Si è soliti affermare che un qualsiasi tipo di tecnologia non è davvero alla portata di ciascuno finché non diventa democratica, pervadendo e diffondendosi ad ogni possibile diverso strato della società civile. Il che si applica a suo modo sia alle soluzioni innovative che alle fonti di alimentazione, intese come la materia prima che permette di far correre il cavallo metaforico della tecnologia incombente. Così come le normali stufe a legna, o le caldaie a vapore di epoca Vittoriana, non poterono realmente marciare a regime prima della funzionale implementazione di un sistema per la raccolta ed approvvigionamento, rispettivamente, di legna e carbone, lo stesso dilemma non può fare meno di sussistere nell’epoca corrente per quanto concerne la trasformazione del motore principale dei trasporti contemporanei, dal sistema termico a quello che consiste di galvanizzare una bobina rotante. Col che non voglio dire, certamente, che il concetto dell’auto elettrica sia in alcun modo totalmente nuovo, laddove sin dall’epoca in cui si cominciava a immaginare la scomparsa del cavallo dalle strade urbane, Gustave Trové riusciva a presentarne il primo esempio nel 1881 all’Esposizione dell’Elettricità di Parigi. Mentre un veicolo parimenti alimentato avrebbe continuato a detenere il record di velocità su quattro ruote almeno fino all’inizio del Novecento. Ma poiché tiranna in ogni tipo d’organizzazione pratica è la logica delle dinamiche di scala, ogni approccio d’implementazione sino a quel momento non può che essere considerato meramente preliminare. Dinnanzi all’imminente prospettiva di migliaia, e poi decine di migliaia di questi mezzi a motore per decine di chilometri quadrati una volta che non potrà esserci alta scelta, con la conseguente necessità di riprogettare la cognizione stessa del concetto stesso di una città. Oppure… Semplicemente… No?
Colonnine ovunque, colonnine da nessuna parte. Parcheggi con settori recintati, dedicati unicamente a chi possiede la scintilla prometeica di Edison deificato sotto il cofano del proprio metallico destriero. Un problema, soprattutto, in questo periodo di transizione, in cui soltanto gli svantaggi gravano sulla stragrande maggioranza della popolazione, ed un approccio in grado di ridurre un tale impatto potrebbe essere una via d’accesso alla serena convivenza tra questi due estremi. Il che potrebbe anche costituire il fondamento operativo alla base del sistema semi-autonomo ZiGGY della compagnia californiana EV Safe Charge, così denominato forse più per un omaggio estemporaneo a David Bowie che in osservanza a qualche tipologia di misterioso acronimo (del resto, ditemi voi di che cosa!) essenzialmente identificabile come un ingombrante cassone su ruote, dotato tuttavia di un suo notevole sistema d’intelligenza artificiale. Sufficientemente pronto da riuscire a interpretare le chiamate ricevute tramite un innovativo tipo di applicazione mobile a corredo, utilizzata da ipotetici abbonati futuri per segnalare il proprio arrivo presso un luogo di stoccaggio ed abbandono temporaneo delle proprie auto, prima di recarsi a sbrigare le proprie faccende in centro o altri luoghi affollati della vasta metropoli brulicante. Con conseguente risveglio delle sue sinapsi robotiche e relativo impianto semovente, naturalmente elettrico, per spostarsi dalla stanza in cui si trova fino al posto macchina prenotato, con gli schermi accesi per mostrare in rapida sequenza immagini e spot pubblicitari di varia natura. Finché all’arrivo dell’auto elettrica potrà finalmente farsi da parte, assolvendo il singolare compito per cui è stato costruito…
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Il devastante impatto della mega-pigna che genera crateri nei giardini australi
Con l’inizio del mese di dicembre, come ogni anno, ha inizio il nuovo capitolo di un’eterno conflitto tra uomo e natura. Quello che finisce per costare, inevitabilmente, la vita a svariati milioni di abeti, tagliati nel fiore degli anni all’altezza delle nostre caviglie, per essere caricati su di un camion, trasportati nelle nostre case e ornati di sferoidi vetrinati, stelle e croci scintillanti come macabri trofei di un cacciatore di taglie. Il che rientrerebbe pienamente nella logica di quest’industria, degli arbusti usati in qualità di materia prima per i sogni e gli obiettivi della civilizzazione, se non fosse per l’utilità piuttosto limitata di una simile operazione: non è forse possibile, persino qui, persino adesso, celebrare il Natale senza fare ricorso ad un’usanza significativa solo per le cognizioni ereditate da paesi lontani? Non era possibile, piuttosto, limitarsi a fare il presepe? E non potrebbe forse essere questa qui l’origine, volendo rintracciare i flussi karmici dell’Universo, del massacro potenziale che si compie ogni anno tra gennaio e marzo, in tutti i luoghi in cui un diverso tipo d’albero ha trovato terra fertile e l’opportunità di raggiungere la potenziale altezza di 30-45 metri? Quando tali tronchi vengono regolarmente recintati. Affiggendogli cartelli che pronunciano l’avviso: “DANGER! Pericolo! Non sostate sotto il bunya-bunya. Parcheggiate le vostre auto altrove. Ogni trasgressore, agirà a proprio esclusivo rischio e pericolo.” Considerazioni di primaria e logica importanza… Quando una pianta proveniente dall’Australia vanta un nome ripetuto in una delle lingue aborigene (vedi gympie-gympie, l’albero urticante che può dare sofferenza imperitura) sarebbe particolarmente opportuno prenderla sul serio. Una visione dei fatti per la quale l’Araucaria bidwillii, conifera sempreverde del Queensland e zone limitrofe, non fa certamente eccezione. Vista l’abitudine largamente acclarata, conseguenza dei percorsi imprevedibili dell’evoluzione, a generare pigne del diametro approssimativo di una zucca, e il peso che può talvolta raggiungere i 18 Kg. Abbastanza per precipitare senza nessun tipo di preavviso, secondo un preciso disegno, conto cose o persone che dovessero trovarsi a transitare di lì. Abbastanza per segnare in modo significativo il tetto di un’automobile. Abbastanza da riuscire a fratturare un cranio umano.
Formalmente definito con il popolare ossimoro di fossile vivente, tanto impropria quanto quella di essere un “pino”, per la sua origine rintracciabile fino all’era del Giurassico (200<>149 mya) questo albero dalla forma suggestivamente simmetrica giungerebbe a ricordare vagamente quella di un fuso da cucito, se non fosse per disposizione caratteristicamente rada dei suoi rami mediani. Un’accorgimento biologico, quest’ultimo, potenzialmente utile a rendere meno probabile l’auto-impollinazione, trattandosi di una pianta dioica ovvero dotata di fiori appartenenti ai sessi femminile & maschile, disposti rispettivamente nella parte bassa e quella alta della sua significativa altezza. Il che fa necessariamente parte dell’inganno di un fato malevolo, quando si considera come soltanto i primi siano responsabili della creazione delle pericolose bombe dalla ruvida scorza, in posizione particolarmente difficile da individuare dal livello del terreno. Avendo mietuto più di una vittima, nel corso delle ultime decadi, in tutti quei paesi dal clima adatto ma dove tali alberi non sono nativi, essendo stati trapiantati in forza del loro attraente aspetto decorativo. Ed è così che ancora oggi, continua a compiersi la dura ed implacabile vendetta di queste radici determinate a veder applicata la legge del contrappasso; l’ultimo e più eclatante caso a San Francisco nel 2015, ai danni di un uomo che si era adagiato a sonnecchiare sugli invitanti prati del Maritime National Historical Park, dove alberi di tutto il mondo offrono uno scenario esteticamente memorabile. Finendo per essere colpito alla testa da una di queste pigne ragionevolmente letali, un incidente destinato a costargli ben tre operazioni con danni permanenti al cervello, ed alla città una causa comprensibile da 5 milioni di dollari. Visto come avvisi di pericolo siano stati affissi, ma soltanto DOPO il fatto compiuto…
Quanti uccelli neri servono per riempire un parcheggio texano?
Quando la giornata si prospetta lunga è meglio alzarsi presto, perché come dice il celebre proverbio in lingua inglese: “L’uccello mattutino prende il verme.” E amico, tu lo vuoi l’anellide, tu desideri il lombrico! O metaforico tesoro che qui sottintende, caso vuole, un posto vuoto dove posteggiare l’automobile in un mar d’immobile metallo, gomma e vetro. Ed è allora quando guidi, tra l’indifferenza generale, fino al luogo in cui avrà a svolgersi la Cerca quotidiana, che qualcosa tenta di distrarti dall’intento generale: come un suono, il sibilo e lo spostamento nero, di quell’aria smossa da un prestante paio d’ali e quindi un’altro, e un’altro ancora. Sono uccelli cittadini, alati urbani che affrontano serenamente gli alterni casi della vita aviaria. Eppur d’un tratto, c’è qualcosa di diverso: poiché il fiume delle piume non si ferma e ne continuano a venire, ancòra e ancòra (e ancòra). Impossibile, da prevedere. In qualche punto del tragitto in macchina, devi aver varcato casualmente uno Stargate texano. Per trovarti casualmente, in mezzo alla venuta stagionale dei grackle birds.
Corvi? Merli? Piccole cornacchie? Nulla di tutto questo: perché come l’abito non basta a fare il monaco, non è il colore delle penne a definire la famiglia tassonomica di un animale. Essendo quei chiassosi volatori, nello specifico, dei rappresentanti atipici del gruppo degli itteridi, sotto-categoria (o per meglio dire, genere) Quiscalus, originario ed esclusivo del cosiddetto Nuovo Mondo. Laddove ciò che sembrano rappresentare, nel cielo nostrano d’Europa, i gruppi di storni, questi passeriformi altamente gregari riescono perfettamente a riprodurlo nell’intero continente americano, ma particolarmente in Messico e Texas, luoghi ove riescono a trovare l’ambiente più gradevole, sia dal punto di vista climatico che delle fonti di cibo. Poiché questi uccelli, chiamati a volte “gracule” in lingua italiana (benché tale termine venga usato di preferenza per gli sturnidae parlanti del sub-continente indiano) appartengono a quel gruppo di volatili che non soltanto si sono perfettamente adattati a condividere gli spazi con il vasto consorzio della società umana; bensì addirittura, a sfruttare i suoi sprechi e disattenzioni a proprio eccezionale e imprescindibile vantaggio; come esemplificato da questo video realizzato presso il parcheggio di un centro commerciale a Houston, Texas, in effetti l’ultimo di un’interminabile serie, in cui oltre un migliaio dei nostri amici calano, come un’orda mongola, sopra le automobili, le teste e soprattutto i cassonetti prodotti da fasce relativamente impreparate della popolazione locale. Poiché sarebbe difficile, in una tale situazione, non evocare immagini appartenenti ad un particolare esempio di cinema di genere, prodotto da un maestro del settore e proprio per questo, diventato ormai da lungo tempo un cult…
L’invisibile giardino dei divertimenti sotto la città più affollata dell’America Latina
Generalmente quando tre voragini profonde 35 metri fanno la loro comparsa nel bel mezzo di un sovraffollato distretto finanziario, non è l’inizio di un buon capitolo nella storia urbana di una grande capitale nazionale. Soprattutto quando, come nel quartiere denominato Santa Fe di Città del Messico dal nome di un antico ospedale del pueblo, oggi poco più che un rudere, tale faccenda si palesa nel bel mezzo nella piazza abbandonata intitolata a Guillermo González Camarena, ormai da tempo utilizzata dagli impiegati dei moltissimi uffici circostanti al fine di parcheggiare abusivamente le loro automobili. Fortuna quindi che per tali veicoli, dopo una precisa segnalazione dell’amministrazione locale, un’altra collocazione fosse stata trovata, prima che il suono delle ruspe e dei martelli pneumatici potesse iniziare a diffondersi nell’aria. Perché già, ho mancato di evidenziare fino a questo punto la maniera in cui il “disastro”, inteso come punto di rottura con le aspettative o le condizioni operative pregresse, sia in effetti la diretta risultanza di un preciso accordo tra la città e il settore privato, o per essere più precisi i due importanti conglomerati Gruppo Carso e Copri, previo coinvolgimento degli studi architettonici messicani KMD e Arquitectoma. Per la creazione di un qualcosa che in tutta l’area culturale nordamericana, ma anche nel resto del mondo, nessuno aveva mai tentato con le stesse identiche modalità: la creazione di un centro commerciale sostenibile, dall’impatto ambientale contenuto e al tempo stesso, incredibile a dirsi, posizionato per almeno il 90% al di sotto del livello del manto stradale cittadino. Come una stazione della metropolitana ma con più marmo di pregio, negozi e soprattutto, senza SEMBRARE una stazione della metropolitana. Proprio grazie al particolare accorgimento nato dalla collaborazione dalle due figure dei progettisti principali dei rispettivi studi Francisco Martín del Campo e Jose Portilla Riba: i colossali lucernari a pianta circolare dal diametro di circa 30 metri ed ancor più profondi, con la forma approssimativa di un cono rovesciato in grado di ricordare, per una mera coincidenza, l’esatta forma dei gironi dell’Inferno Dantesco.
Nessuna punizione o diabolica presenza nel fondo della struttura inaugurata a maggio del 2014 con il nome stranamente anglofono di Garden Santa Fe, bensì un luogo di ritrovo “pubblico ancorché privato” dalla straordinaria luminosità e circolazione dell’aria nonostante il posizionamento, proprio grazie alla totale trasparenza della copertura interna delle suddette voragini, con un complesso sistema di vetri sovrapposti e apribili che bloccano l’ingresso dell’acqua durante la pioggia ma non l’ossigeno di ricambio. Nati, secondo un aneddoto raccontato da Martín del Campo, proprio a seguito della caduta accidentale di un mattone ad opera di un operaio distratto durante la costruzione, lasciando scaturire l’intuizione di quanto potesse risultare utile un tale accorgimento, nell’incrementare il già notevole eclettismo funzionale di un simile spazio ad uso commerciale. Chi avrebbe mai voluto visitare, d’altra parte, gli oltre 90 negozi disposti nei 12.000 metri quadri del nuovo ambiente, se la sensazione restituita fosse stata quella di trovarsi all’interno di una prigione sotterranea del Medioevo…