L’Australia invasa dagli uccelli che odiano le biciclette

Australian Magpie

E invece amano i cani. Settembre-Novembre, dolce primavera. Germogliano sui rami, le future sagome dei fiori. Crescono piante da ogni dove, addirittura sopra i caschi dei ciclisti, d’Oceania. È una contromisura. Primavera, tempo di far spazio per la prole: e un po’ ovunque in giro per le strade cittadine, ma soprattutto presso le ciclabili chissà-poi-perché, compaiono dei nidi esposti in bella vista sopra le biforcazioni degli arbusti, con 2-5 uova bluastre, ovali, dal diametro massimo di 28 mm. Chi le ha può averle costruite, dico io, se non Cracticus tibicen, la gazza australiana! Che non è propriamente una gazza in senso europeo, ovvero il parente prossimo del corvo. Era normale infatti, durante l’epoca delle colonizzazioni, assegnare i nomi agli animali sulla base della somiglianza. E indubbiamente questo uccello, lungo intorno ai 40 cm, con la sua colorazione bianca e nera, le lunghe zampe e il verso modulato, poteva ricordare da vicino la famosa ladra addomesticata dell’opera di Rossini, benché molto più prolifica e presente. Ma siamo di fronte a tutta un’altra cosa. Che si riproduce in forma di piccoli pulcini rosa, non come quell’altra, attraverso graziosi batuffoli nerastri già formati. E lo fa di continuo, di continuo, esattamente come gli altri 22 membri della famiglia degli Artamidae, o passeriformi australiani. Nessuno intelligente, adorabile, e malefico quanto lo è lei.
Guardate, per comparazione. la povera Amber di Amber and Billo’s, un programma radiofonico d’intrattenimento, mentre si ritrova qui a gestire quel particolare comportamento della volatrice australiana, estremamente aggressivo, che gli etologi definiscono swooping. Lei percorre pedalando, in preda alla paura, il solito tragitto casa-lavoro. Già preoccupata, perché ben conosce ciò che sta per accadere. Le gran signore pennute di quei luoghi sono abituate, ormai da tempo, alla presenza degli umani. In ogni bbipede manifestazione, tranne una: la bicicletta. Questi uccelli, già marcatamente territoriali come propensione, nella stagione in cui depongono le uova si trasformano in feroci guardiani della loro casa, pronti a difenderla sulla punta dell’ultimo becco. E proprio questo fanno, ripetutamente, ogni qualvolta si avvicina un presunto nemico, sferragliante, con manubrio e con sellino, l’ibrido tra due ruote, due gambe ed una testa. Soprattutto questo, la dannata testa. Del malcapitato di turno, sopra cui la gazza piomba come un falco della notte. Ci sono diversi gradi d’intensità. Dapprima l’uccello si limita a volare tutto attorno, gracchiando la sua furia preventiva. Quindi inizierà a colpire con il petto il retro del casco, facendo schioccare minacciosamente il becco. A quel punto, se l’intruso non si è ancora allontanato a sufficienza, inizierà a colpire.

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L’orbita bovina di una macchina da latte

Mucche rotanti

“Eppur si muove, Galileo” La mucca, intorno al Sole. Viceversa che… Una miriade, l’infinito letterale, ovvero la quantità di atomi viaggianti attorno al mozzo di una ruota; ciascuno bianco, oppure nero. E a macchie, di pelo nel pensiero di una bestia che ricorda il tempo delle pere. In mezzo al prato? Sopra i pascoli montani? Anche, talvolta. Però questa, adesso, è diventata la sua vita: fare da dente a un ingranaggio enorme, fuori dall’(in)umana comprensione. Uguale alla molecola, uguale alla conchiglia, persino al vortice dell’Universo. Concepito per macchiare la tazzina di caffé di tutti quanti, e anche il ceruleo cielo di un calorico avvenire, fatto con i dolci, la panna e il siero sentimento dello yoghurt semi-liquido che gli slavi chiamano kefir. Nulla di tutto questo, avremmo mai, altrimenti. Neanche l’ultima delle perdute briciole, potrebbe mai graziare i nostri piatti e bicchierini, senza l’operoso e involontario sforzo collettivo dei bovini. Sempre siano ringraziati. Quanto eternamente, poco ma sicuro, preservati.
Etologi allarmisti, giorno dopo giorno, si risvegliano pensando ad un futuro di drammatici frangenti, ove si estinguessero, volesse il Fato, esseri di poco conto quali la zanzara tigre. Terribile sciagura! Pensa, persona pizzicata in bilico tra strascichi d’estate e cupo autunno, che non soltanto tale improvvido visitatore sugge, crudelmente, il fluido rosso che ti scorre nelle vene. Nossignore! Ella, la femmina dello zanzaro (che a mò di leone, più che altro, dorme tutto il dì e la notte ancora) svolge una funzione d’ecologico sostentamento. Senza le sue larve, cosa mangerebbero i ranocchi, i rospi gli scorpioni d’acqua? E se lei smettesse di riempire i cieli della Terra, sarebbe la fine dei graziosi passeri, libellule, gufetti e spaventose dobsonflies. Natura vuole, che tutto quel che consuma, in qualche modo, presto oppure tardi, nutra, a sua volta, l’affamata rimanenza dei camminatori, strisciatori e volatori e nuotatori e…Però tanto maggiormente una creatura, la sua genìa, risulta essere integrata con la vita degli umani, meno è probabile, tale evenienza.
Perché acquisisce un posto nella società civile, anche se simile, di certo, a quello degli schiavi di una classica ed antica rimembranza. Immaginate la conquista di Cartagine, quelle alte mura devastate dai Romani. E il sale gettato, a profusione, sopra i campi già anneriti dalle fiamme della guerra. E i contadini catturati, con collari e inespugnabili catene, e i loro polli trucidati, perché ormai facevano buon brodo. Di certo, quel dì, un intero popolo rischiò di estinguersi, per lo sdegno represso di generazioni e l’odio di spietati legionari. Eppure, se così fosse davvero stato, come sarebbero mai nate tante strade consolari, i magnifici acquedotti e le perdute stalle dei lunati buoi? Quando mai sarebbe a tale punto progredita, oltre i limiti della sua epoca, una civiltà che ancora ci offre valide lezioni e spunti meritevoli di “cose da evitare” oppure, “come prosperare, nonostante tutto”.
Riduzione di esistenze a parte involontaria di un grandioso insieme: questo sacrifizio imperdonabile. L’enormità spasmodica dei tempi senza tempo. Eppure in nessun caso, mai e poi potresti definirla: iNUTILE.

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Tre civette sul GoPro, ne sentivano l’odore

Civette GoPro

Gli occhi degli uccelli Strigidi sono così grandi e gialli, che ricordano dei fari. E hanno uno sguardo tanto attento da riflettere l’eternità. Non regalatemi, a Natale, una telecamerina indistruttibile! Tanto non la monterei sul casco, prima di lanciarmi col paracadute. Non l’aggancerei sopra il manubrio della bici, per dimostrarvi come vado bene, su e giù per i dirupi frastagliati. E di sicuro non la metterei sopra la prua di un piccolo natante, lanciato a 120 giù per l’Orinoko, fra rapide, pirañhas, orsi e l’uomo delle nevi. La porterei, piuttosto, in mezzo al bosco. E ce la lascerei…Due, tre, otto giorni? C’è un intero piccolo popolo, da quelle parti, che merita di essere elevato dalle tenebre, a lui care. Affinché possa, comparendo sopra i nostri schermi, salvare il prossimo futuro delle fronde di foreste, tristemente condannate alla disboscazione. Ma chi potrebbe mai abbatterlo, un albero con abitanti come questi, che si chiamano in inglese little owl, poi perché?
Nel continente, non facciam di tutta l’erba un fascio. Gli anglofoni dicono sempre “gufo”, grande, medio oppure piccolo, forse per analogia con Harry Potter, chi lo sa. Pensa, oh grande barbagianni (Tyto alba) che un contadino costruisce il magazzino con lo stesso legno dei tuoi cari alberi silvani, tagliato a pezzi, levigato e poi riempito di pagliuzze adatte per il nido. Strani-umani. E che a te ti chiamano, in inglese: gufo dei granai (barn owl). Mentre ricordati, civetta piccolina, dell’epoca in cui eri un simbolo della suprema nobiltà. Come sanno gli etologi tassonomisti, che lietamente ti riconoscono un intero genere e una specie, quella dell’Athene noctua, sacra alla saggezza e alla sua dea. Se questi uccellini, ancora giovani, siano destinati ad acquisire olimpiche nozioni, questo non è pienamente chiaro. Forse mai conosceranno neanche l’arci-nota figlia del dottore! Ma già denunciano con l’esistenza, la presenza e la pazienza, la bellezza delle cose naturali.
È un’idea, in effetti, veramente interessante. Una ripresa tanto da vicino di un intero nido di civette non è facile da realizzare. Fino a tecnologie assai recenti, l’unico modo era appostarsi nei pressi, con un teleobiettivo ultra-potente, per ore o addirittura giorni. E forse neanche allora, dopo tanta fatica, l’intera nidiata si sarebbe messa in mostra con un simile entusiasmo. Mentre un oggetto di 4 mm x 6, incluso l’involucro impermeabile, può essere lasciato lì vicino, in tempi non sospetti. Ben sapendo come, presto o tardi, la luce fosse destinata a renderlo brillante, sfavillante, barbagliante. Suscitando la curiosità di tanti e tali occhietti gialli…

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Sanguisuga Succhiatrice Vs. Verme Vagabondo

Sanguisuga rossa gigante

Ah, si. La sanguisuga rossa gigante del monte Kinabalu. Tutti ne parlano, nessuno l’ha mai vista. Dove vive la sanguisuga rossa gigante del monte Kinabalu? Ma non è ovvio…Presso le pendici rocciose del sentiero Mempening, sul più alto massiccio dello stato di Sabah, tra i 2500 e 3000 metri dal livello del mare, dove scava qualche piccola buchetta nel profondo humus dell’ombroso sottobosco. Resta giorni, settimane o mesi lì, dormiente. Finché non cambia la direzione delle correnti aeree del pianeta Terra, per l’effetto del monsone, causando piogge, piogge a profusione. Quasi che l’Oceano Indiano stesso, all’improvviso, avesse scelto di riprendersi le compiante terre emerse! Siamo in Borneo, dopotutto. E allora scorre, a fiumiciattoli e torrenti, l’acqua dalla cima più alta di quell’alto rilievo, detta Low (che vuol dire basso, a ma sarà una coincidenza). E bagna i fusti delle piante carnivore Nepenthes, tazze della perdizione. E interrompe i voli di perlustrazione delle aquile serpente. E scaccia via la donnola malese. E invade, soprattutto, la sala principale di una mistica caverna, detta Paka, che si trova, guarda caso, sul sentiero Mepening, nello stato di Sabah, verso i 3000 metri di quel monte Kinabalu (dove vivono le sanguisughe rosse) giusto a pochi passi da…
Ci sono due tipi di esistenze, a questo mondo: con-una-sola-bocca, oppure-due. La tipica sanguisuga ematofaga, che ha ben poco a che vedere con il mostruoso predatore in oggetto al video, ha due aperture, entrambe utili a succhiare. Una volta saldamente assicurata, per i denti acuminati della prima, alla vostra caviglia o all’avambraccio pieno di entusiasmo, presto o tardi, cautamente, si attaccherà anche all’altra estremità. Per assimilare, come una zanzara, anzi ancora più spietata, il doppio dei fluidi, in metà del tempo. Estremamente conveniente! Anche alcune caverne, dal canto loro, dispongono di meccanismi come questo. Così l’acqua, quando piove, entra da una parte e dopo scorre via. Non si allaga nulla, niente fugge per diffondersi nel mondo, impreparato. Ma la caverna Paka del monte Kinabalu, ha-una-sola-bocca, ahimé. E una volta piena, inizia a vomitare, acqua, acqua, e una quantità incommensurabile di vermi…

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