Adesso in giallo: il pesce che rivoluziona in un attimo il suo colore

Se lo sconcerto improvviso rappresenta una potente arma di difesa in natura, tra i banchi di sabbia alle propaggini occidentali dell’Oceano Pacifico (Indonesia, Filippine, Nuova Guinea…) figura una creatura tra le più inaspettatamente terrificanti dell’intero mondo animale. Nonostante, o forse proprio grazie alle apparenze: un piccolo pesce affusolato, tra i 10 e i 15 cm di lunghezza, la pinna dorsale piuttosto pronunciata e due raggi spinosi morbidi come coda. Una spina appuntita nell’opercolo branchiale. Superficialmente simile a una sardina, finché non compie il gesto per cui è famoso. “Pesce/tilefish camaleonte” è per l’appunto un altro nome degli Hoplolatilus chlupatyi, protagonisti della propria narrazione grazie ad una dote rara, ma tutt’altro che inaudita in ambito biologico. Quella di cambiare, pressoché istantaneamente, la propria estrinseca tonalità apparente. Poiché una descrizione tanto breve non potrebbe veramente rendere l’idea, lasciate dunque che connoti tale contingenza con la notazione della sua notevole, diabolica velocità. Siam qui di fronte, in effetti, a una creatura capace di essere arancione in partenza, viola subito dopo, quindi verde, blu elettrica, bianca ed infine gialla. Il tutto nel giro di pochissimi, spettacolari secondi. Qualcosa che pur essendo fisicamente possibile per maestri del camuffamento come i polipi o le seppie, non viene mai comunemente fatto da questi ultimi, proprio perché essi non ricercano l’aposematismo. “Se sei troppo visibile, eviterò di mangiarti” parrebbe l’essenziale sillogismo in base a cui prolunga la sua stirpe tale membro della famiglia cosmopolita dei Malacanthidae, biologicamente composta da planktivori scavatori di tane nei fondali soffici del proprio rispettivo areale di appartenenza. La cui tecnica di autodifesa sembrerebbe funzionare tanto bene da essersi guadagnata anche l’attenzione, non sempre desiderabile, degli umani. Con uno stato di conservazione largamente ignoto, il tilefish in questione ha cominciato in epoca recente a comparire negli acquari di mezzo mondo, costituendo un ornamento fuori dai parametri e il perfetto rompighiaccio per aprire la conversazione con gli ospiti di un appartamento. Senza tenere nel contempo conto, purtroppo, della relativa difficoltà nel mantenere simili creature in cattività, per il bisogno di nutrirsi di continuo e la poca inclinazione ad acquisire nutrimento da fonti non più viventi. All’inizio, in altri termini, di quello che potrà soltanto essere un lungo e laborioso processo di acclimatamento…

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L’inveterata ostilità cromatica dei parrocchetti gialli nei confronti dei loro cugini

Nella narrativa coltivata dai principali bipedi terrestri del pianeta, il dinosauro è una creatura appartenente alla Preistoria che ha visto naufragare la propria discendenza in occasione di un evento catastrofico di molto antecedente alla sua venuta. Dal punto di vista di coloro che li studiano, d’altronde, i pennuti volatori sono triceratopi, diplodochi e tirannosauri dei nostri giorni. Questione facilmente accantonata, questa, quando ci si relaziona con il caro canarino o l’amichevole cocorita, occupanti delle gabbie che adornano le sale da pranzo. E non solo. Eppure a differenza del cane, gatto e addirittura pesce rosso, sono proprio quei pennuti ricordarci, qualche volta, le precise regole tenute vive nella loro mente, più complessa e articolata della media di molte altre creature. Quando combattono per il predominio territoriale, gli spazi, il cibo, l’attenzione. Certe volte, addirittura l’odio immotivato e privo di contesto nei confronti di un diverso… Colore.
Il caso analizzato, nella qui presente trattazione, è quello di un famoso video risalente a circa mezza decade fa, più volte fatto circolare presso i social media e le altre piattaforme digitalizzate della comunicazione d’intrattenimento contemporanea. Con due gruppi contrapposti di pappagallini, molto simili fatta eccezione per la livrea gialla e verde in un caso; gialla, verde ed arancione nell’altro; ai due lati di una soglia e chiaramente intenti a far valere per quanto possibile i rispettivi punti di vista. Producendo urla penetranti, stringendosi coi propri compagni d’arme e proiettandosi in avanti in una serie di accennati “assalti” la cui mimica ricorda quella di una guerra tra le stereotipiche gangs di New York. Tralasciando adesso lo specifico contesto di provenienza, probabilmente andato perso ormai da tempo nei meandri del grande fiume delle informazioni, può diventare chiara la conferma offerta nel presente caso di una percezione ragionevolmente chiara per ha mai tenuto nella propria abitazione simili compagni saltellanti: mai mischiare tra di loro i pappagallini. Per più di una singola, valida ragione. Creature più in dettaglio appartenenti alla macro-categoria definita in lingua inglese o francese come dei conure, categoria informale creata a partire dalla famiglia deprecata dei Conurus, contenente una vasta selezione di specie aviarie di dimensioni medio-piccole dai colori brillanti e le lunghe code, tutte provenienti dalla regione geografica del Nuovo Mondo. Ma NON, questione sempre degna d’essere portata innanzi, la stessa esatta ed identificabile discendenza esattamente come avviene per il termine parzialmente sovrapposto di parrocchetti. Il che potrebbe anche costituire, a conti fatti, la precisa origine del problema…

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Profonda Liechtensteinklamm: e il camminar ci è lieto in questa gola carsica secolare

Il wunderkammer o “gabinetto delle meraviglie” era una stanza deputata, nel castello, residenza o reggia dei sovrani rinascimentali, alla nutrita collezione degli oggetti più notevoli, o in qualche modo singolari in loro possesso, concepita per affascinare o lasciare atterriti i distinti dignitari o visitatori stranieri. Si trattava di una tradizione particolarmente radicata nel contesto mitteleuropeo, al punto che nell’ultima parte del XIX secolo, visse in Liechtenstein un principe il cui wunderkammer poteva essere identificato come il mondo intero. E che investì una parte delle sue considerevoli risorse per migliorarlo. In qualità di grande patrono delle arti e della natura, Johann II del Liechtenstein, soprannominato in modo encomiabile “il buono” non si sarebbe dunque tirato indietro, nel preciso momento in cui il club alpino del Pongau, poco a meridione di Salisburgo, venne da lui con un progetto dal costo di 600 fiorini, nato dall’idea per l’apertura alle moltitudini di un luogo vicino al suo casino di caccia preferito, che altrimenti ben pochi avevano potuto conoscere con i propri occhi: una delle gole fluviali più profonde e affascinanti di tutta l’area alpina. Ovvero lo scenario mistico e scosceso, scavato nel corso di millenni dall’impetuoso corso del Großarler Ache direttamente sulla superficie carsica del massiccio del Keeskogel. Al punto da giustificare l’esistenza, nel folklore locale, di una vaga leggenda secondo cui a scavarlo sarebbe stato il diavolo in persona, dopo un fallimentare tentativo di portare l’acqua alla cittadina di Grossarl mediante l’utilizzo di metodi maggiormente convenzionali. Come se le contingenze dell’erosione ed agenti atmosferici non potessero risultare sufficienti, qui ed altrove, ad architettare una simile anomalia paesaggistica situazionale! Così venne portata a termine nel 1875, e fece scuola, l’idea di attrezzare una scoscesa passeggiata in modo tale da poter accogliere anche i non iniziati ai tragitti montani, attraverso l’installazione di una lunga serie di passerelle in legno, per un intero chilometro dei quattro occupati dalla gola. Destinate ad essere percorse soltanto nel primo anno da circa 12.000 persone, una cifra totalmente fuori parametro per quell’epoca prima della comunicazione mass-mediatica e la pubblicità dei luoghi di vacanza online. Che sarebbero state moltiplicate venti volte, nel corso del lungo e articolato secolo a venire…

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Lo strisciante degli abissi che corrode lo scheletro della balena

Nel vespro della tenebra latente sottomarina, un dramma sta per giungere in maniera inevitabile alla sua conclusione: il grande cetaceo, appesantito dalla cifra esagerata dei suoi anni, ha smesso ormai da qualche ora di nuotare. Le pinne appesantite, impossibili da muovere, gettano la loro tenue ombra nel grande vuoto verticale, che si estende dalla sabbia fino alle propaggini del cielo superno. Per un’ultima volta, la creatura inusitata ha potuto salutare il tramonto, ma adesso può comprendere grazie all’istinto la sublime vicinanza della sua ora. Niente, o nessuno, provvederà d’altronde a piangerne l’estrema dipartita; mentre già una piccola e gremita folla di creature, pesci, cefalopodi e crostacei, si prepara ad affollarne senza invito il funerale. Giubilo ed esaltazione, la gloria di un banchetto dalle proporzioni spropositate! Un trionfo della carne nella morte, che fornisce un mezzo di sostentamento in grado di nutrire gli affamati! In altri termini, chiunque abiti a profondità e in ambienti tanto irraggiungibili, da non permettere l’esecuzione della fotosintesi clorofilliana. Questo pensa la balena, poco prima della cessazione di ogni idea o ricordo. Ed il suo corpo esanime cominci, gradualmente, a sprofondare. È la caduta, detta in gergo anglofono whale fall, di un gigante. Ovvero la rinascita di grandi assembramenti conviviali, ciascuno in grado di trarre propsperità da una specifica parte residuale di quel tutto. Inclusa la struttura interna che comunemente non contiene nutrimento, né sapore: lo scheletro che abbiamo dentro e come noi, gli antichissimi cugini degli abissi di cui è stata appena resa per antonomasia l’estrema eulogia. Soltanto non provate ad aspettarvi esseri simili a seppie con un becco crudele, o pesci sgretolatori dalle mandibole affini a un mezzo da cantiere. Siam qui al cospetto di un tipo di opera molto più metodica, e sottile. La disgregazione tramite l’impiego di acidi, al fine di raggiungere i lipidi e altre sostanze nutritive contenuti all’interno. Per il volere e l’opera di un verme non più lungo di 3-4 cm, inclusa la sua inamovibile e sofisticata radice. Non sarebbe così lontano dalla verità, in effetti, chiunque si avventurasse nell’offrire un tipo di confronto tale, da riuscire ad associare la presenza ed il funzionamento del genere di verme polichete Osedax a quello di una carota. Infilzato per un verso nel sostrato, come un trapano, mentre il gambo della “pianta” emerge per formare un’intrigante quanto inconfondibile pennacchio. Il chiaro segno che nell’ora macabra dell’infinito annientamento, ancora è tipico della natura ricercare, e in qualche modo continuare a perseguire la bellezza…

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