I motorini mutanti di Jakarta

Extreme Vespa Indonesia

Ma quanto è bello andare in giro, se hai una Vespa Special che… Cantava il bolognese Cremonini sulle soglie del 2000, tracciando la strada verso il trionfo del suo gruppo Lunapop. L’estate che avanza! Ti porto in vacanza! Rossa di fuoco, era la sua beneamata moto, truccata per fare i 90 e quindi rapida “come una freccia”. Fu chiaro fin da subito che nulla, meglio di un tale emblema pluri-generazionale, avrebbe potuto assisterlo nell’ardua missione discografica. Chi non la conosce, del resto? Tutte le Vespe nascono uguali, dai loro nidi, calamite invitanti per lo sguardo dei giovani motociclisti. Fin da subito tuttavia, come gli insetti da cui traggono quel nome, simili due-ruote si adattano all’ambiente circostante. O alla persona. Questa è vera personalizzazione, altro che Harley! In Indonesia, e nelle vicine Filippine, da diversi anni c’è una cultura giovanile del motorino di recupero, modificato fino all’impossibile, senza concessioni per l’estetica convenzionale. Il risultato è straordinario, mostruoso. Anche un po’ italiano. La ragione proviene da lontano, anche dal punto di vista del tempo.
Trionfo del design Piaggio degli anni ’40 nonché icona internazionale, l’invenzione dell’ingegnere aereonautico Corradino D’Ascanio ha percorso le strade più diverse. Dalla Germania al Regno Unito, dalla Russia sovietica fino a Taiwan, passando per l’India, la sua stretta sagoma, che si dice sia stata funzionale al soprannome, si è saldamente impressa nell’immaginario popolare. Così cristallizzata nell’aspetto, pura espressione d’accademia concettuale, la super-moto dei ragazzi è infine giunta nelle sale di un museo, il celebrato MOMA di New York. Non era mai cambiata. Il suo fulmineo potenziale, di mille o più reincarnazioni, si era scatenato solo in parte. Finché non giunse in prossimità di questi colli, non più bolognesi, bensì posti sul confine della capitale indonesiana, l’estesa, caotica Jakarta. A quel punto aveva otto ruote, due sellini, una folle struttura in legno di bambù e all’incirca un migliaio di colori. Ma andiamo con ordine. C’era stato, molto prima, un accordo foriero di più grandi globalizzazioni, tra la compagnia danese East Asiatic Company e la Danmotor di Pulo Gadung, un vasto stabilimento posto su quella stessa isola dei mari d’Oriente. Con licenza di produzione in sub-appalto, l’industria indonesiana avrebbe immesso sul mercato qualche Vespa, giusto per poterne misurare il potenziale commerciale. Così nacque nel 1972, timidamente, la DMVI (Danmotor Vespa Indonesia). Fu però difficile, anzi no, impossibile, resistere a quel fiore profumato della motoristica passione.

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