Come agili farfalle, aerei che si posano e terribili neonati senza un volto

Tutti sanno, o hanno almeno udito nei loro trascorsi, che agli albori del tempo sul pianeta Terra si aggiravano giganti: lucertoloidi dalle folte piume, striscianti sauri ricoperti di spine, alati Quetzalcoatlus simili a giraffe tra le nubi. E gli artropodi, senz’altro, non erano da meno: questo per l’ossigeno più denso che riempiva l’atmosfera primordiale, una sostanza in grado d’irrorare un organismo abnorme e renderlo capace di raggiungere l’età della riproduzione. Così gli abitanti del quartiere Národní dell’antica città di Praga, lo scorso maggio, si sono svegliati ritrovandosi improvvisamente nel Giurassico anteriore. Con insetti lunghi una decina di metri, elegantemente intenti a rilassarsi lungo le pareti del centro commerciale Máj, finalmente aperto dopo i lunghi anni di costose ristrutturazioni all’interno. Questi alati lepidotteri, d’altronde, restituivano impressioni fuori dal comune: poiché a ben guardarli si sarebbe pensato che il loro stato larvale, piuttosto che un bruco, avrebbe potuto comportare un paio di cingoli da vero caterpillar e il tipico cannone con un calibro elevato. Già… Spitfire plexippus, la perfetta specie per difendere un paese dall’eventualità incombente di una guerra anfibia coi tedeschi. Lo stesso aereo orgogliosamente pilotato dalle dozzine di coraggiosi piloti volontari fuggiti dalla Cecoslovacchia di allora, per unirsi allo sforzo bellico nel marzo del 1939 contro l’inarrestabile ondata nazista. Soltanto per venire successivamente puniti e incarcerati, ci tiene a ricordarcelo l’autore di quest’opera, da un regime di matrice sovietica incluso suo malgrado nei territori del patto di Varsavia. Conseguenze inaspettate da cause inesplicabili: è la circostanza del Butterfly Effect (l’Effetto Farfalla). Anche il titolo qui scelto da niente meno che David Černý, sicuramente l’artista moderno, per lo meno in termini di numero di partecipazioni, ad aver maggiormente alterato l’atmosfera e i punti di riferimento di una grande capitale europea. Come definire altrimenti un qualcosa di capace di appellarsi al tempo stesso al senso critico e la fantasia delle persone, come le sue sculture miranti a rappresentare non soltanto la condizione dell’uomo, ma anche le implicazioni socio-politiche che alterano e connotano la sua esistenza. In maniera qualche volta shockante, altre suggestiva, ma mai in alcun modo o involontariamente sottile. Come quando, durante l’episodio del 1991 che lo vide assurgere nel repertorio dei grandi artisti del Novecento, scelse di dipingere di rosa il carro armato di un memoriale bellico nel centro della sua città, aggiungendo un gigantesco dito medio che sporgeva dalla torretta del comandante. Gesto conseguente da un coraggio certamente significativo, e in alcun modo minore di quello del “piccolo pilota” che nella sua descrizione della nuova opera, si sarebbe alzato in volo scatenando il tipo di ciclone all’altro lato della Terra, auspicabilmente in grado di spezzare le catene dei totalitarismi che tanto male avevano causato nell’Era moderna. Un tipo di messaggio certamente non del tutto nuovo all’arte, sebbene sia possibile affermare che nessuno sia riuscito a esprimerlo con paragonabile eclettismo e la singolare affettazione dell’enfant terrible di questo strano mondo parallelo all’esistenza di tutti i giorni…

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L’elaborata disarmonia della prima pagoda dei boschi alascani

Vivere alla convergenza dei sentieri sovrapposti, sulla somma degli spazi soavi, lasciando che lo sguardo si avventuri dietro valli e monti, al fine di capire la reale essenza della condizione umana. I suoi problemi e tutti quei trionfi, i piccoli gradini della vita quotidiana, oltrepassati sul sentiero della più intima e speciale realizzazione. Poiché ogni persona è differente e qualche volta ciò che la mente desidera, può guidare per svariate decadi le gesta di qualcuno. Un individuo scaltro, attento, in alcun modo privo di quel tipo di risorse materiali necessarie per rendere tangibile la materia onirica delle ore notturne. Da sogno a verità, ad allucinazione dunque. Quella che potrebbero per qualche attimo pensare di stare vivendo, tutti coloro che volgendo lo sguardo dalla strada statale di Parks Highway verso il tramonto, scorgono la cima alta 56 metri di quella che il suo costruttore ha scelto di chiamare in modo molto semplice “La torre di Goose Creek”. Ma la maggioranza di Internet parrebbe aver scelto di ribattezzare come un edificio dedicato al celebre autore letterario statunitense Dr. Seuss, con chiaro riferimento alla casa alta del Lorax, il surreale guardiano della foresta nonché antitesi del malefico Grinch. Ma ci sono altri termini di riferimento possibili: il Burrow, la dimora familiare dei Weasley in Harry Potter, trasformata in sede dell’Ordine della Fenice durante la guerra dei maghi; il luogo scenografico in cui si svolge l’indagine del videogioco What Remains of Edith Finch. O persino l’inquietante SCP-3333, entità del noto progetto collaborativo costituito da una torre di vedetta forestale capace di replicare se stessa all’infinito oltre lo spazio ed il tempo. Tutte influenze a dire il vero successive a quegli anni ’90 in cui, secondo le poche informazioni reperibili, il noto e facoltoso avvocato di Anchorage, Phillip Weidner decise che avrebbe potuto fare affidamento su un luogo unico dove trascorrere gli anni futuri del proprio pensionamento. Una baita poco fuori Talkeetna, comunità di persone al di sotto della soglia necessaria per poter essere considerata una città, ma abbastanza eclettica da aver avuto per oltre una decade un gatto come primo cittadino. Una storia che parrebbe anch’essa fuoriuscita da un tomo dell’autore di oltre 60 testi per bambini e non solo, sebbene il suo creatore non ami affatto che se ne citi il nome, forse per evitare l’appropriazione indebita di associazioni non sanzionate, o magari per il semplice bisogno di rivendicare l’originalità e creatività alla base di una tale realizzazione. Che considera notoriamente una poesia rivolta al cielo, così come quelle che vorrebbe scrivere, un giorno, seduto nella camera più alta mentre con sguardo senza limiti scruta ed osserva l’infinito spazio del cosmo e della terra antistante. Ah, invecchiare oltre la curvatura dell’orizzonte…

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La grande vasca nella villa che la Russia ha dimenticato: tonnellate di granito per il bagno del suo sovrano

In un’affermazione popolare che non vuole essere mero commento storico, ma piuttosto una freddura politicizzata rivolta ai trascorsi nazionali dei secoli passati, i russi sono soliti affermare che il periodo monarchico abbia lasciato in eredità al paese tre imponenti quanto inutili manufatti: un cannone che non ha mai sparato; una campana che non ha mai suonato; una vasca da bagno che non è mai stata riempita. Probabilmente… Chi può dirlo, davvero? 8.000 secchi d’acqua sono tanti, soprattutto nel primo trentennio dell’Ottocento, quando Alessandro I era solito recarsi presso la sua residenza per così dire “segreta” nel condurre la sua tresca clandestina con la figlia del banchiere di corte e barone Osip Petrovich, Sofia Velyo. Il fatto d’altra parte è che a differenza dello strumento metallico privo di batacchio esposto al Cremlino e l’adiacente bombarda semplicemente troppo grande per essere utile, la vasca del palazzo Babolovsky presso il villaggio vicino San Pietroburgo di Tsarskoe Selo risponde se non altro ai crismi di una perizia costruttiva priva di difetti e pressoché assoluta nella sua apprezzabile realizzazione. Essendo non a caso il prodotto dello scalpello di Samson K. Sukhanov, lo scultore leggendario cui vengono attribuiti numerosi monumenti di questo periodo storico particolarmente incline alla celebrazione del grandeur monarchico ereditato dal tardo Rinascimento. Così come questa intera struttura, originariamente fatta costruire nel 1782 all’architetto I.V. Neelov sul terreno di una dacia dalla nonna di Alessandro, Caterina la Grande, al fine di donarla al suo favorito nonché autore politico del colpo di stato contro il marito Pietro I, il principe Grigorij Aleksandrovič Potëmkin. Sovrana illuminata e nota mecenate delle arti, nonché di opere d’ingegneria dalla portata significativa, che in epoca coeva all’edificazione del suo Grande Palazzo di Carskoe Selo in questo tratto di foresta paludosa e precedentemente disabitata commissionò assieme al maniero la costruzione di una diga, canali ed un giardino formale in stile inglese, benché il nobile recipiente di quel dono sarebbe stato destinato a utilizzarlo solamente una manciata di volte negli anni a seguire. Cui fece seguito un lungo periodo di abbandono, fino alla riapertura e aggiornamento delle sale ad opera del nuovo Imperatore, che amava particolarmente un luogo tanto isolato, al punto da farlo restaurare ed ampliare ad uno dei fondatori dello stile Impero, Vasily Stasov. Fu dunque nel 1823, grazie al coinvolgimento tra gli altri dell’ingegnere spagnolo Agustín de Betancourt, che lo Zar decretò di far portare in situ qualcosa di eccezionalmente notevole e imponente: lo strumento ideale per la pratica dei bagni freddi, che da educazione egli considerava un’importante risorsa per poter preservare lo stato di salute di un lungimirante sovrano…

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Il bruco di veicoli che ascende l’arco catenario del parco nazionale a St. Louis

Periodicamente capace di svettare sugli spazi latenti della consapevolezza collettiva, il Gateway Arch di Saint Louis torna di tanto in tanto al centro delle cronache statunitensi, quasi sempre per la stessa identica ragione. Capitò per la prima volta nel 1970, quindi nel 2007, 2008, 2011 e di nuovo all’inizio della scorsa settimana di agosto del 2024, benché non ne sia stata ancora accertata la ragione: un gruppo di turisti sale con la massima tranquillità nel gruppo di capsule integrate, che potremmo definire la versione terrestre dell’astronave russa Soyuz. Quindi dopo una manciata di sferraglianti minuti, mentre tutti assieme risalivano il grande tubo metallico triangolare, avvertono una vibrazione, un contraccolpo, l’assoluta e imprescindibile immobilità. Panico? Terrore? Dipende dal carattere delle persone. Ciò che è certo è che una volta fermi a mezza altezza tra gli zero e 192 metri del remoto culmine, di una struttura larga esattamente 192 metri, tutto ciò che si può ben sperare è che il problema sia rapidamente risolvibile o i soccorsi giungano presto sul posto. Armati di corde, imbracature ed altri utili implementi, affinché le fino a 40 persone, possibilmente chiuse in una delle zampe del metallico mastodonte (80 in entrambe) possano essere laboriosamente trasferite all’adiacente scala di emergenza. Per tornare, con sonori versi di sollievo, a toccare la beneamata terra del Missouri con la suola delle proprie scarpe.
Al che sorgono spontaneamente due domande. La prima relativa a come, ancora oggi, possa succedere qualcosa di simile. Mentre la seconda, avendo come origine l’umano senso di sorpresa di persone meno consapevoli, può essere riassunta nella locuzione: “Ah, davvero! Non sapevo che corressero dei treni, all’interno del corpo cavo dell’altissimo arco della città di St. Louis…” Quell’elevato e indubbiamente iconico, svettante monumento, progettato inizialmente nel 1947 dall’architetto finlandese-americano Eero Saarinen, come proposta per il gran concorso destinato a scegliere un potente memoriale cittadino, dedicato al Popolo Americano, la colonizzazione della Costa Occidentale, Thomas Jefferson e i diritti degli afro-americani, più volte tutelati nel Vecchio Tribunale sito sulla stessa riva del fiume Mississippi. Un’iniziativa progettata inizialmente da Luther Ely Smith, avvocato e grande promotore d’iniziative cittadine nel primo terzo di secolo, benché fino a decadi dopo non fosse ancora chiara l’effettiva forma di una simile struttura, destinata a rivitalizzare l’intera immagine dell’antico porto fluviale, in quello che era già stato qualificato nel 1935 e per ragioni di budget come il più piccolo, innegabilmente atipico tra tutti i parchi nazionali statunitensi. Ma neppure lui avrebbe potuto immaginare la maniera in cui letterali migliaia di persone ogni giorno avrebbero potuto osservarlo, in tutta comodità, dai remoti confini dell’azzurra volta celeste…

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