Vegetariano come il ragno che ha trovato il modo di rubare alle formiche tra foglie d’acacia

Volendo cercare un punto in comune nel comportamento delle 40.000 specie di ragno note, il più evidente è quanto segue: l’aracnide dalle 8 zampe, non sempre avvezzo a costruire ragnatele, è nondimeno stato concepito, ottimizzato e fatto evolvere dalla natura per uccidere e nutrirsi di altri esseri viventi. Carnivoro per assoluta e imprescindibile prerogativa, ogni ragno risulta dotato delle armi necessarie a farsi strada nella vita, siano queste zanne, veleno o artigli raptatori di varia foggia e natura. Il che non significa che debba essere per forza intenzionato ad usarle. Questo è stato in grado di scoprire, nell’ormai remoto 2009, il biologo Christopher J. Meehan assieme a Eric J. Olson e altri colleghi, durante una serie di studi sul campo in Costa Rica e Messico facenti parte del programma del suo dottorato. Scorgendo, lui per primo, un tratto comportamentale sfuggito agli originali scopritori George ed Elizabeth Peckham, famosi all’inizio del XX secolo per la propensione a nominare le specie classificate con nomi tratti dai romanzi di Rudyard Kipling. E per aver riservato nel caso specifico, di un ragno salticida di particolare bellezza col suo corpo verde metallizzato, l’appellativo di Baghera, la magnifica pantera tra i protagonisti del Libro della Giungla. Da qui la scelta di Bagheera kiplingi con un parallelismo ignoto all’epoca ma destinato a palesarsi successivamente, vista la capacità di questo aracnide di fare a meno del consumo dei suoi tipici avversari, così come il felino riuscì ad essere alleato temporaneo dell’umano Mowgli, precedentemente adottato dai lupi del Popolo Libero. Una scelta, in questo caso, non dettata dalla semplice curiosità bensì un preciso piano di sopravvivenza, ereditato assieme al corpus dei processi istintivi da millenni di pregressa esperienza genetica, nonché la selezione darwiniana degli esemplari adeguati. Ciò che Meehan ebbe finalmente modo di capire dunque, scorgendo la quantità prevista di queste creature sui tipici alberi d’acacia così come riportato nella letteratura, è stato un suggestivo tipo di commensalismo capace di coinvolgere ragni, insetti e vegetali. Del tutto sorprendente per l’unicità dei metodi e la maniera in cui sembra sovvertire ogni concetto precedentemente acquisito in materia. Giacché se l’albero spinoso facente parte della famiglia delle Leguminose è noto per la sua cosiddetta propensione alla mirmecofilia, ovvero il possesso di caratteristiche mirate all’attrazione e protezione dei temibili imenotteri eusociali, quest’ultime avrebbero per l’appunto il compito di mantenere l’acacia totalmente sgombra di altre creature. Peccato che ciò non funzioni, in alcuna maniera, nel caso del B. kiplingi

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Se la logica è il tuo credo, non seguire il gatto nello strano mondo delle proporzioni animali

Camminando lungo il fiume della notte insonne, mi trovai sui margini di un misterioso edificio. Cos’è dritto, cosa obliquo? Ed in che modo i sogni si distinguono dalla realtà di questa luce sfarfallante? Chiusi gli occhi e aprendoli di nuovo, un lieve miagolio guidò lo sguardo verso l’essere agile, ma immoto. Miao? Se proprio insisti. Miaao: dicendo questo ed agitando la sua coda serpeggiante, il gatto m’indicava l’unico sentiero a mia disposizione. La porta della quotidiana sussistenza, ovvero il semplice punto d’ingresso di un supermercato, nella dimensione tipica di un mondo a dimensione felina. Allora qui notai l’insolita questione! Per ciascun passo innanzi che tracciavo, il bosco si piegava e richiudeva tutto intorno. Semplici cespugli diventavano dei monumenti. E gli alberi, colonne in grado d’oscurare il cielo stesso. Eppur l’interno prometteva luce, pace, un senso di pacifica accoglienza. Varcata quella soglia d’improvviso poco più alta delle spalle, mi sembrava di aver acquisito un nuovo senso di me stesso. Per cui barattoli, bottiglie, frutta, bibite, insalata, pane, caramelle assumevano d’un tratto proporzioni adatte. Immaginando, finalmente, di poter trovare un qualche tipo di risposta o spiegazione, mi voltai verso le casse; lui era lì. In attesa. Miao (Buongiorno!) Meow (Il mio nome: Mr. Nice) Nyan (Benvenuto all’altro Mondo) Wang, wang: (Seguimi, se vuoi scoprire cos’ha costruito il mio Padrone).
Anni dopo il mio risveglio o almeno è in questo modo che mi sarebbe sembrato, nel diverso spazio semi-onirico che fluttua tra le pagine d’insostanziale etere del Web, avrei scoperto di chi egli stava miagolando. Niente meno che Xing, di Xing Zhilei Ama Armeggiare (爱鼓捣的邢志磊 – Ài gǔdao de Xíngzhìlěi) l’eponimo canale Internet, nato presumibilmente sul social cinese BiliBili per poi propagarsi su Douyin (nome originale di TikTok), Instagram, Facebook e persino in versione anglofona doppiata nell’ubiquo catalogo YouTube/iano, diventato celebre per l’eccezionale qualità delle sue miniature. Col che non intendo, chiaramente, illustrazioni a un manoscritto medievale bensì validi modelli di effettivi spazi architettonici, in scala 1/3 o 1/2 (i soffitti misurano, in media, attorno al metro e quaranta) per mettere davanti al pubblico la realtà tangibile di mini-appartamenti, mini-supermercati, mini-parcheggi con tanto di mini-Tesla Truck ed innumerevoli altre facezie dell’alterazione di ogni proporzione acclarata. Un’idea nata, a quanto narrano i pochi articoli disponibili online, dal desiderio di sua moglie di far conoscere il proprio negozio di accessori per animali.
E chi non ha mai pensato, almeno una volta, di usare per il marketing una fedele riproduzione di quanto vede o incontra nel corso delle proprie memorabili giornate metropolitane? Specie quando si può fare affidamento, oltre al gatto, su una serie di modelli da inserire nel contesto di una simile creatività selvaggia, tra cui un simpatico Shiba inu, un paio di criceti, varie tartarughe, due bambini (perché no) e persino un ragno saltatore nella sua dimora chtonia, per meglio propinare al pubblico l’assurda illusone ricorsiva di un sistema di matrioske o scatole cinesi…

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Le astute traiettorie che proiettano serpenti oltre le porte del Paradiso

Indubbiamente le foreste del Sud-Est asiatico sono divise dalle traiettorie d’innumerevoli creature scollegate dai pesanti limiti connessi alla difficile questione della gravità. Scoiattoli, lucertole oltre agli uccelli e insetti d’altri luoghi e si, persino rettiliani abitatori della cima di quegli alberi, gli oblunghi esseri carnivori che l’evoluzione sembrerebbe aver creato per riuscire a dominare anfratti angusti e l’ingombro territorio in mezzo a sterpaglia, foglie, radici ove nascondersi e giacere in agguato. Ma sapete cos’altro offre anonimato quando viene l’attimo di prepararsi a ghermire la preda? La distanza. E come sappiamo di gran lunga troppo bene, c’è un modo migliore di ogni altro per attraversarla. L’attimo sfrenato in cui si lascia indietro il punto dove i piedi toccano il terreno. Compiendo l’ulteriore passo, verso il vuoto e l’infinito. Eppure osservando all’opera il Chrysopelea ornata d’India, Vietnam, Cina, o una qualsiasi delle altre quattro specie meno comuni appartenenti allo stesso genere, la tipica impressione può sembrare quella di stare vedendo le conseguenze di un incidente; non c’è molto di aggraziato, simmetrico e dinamico del comportamento di simili rettili in volo. Mentre si agitano e contorcono a parecchi metri da terra, avendo lasciato la sicurezza di un ramo sopraelevato con l’apparente quanto inevitabile destino di precipitare al suolo. Finché nel prolungarsi di quell’attimo che tende alla catarsi, la parabola pare allungarsi ancora, e ancora fino all’estensione massima di una ventina di metri. Con l’ideale linea tratteggiata al passaggio dell’animale diviene simile al balzo di Icaro, fermamente intenzionato a lasciarsi alle spalle l’intricato carcere della bestia muggente. Un’operazione, in altri termini, già lungamente collaudata e che parrebbe trarre il più ampio beneficio dalla particolare configurazione fisica dell’affusolato protagonista, le cui molte costole ampiamente mobili possono allargarsi rispetto all’asse dello scheletro centrale. Cambiando ed appiattendo il suo profilo. Verso la creazione di un perfetto foil aerodinamico non dissimile da quello di un velivolo creato dall’uomo. Ciò benché si sappia già a partire dal 2005, grazie a uno studio pubblicato da Socha, Dempsey, LaBarbera, che la questione risulta essere molto più complessa di come appare. Laddove un fedele modello in plastica della creatura, lanciato in posizione inerte da un punto sopraelevato, si è semplicemente capovolto, precipitando rovinosamente a molti metri dal bersaglio ideale. Permettendo di comprendere come le molte mosse inesplicabili dell’originale, soltanto in apparenza casuali, avessero in realtà uno scopo cinetico estremamente funzionale all’obiettivo di riferimento…

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Piccolo carnivoro nascosto in bella vista: la tardiva scoperta dell’olinguito

Con le circa 270 specie note alla scienza il discorso tassonomico sugli esseri che hanno perfezionato il consumo di altre creature può sembrare spesso un discorso chiuso da tempo. Con il sistema ecologico della catena alimentare, in cui ogni piramide prevede al suo vertice soltanto un numero limitato di nicchie disponibili, la differenziazione degli stili di vita prevede d’altro canto dei confini chiaramente definiti, oltre i quali si tende a spingersi entro il reame della pura e imprescindibile fantasia. È perciò molto raro, con l’ultimo esempio americano risalente a 25 anni prima di quella data, che i libri dell’archivio vengano di nuovo aperti, per apporre il nuovo nome di qualcosa che si muove, respira e agguanta le sue prede con famelica chiarezza d’intenti. Fino all’inizio degli anni 2000 quando, osservando attentamente alcuni reperti custoditi al museo dello Smithsonian, il curatore della sezione dei mammiferi Kristofer Helgen non avrebbe notato una discrepanza per dimensioni, forma e dentatura nei crani a sua disposizione dei procioni di provenienza sudamericana. Particolarmente per taluni esemplari provenienti dalla Colombia, che parevano invariabilmente più piccoli degli altri appartenenti al genere Bassaricyon (bassaricione) alias olingo, abitante arboricolo della foresta nebulosa subtropicale. Il che avrebbe dato luogo ad una rapida presa di coscienza, seguìta dalla raccolta di dati e misurazioni accurate delle svariate centinaia di campioni presenti nei musei di tutto il mondo, per un periodo che avrebbe richiesto alla squadra di ricercatori da lui coinvolta un gran totale di 10 anni. Per giungere infine al consenso che una spedizione in loco, attentamente organizzata con l’obiettivo di trovare un esemplare vivo, avrebbe finalmente permesso di chiarire l’ipotesi latente. Opportunità ulteriormente sostenuta dalla comparsa online di una fotografia, scattata da un abitante del luogo nel 2013, che pareva discordante dall’esempio di una delle tre specie principali di bassaricioni già note. Un arrivo dell’intera equipe che avrebbe permesso, in breve tempo, non soltanto di confermare l’esistenza del “nuovo” animale chiamato scientificamente Bassaricyon neblina, ma addirittura caratterizzarne l’effettiva diffusione come relativamente frequente, a partire da altitudini remote tra i 1.500-2750 metri dove precedentemente i suoi parenti più stretti mancavano di attestazioni precedenti. Una delle ragioni per cui agli abitanti nella zona pedemontana delle Ande, fin da tempo immemore, era mancata l’opportunità di conoscerli approfonditamente. Assieme al fatto che questi animali assomigliano notevolmente, se visti da lontano, ai semplici esemplari giovani o più piccoli del comune olingo. Ma l’apparenza, come è noto, può frequentemente trarre in inganno…

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