Cose da sapere prima di toccare il cane-papera australiano

Platypus

Certo non è altamente probabile che voi abbiate già programmato, in questo specifico momento, di partire per lo stato sud-orientale dell’Australia, Victoria, al fine di recarvi presso lo zoo-santuario di Healesville, l’unico luogo al mondo dove sia permesso al pubblico di accarezzare e coccolare questo graziosissimo animale. Del resto tutto è possibile, chissà. E poi, l’ornitorinco dal becco d’anatra, così chiamato per distinguerlo da un suo antenato che l’aveva più sottile, non è propriamente una creatura rara. Benché schiva, e abile a nascondersi nel suo naturale habitat di fiume. Cosa estremamente comprensibile, quando si considera che i predatori a cui deve sfuggire includono serpenti, topi d’acqua, piccoli varani, aquile, falchi e gufi. Mentre lui è dopo tutto, nonostante le apparenze, un piccolo mammifero che mangia soprattutto vermi. Che cosa potrebbe mai riuscire a fare, per difendersi? Beh, tanto per cominciare…Può ricorrere al veleno. L’incontro con un Ornithorhynchus anatinus è del tipo che può rimanere MOLTO impresso nella mente. A causa dei due speroni calcarei, nascosti presso l’articolazione delle sue zampe posteriori, in grado di secernere la speciale sostanza che interagisce direttamente con i recettori del dolore della vittima, causando una sofferenza che neanche la scienza medica può mitigare. Il veleno in questione non attacca i nervi, non addensa il sangue e non è tale da mettere (generalmente) in pericolo un essere umano adulto, ma nella peggiore delle ipotesi, ci si può ritrovare a soffrire gravemente per settimane o mesi. Fa tanto più impressione, dunque, osservare questo attimo di tenerezza condiviso fra l’ospite più rinomato della prestigiosa istituzione e una persona che, a giudicare dalla breve descrizione del video, si trovava lì nel corso di una visita turistica della regione. Ovvero in parole povere, non lavorava lì. Com’è possibile? Qualcuno ipotizza, nei commenti, che l’animale potesse essere “stato operato” quando in realtà non esiste nessun tipo d’intervento che possa privare questo piccolo armigero delle sue fiocine incorporate. Quindi, per fortuna, non è così.
Si tratta di un mistero, tuttavia, davvero semplice da chiarire: sia i maschi che le femmine hanno gli speroni. Ma soltanto i primi, per ragioni largamente ignote, dispongono della capacità di usarli assieme col veleno. E del resto anche loro, perché mai dovrebbero, vista la vita pacifica che conducono fra queste mura! Cibo gratis tutti i giorni, gente sempre nuova da conoscere, nessun tipo di mancanza; tranne, ovviamente, quella fondamentale della libertà. Non credo, del resto, che la controparte tangibile del Pokémon Psyduck, meno il colore giallo ed i poteri mentali telecinetici, abbia la stessa notevole capacità d’introspezione. Perché in realtà, è inutile tentare di negarlo, come potrebbe averne mai bisogno….Quando ha già, praticamente, TUTTO il resto: il becco simile a quello degli uccelli anseriformi (quack, quack) il pelo impermeabile della lontra, la coda in grado d’immagazzinare il grasso nello stesso modo del castoro e delle zampe che sono dotate, in contemporanea, di artigli e strutture palmate, per muoversi quasi altrettanto bene in acqua e sul terreno del selvaggio sottobosco. Cosa che l’animale fa più raramente, benché la sua natura spiccatamente territoriale, unita al bisogno di nutrirsi di continuo, lo portino talvolta a vagheggiare. E non siamo ancora giunti alla caratteristica più singolare: l’ornitorinco può percepire l’elettricità, non importa quanto fioca e distante. Questo grazie proprio alla caratteristica dominante della sua fisionomia, quel becco morbido che in realtà non potrebbe essere più differente da ciò a cui assomiglia tanto da vicino. È una dote condivisa, questa, con l’intero genere dei Monotremi, mammiferi primitivi di cui sopravvivono a questo mondo unicamente quattro specie; tre delle quali, sono echidne. Mentre l’altra, eccola qui.
Così, passando da queste parti, considerate in primo luogo di trovarvi all’essere più prossimo al concetto medievaleggiante di chimera, quindi confermate che sia appartenente al sesso femminile. In una situazione simile, immagino che dovrete fidarvi! Fatto questo, siete pronti a dargli da mangiare con le vostre stesse mani. Conoscere la parte residua della storia è più che mai facoltativo, superfluo, distraente. Eppure, così dannatamente interessante….

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Una salamandra che può uccidere col suo sudore

California Newt

C’è una leggenda metropolitana, diffusa in una buona parte del mondo occidentale, secondo cui tra i ristoranti di Tokyo dovrebbe vigere una strana regola non scritta. Che imporrebbe agli chef, nel caso in cui qualcuno sia tanto coraggioso da chiederlo, di servire senza un attimo di esitazione uno dei piatti più pericolosi al mondo: il fegato crudo del pesce fugu, un organo all’interno del quale alberga la terribile tetrodotossina. Un veleno letale e per il quale non esiste antidoto a questo mondo. Ora, se i responsabili dell’istituzione gastronomica dovessero rifiutarsi, perché privi del know-how necessario a tagliare via la parte mortifera dell’amarissimo boccone, oppure per il semplice fatto che magari, qualcuno il fegato se l’era già mangiato quella sera e non ne rimaneva più, l’onore degli antenati avrebbe imposto loro di chiudere seduta stante, commettendo una sorta di suicidio professionale che in qualche maniera si richiama a quello degli antichi ninja e samurai. Si, certo, come no! Se così fosse, basterebbe la figura un professionista del pericolo e del coltello da sushi per far sparire la concorrenza culinaria da un intero quartiere, sfidando i ristoranti rivali a destra e a manca… *Ottima idea per un manga! Questo tipo di storie, da un lato all’altro dei continenti, è sempre così: illogico e parzialmente legato dal mondo reale, semplicemente perché governato dall’universale legge della rule of cool (ciò che è incredibile, attira sempre maggiormente l’attenzione!) Ma ne sono di ogni tipo. Ed alcune, in modo alquanto improbabile, corrispondono persino a verità. Così.
È una di quelle notizie che Internet riporta senza data, nomi e contesto geografico preciso. Senza citare le fonti, la casistica, l’analisi scientifica dell’incidente. Viene indicato unicamente lo stato, la California. In un punto imprecisato della quale, quel fatidico giorno, si trovavano tre cacciatori intenti a battere l’oscuro sottobosco. Finché, dopo un’intera nottata trascorsa in tenda vicino ad un ruscello, svegliato dal canto degli uccelli mattutini, uno di loro non si alzò per andare al centro dell’accampamento ed accendere il fornello a gas. Con lo scopo di… Riscaldare il caffè, ovviamente. La bevanda perfetta per dare il via ad un’ottima giornata di escursioni, anche se la Moka latita, ovviamente. Del resto, siamo negli Stati Uniti. Ma c’è piuttosto una specie di teiera in pirex, il cui coperchio, guarda caso, qualcuno aveva lasciato semi-aperto. Poco male. Passano i minuti. Lui che mette il recipiente sopra il fuoco. E i due amici che si svegliano per il gradito aroma, già pregustando l’anatra, il tacchino, il cervo che avrebbero colpito con i loro pallettoni, si spera, prima di del momento di tornare a casa. Si parla del più. Si parla del meno. Si versa un po’ della scura sostanza per ciascuna singola tazzina, rigorosamente senza svuotare del tutto le riserve, perché un’altra pausa, verso la metà del pomeriggio, chissà! Ci può anche stare. Così i tre uomini bevono. Rivingoriti, si alzano dalla radura. E poco prima di aver fatto due o tre passi, senza un solo gemito, cadono rovinosamente a terra. Costoro sono già morti.
Soltanto dopo qualche giorno, denunciata la scomparsa dai rispettivi familiari, la polizia sopraggiunge sulla scena e li ritrova ancora lì, senza una ragione chiara della sopraggiunta dipartita. Iniziano le indagini. Non ci sono segni di conflitto, né una ragione logica per quello che deve essere per forza stato un avvelenamento. Se non fosse impossibile, esclama qualcuno, penserei al monossido di carbonio! Si analizza il cibo. Si stila un elenco dei vegetali locali potenzialmente nocivi. Tra le altre cose, si preleva ovviamente il caffé, con lo scopo di sottoporlo ad un’analisi più approfondita. Ma non appena l’agente versa il contenuto del thermos in un barattolo più appropriato per il trasporto, sotto i suoi occhi si palesa la più strana verità: perché lì dentro, semi-nascosta dal fluido nerastro, era rannicchiata una lucertola dormiente. Anzi, più che una lucertola, una salamandra. O per meglio dire, un tritone. Che una volta messo sopra il fuoco, suo malgrado, si era cotto a puntino. Ma non prima di aver fatto la sua COSA…
Bestie di palude, creature leggendarie, dalla capacità d’imprimersi nella memoria generando incubi nei cuori e nelle menti pavide delle persone. Come un mostro famelico, per una metà batrace e per l’altra bovino, che in qualche maniera sopravvive imponendo sullo stagno il suo crudele regno di terrore. La temuta rana toro. Chi sfiderà questa creatura? Quale coraggioso abitante tenterà d’imporre la giustizia sul tiranno dalla pelle umida e bitorzoluta? È una storia ricca di spunti e implicazioni, questa, che trascende in qualche modo la semplice occorrenza degli eventi. E unisce con un filo lungo ma ben solido, il pesce giapponese, ed il tritone californiano, la cui specie (Taricha torosa) è nota per la stretta comunione simbiotica che vive con una particolare classe di batteri. Sostentati dal suo stesso organismo, e che in cambio secernono a richiesta dalla loro pelle una quantità copiosa di quella stessa mortifera sostanza, una tossina in grado di assalire i nervi stessi di qualunque essere vivente. Tetrodotossina: molte centinaia di volte più letale del cianuro. Chi l’avrebbe mai detto, di trovarla nella stessa frase di una bestia tanto piccola e graziosa…

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L’uccellino che sfugge alla risacca per sfidare il mare

Sanderling

Accelerate nell’universale ciclotrone dei campi magnetici terrestri, le particelle piumate sfrecciano dai loro nidi fino ai limiti del mondo. Nessuno sa davvero, perché. Mescolandosi nell’aere, sopra e sotto la presenza delle nubi, squillano d’aspettativa verso il segno di una meta poco chiara. Le regioni artiche dell’ora dell’accoppiamento, ormai un ricordo assai lontano. È quasi inverno, si ripetono tra loro. Finché allo scoccar dell’equinozio nella loro mente, dopo giorni o settimane di volo, essi non “percepiscono” di essere arrivati, calando lievi fino al suolo. Cosa sono in fondo 10.000, 15.000 Km, per un vero uccello migratore? Ed è con tale consapevolezza, che essi iniziano la vera danza. Il piovanello all’opera non può che costituire una scena estremamente buffa: ecco un tenero, tondeggiante passerotto dalla lunghezza di 20 cm, che invece di attendere le nostre briciole, si avventura fin sul bagnasciuga di una spiaggia. Quindi inizia, col suo becco corto ma affilato, a cercare. Piccoli granchi, le loro uova, gli altri invertebrati; ma per farlo nella maniera corretta, esso non può attendere la bassa marea. Perché in quel caso, le sue prede non tarderebbero a nascondersi in profondità, sfuggendo alla questa fame di chi viene da lontano. Laddove invece le creature stesse di un simile fugace habitat, ogni qual volta l’acqua giunge fino al punto superiore delle rispettive piccole buchette, non possono far altro che far sporgere la loro testa di crostacei. Nella speranza di ricevere, anche loro, il dono di un gradito pasto mattutino.
E trae in inganno, certamente. Perché simili palle di candide piume, che si affollano in grandiosi stormi di passaggio in ogni regione del mondo (neanche l’Africa ed il Sudamerica sono esonerati dalla loro presenza transitoria) sembrano cucciolotti timorosi di un qualsiasi influsso incontrollato. Mentre si appropinquano con quell’andatura fluida e simile a una pedalata al terreno di caccia, cento, duecento volte ogni giro dell’ora, per il semplice fatto che le ondate non si fermano. E insistentemente, minacciano di inumidire quei piedini con tre artigli ben proporzionati. Ma basta vedere, per un attimo, uno di loro che apre le sue ali, dall’apertura notevole di 43 cm, per comprendere che questi qui sono dei grandi volatori. Veri e propri albatross delle geografiche circostanze, in grado di sorpassare il viaggio dei più grandi esploratori della nostra storia di umani.
Il Calidris Alba in particolare, la specie mostrata in questo video girato presso la laguna di Cap-Pele in New Brunswick, Canada, è riconoscibile dal piumaggio estremamente candido tranne che per una macchia scura in corrispondenza delle ali. In estate, l’uccello si colora di una macchia rossa sotto la gola, che potrebbe avere la finalità di assisterlo nell’attirare la compagna. Da piccolo, invece, presenta dei contrasti più netti, con il bianco e nero che si rincorrono in ogni sezione delle sue graziose piume. Ma una simile livrea, naturalmente, non poteva permanere fino all’epoca del viaggio, quando avrebbe irrimediabilmente costituito il perfetto richiamo visuale per la fame di un qualsiasi predatore, sempre in agguato sul corridoio aereo che conduce verso sud. E i numerosi punti di sosta lungo il suo percorso, quali le spiagge del golfo di Fundy o del Delaware, e le altre lungo l’intera costa est degli Stati Uniti, dove in determinate stagioni un simile spettacolo è tutt’altro che raro. Mentre qui da noi, nella più temperata Italia, questa tipologia di piovanelli giunge raramente, ed in numero piuttosto ridotto. Così l’avvistamento, da parte di chi fa attività di birdwatching, costituisce sempre un’esperienza straordinaria ed affascinante. Ma immaginate, per un attimo, di trovarvi in spiaggia a prendere il sole! Ed al posto dei soliti gabbiani, vedere innanzi a voi la folla zampettante di quelli che in lingua inglese vengono definiti sanderling (un termine che fa pensare al “popolo” degli gnomi o degli elfi ultramondani) intenti a combattere la loro eterna lotta contro il flusso dell’acqua, prevedibile e costante. C’è sicuramente, da restare affascinati. E da chiedersi se esista a questo mondo un qualche cosa di ancor più fantastico e meraviglioso…

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L’insidioso nascondiglio della tartaruga azzannatrice

Treasure Turtle

Ci sono tesori di tutti i tipi: preziosi o significativi, materiali o filosofici, archeologici, situazionali. Ma il potenziale ritrovamento più meritevole di tutti, da un lato all’altro dell’Atlantico, resta pur sempre l’amicizia. Ed è innegabile che Beau Ouimette, escursionista della Virginia Occidentale, un simile dato sia giunto a comprenderlo davvero molto bene. Altrimenti non si spiegherebbe questo suo video relativamente sottovalutato nel quale, invece di tuffarsi col metal detector come suo solito nelle paludi o i fiumi più generosi degli interi Stati Uniti, s’intrattiene in un diverso tipo di ricerca. Con ben stretto fra le mani un comune retino da pesca di alluminio, che tuttavia lui ha rovesciato in senso contrario a quello d’utilizzo, con la finalità di sfruttarne l’impugnatura a mò di tipico bastone da passeggio. E tasta e spingi, tocca e premi, tutto questo per trovare…Funghi? No, l’altra cosa. Un suo personale esemplare di Chelydridae, quel tipo di tartarughe che esistono soltanto nel continente americano, e sono comunemente identificate dallo specifico termine onomatopeico che vuole sottintendere l’amputazione delle dita: snap, snap, snapping turtle. Quale miglior presupposto, per andare a caccia di Pokémon nella foresta!
O per meglio dire, ai suoi margini più estremi, visto come ci troviamo in un punto imprecisato (deformazione professionale dell’autore) dello stato con capitale Charleston, in cui un ruscello particolarmente torbido si estende fuori dagli alberi e nel bel mezzo di un pascolo per mucche, tranquillo e alquanto paludoso. E qualche bovino lancia il suo muggito d’accoglienza, mentre l’uomo a volte noto come Acquachigger inizia a intavolare il suo discorso d’occasione. C’è una finalità nobile di fondo, appare molto chiaro: il suo messaggio più enfaticamente ripetuto, ben due, tre, quattro volte è di non prendere la tartaruga per la coda. Mai e poi mai, esclama! Nonostante quello che avete visto in Tv. E qui cita il personaggio di Turtleman, protagonista televisivo dell’omonimo reality trasmesso in Italia da DMAX, che per la prima volta venne notato grazie ad un segmento in cui faceva proprio questo. Mentre sollevare simili creature in malo modo, ci spiega il qui presente narratore, sarebbe fondamentalmente come farlo con i cani. Molto spiacevole, per l’animale. E forse anche per noi… Il che inaugura un lungo discorso, sui meriti e i fraintendimenti relativi a queste creature dalla stazza considerevole eppure molto abili a nascondersi, fatto in grado di causare significative problematiche agli allevatori del suo ambiente naturale. “Si, non sono poi così aggressive. Se disturbate, normalmente si allontanano e corrono a infilarsi sotto il fango più accogliente.” Ci spiega. “Ma territoriali.” E di sicuro, se gli capita un piede o zoccolo davanti agli occhi, non ci pensano due volte prima di serrare il loro becco affilatissimo sul nemico percepito, nel tentativo disperato di difendere la loro grossa testa dalle scaglie dure. Per non parlare, dunque, dei neuroni.
Completata la descrizione generica dell’animale, comincia la parte dello show per così dire fattiva, in cui Ouimette si mette a percorrere il ruscello alla ricerca di segni rivelatori. Per prima cosa, puntualmente, ci viene mostrata l’impronta della belva: una zampetta artigliata, dall’aspetto vagamente sovrannaturale e licantropico, suggestiva di una stazza comparabile a quella di un pastore tedesco. Poco più avanti, invece, trova il segno della coda, che venendo trascinata dietro il corpo principale, ha lasciato un’evidente esse sulla terra friabile dell’acquitrino. A questo punto, il primo falso positivo: un dosso preminente in prossimità della riva, dalla forma suggestivamente simile a quella di un guscio. Ma un rapido inserimento del retino, tutto attorno al luogo presumibilmente interessato dalla placida presenza, non può che smentire l’agognato ritrovamento. La dura caccia, quindi, deve proseguire…

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