, la coda folta e le movenze inarcate del corpo grande approssimativamente quanto un coniglio. Creatura di per se abbastanza maleodorante, ed universalmente temuta, da poter osare di sottrarre il cibo sotto il naso dei leoni. Una chiara soluzione aposematica, benché il destino dei grandi felini eccessivamente aggressivi, ineluttabilmente, risulterebbe ancor più drammatico nel caso del cosiddetto topo crestato. Un singolare rappresentante, a seconda della scuola tassonomica, della famiglia dei muridi o cricetidi, che l’evoluzione ha preparato ad un mezzo di difesa tanto orribile quanto singolare: mordicchiare le foglie e i rami del fatale albero Acokanthera, per poi provvedere a cospargersi i fianchi della sua linfa scaturita dall’inferno verde di epoche preistoriche dimenticate. Un approccio all’autodifesa per il quale il roditore dalla lunghezza approssimativa di 50 cm risulta perfettamente attrezzato, vista il modo in cui nasconde, sotto la propria impressionante criniera erettile, alcuni peli specializzati dalla consistenza spugnosa, in grado di restare imbevuti maggiormente a lungo del veleno cardiaco misto alla saliva dell’animale. Nei confronti del quale il topo riesce invece ad essere, di contro, prevedibilmente immune ad ogni tipo di effetto. Ragion per cui risulta comprensibile il fatto che, fino a novembre del 2020, nessuno avesse osato avvicinarsi abbastanza a queste creature nel loro ambiente naturale, da poter approfondire la loro struttura sociale ed abitudini ereditarie. Almeno fino al coraggioso studio scientifico, pubblicato sul Journal of Mammalogy da un gruppo di studiosi guidati dalla biologa dell’Unversità dello Utah, Sara Weinstein…