Centomila sguardi dei felini che sorvegliano la sicurezza delle strade inglesi

Un’automobile di giorno è come un carro, i cui cavalli siano stati trasportati altrove o resi trasparenti da un’arcana stregoneria. Ma dopo il calar del sole, lungo specifici sentieri nebbiosi, essa si trasforma nell’orfica scialuppa, ovvero il traghetto tecnologico verso il destino ultimo dei viventi. Così senza punti di riferimento, l’immaginazione degli autisti può visualizzare il velo invalicabile situato ai limiti dell’Universo; soprattutto al presentarsi, sulla loro strada, di mistiche creature che attraversano regolarmente l’intangibile confine. Così una tarda sera verso l’inizio degli anni ’30, o almeno così narra il celebrato aneddoto, l’inventore inglese Percy Shaw stava facendo ritorno al suo paese di Boohtown nel West Yorkshire, non troppo lontano in linea d’aria dal pub della cittadina di Queensbury. Se non che un importante dislivello in senso verticale tra i due luoghi, stimabile attorno ai 300 metri, riusciva a renderlo un tragitto relativamente complesso, con tanto di tornanti a strapiombo su pericolosi precipizi montani. Mentre stringeva gli occhi per massimizzare la visibilità concessa dai limitati fari veicolari della sua epoca, l’uomo vide quindi fluttuare in aria due penny d’argento, che in breve tempo razionalizzò essere, piuttosto, gli occhi attenti di una creatura notturna. Un gatto domestico o ferale, per essere precisi, il quale si trovava casualmente a lato della strada, tra il sottile guardrail e la certezza finale dell’abisso. Percy realizzò d’un tratto, allora, che nel buio assoluto della notte priva di lampioni aveva lentamente occupato la corsia errata e che alla curva successiva verso il lato della montagna, senza l’aiuto provvidenziale della piccola creatura, qualcosa di terribile sarebbe accaduto. Se il gatto avesse guardato dall’altra parte; se fosse stato addormentato; se rincorrendo una falena, pasto prelibato nella notte delle streghe, si fosse spostato dalla posizione in cui stava facendo casualmente la guardia; egli sarebbe andato incontro a morte assai probabile, se non certa, precipitando verso i recessi più remoti del profondo burrone.
Molti, a questo punto, avrebbero rivolto una silenziosa preghiera al dio Bastet, possibilmente accrescendo la propria riserva di rispetto nei confronti di tutte le creature del regno animale. Ma per lui che aveva imparato, fin da giovane età, a svolgere una variegata serie di mansioni pratiche lavorando con il padre fino all’approdo nel settore delle infrastrutture stradali pubbliche, l’evento aprì il passaggio a una rivoluzionaria ed importante idea: “E se fosse possibile…” A quel punto si chiese: “Costruire artificialmente un qualcosa di simile a quel gatto, disposto in modo sistematico lungo tutti i luoghi in cui risulta probabile il verificarsi di un simile incidente?”
Il brevetto del sistema di viabilità noto in lingua inglese, per l’appunto, come Catseye (Occhio-di-gatto) è datato al 1935, seguìto nel giro di pochi mesi dalla fondazione della società ancora esistente della Reflecting Roadstuds. Destinata a diventare nel giro di un paio di decadi l’unica fornitrice del Ministero dei Trasporti Britannico in materia di sistemi stradali riflettenti, dopo aver dimostrato la superiorità funzionale, il maggior grado di resistenza e il costo ragionevole della sua ingegnosa soluzione al problema. Mediante l’uso di una serie di accorgimenti capaci di condurre a un qualcosa di notevolmente utile, benché resti quasi del tutto sconosciuto nel contesto dell’Europa continentale…

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Il peggior luogo australiano in cui subire un guasto al motore

Un famoso detto in materia recita: “Per ognuno che vedi, ce ne sono altri 10 nascosti, sott’acqua, in attesa”. Ma il più grande problema del Fiume degli Alligatori nei Territori del Nord, in Australia, è che di tali animali non c’è neanche uno. Perché è letteralmente PIENO di coccodrilli. Del tipo assolutamente peggiore: Crocodylus porosus o di acqua salata, fino a sei metri di creatura in grado di nuotare a una velocità doppia rispetto a quella del più esperto atleta olimpico, raggiungere i 29 Km/h per brevi tratti di corsa sulla terraferma e serrare la propria bocca con circa una tonnellata e mezza di potenza. Su una vasta varietà di esseri che includono, secondo le precise regole della natura, anche gli umani. E il secondo problema del Fiume degli Alligatori è l’attraversamento di Cahill. Un passaggio di cemento costruito in corrispondenza del pelo dell’acqua perché “Un vero e proprio ponte danneggerebbe l’ambiente” a circa 50 Km dalla foce della diramazione Est del corso d’acqua, pensato per permettere a un adeguato tipo di veicoli, sufficientemente alti e rigorosamente a quattro ruote motrici, di lasciare una riva con ragionevoli aspettative di raggiungere l’altra. Il che in linea di principio, non dovrebbe coinvolgere una quantità eccessiva di persone: dopo tutto, stiamo parlando di un luogo sito ad oltre 300 Km da Darwin, la capitale ed unico centro abitato con più di 50.000 abitanti dell’intero stato e il cui paese più vicino ad appena 40 di distanza, Jabiru, non ne conta più di 1.300. Eppure il solo fatto che un luogo simile esista, in in dei conti, è sufficiente a porre la questione. Di come, quando ed eventualmente a chi limitare l’accesso all’intera questa zona, comunque facente parte di terreni posseduti e dati in gestione agli aborigeni australiani. I quali, dal canto loro, non hanno di certo alcun interesse a interdire il passaggio dei turisti anche data l’opportunità, tutt’altro che infrequente presso tale recesso geografico, di accorrere in loro aiuto potendo contare sulla concessione di laute ricompense. Perché nessuno, trovandosi in un simile frangente, mancherebbe di dar sfogo alla sua più profonda e sincera gratitudine nei confronti di chi gli ha salvato, letteralmente, la vita.
Attraversare a Cahill, in linea di principio, non da l’impressione di essere eccessivamente difficoltoso: c’è un indicatore di profondità e ci sono i tempi delle maree, che nonostante la posizione nell’entroterra influenzano in maniera significativa l’altezza e la rapidità della corrente. Con l’unico e frequente contrattempo dei maschi alfa del gruppo di rettili che, tutt’altro che spaventati dall’arrivo degli autoveicoli, si attardano nel centro del sentiero con indifferenza, rifiutandosi di lasciare il passo. La maggior parte dei momenti di crisi arrivano, infatti, con l’avvicinarsi della stagione piovosa (dicembre-maggio) quando il livello dei flutti inizia a crescere rapidamente, ma non abbastanza da scoraggiare il tentativo da parte degli autisti dotati di un maggior grado d’ottimismo. Il che porta spesso, nel caso di veicoli più leggeri o privi di presa d’aria rialzata, alla perdita di propulsione e il lento trascinamento laterale, verso l’abisso dove l’auto finirà per cappottarsi, costringendo i suoi occupanti a una pericolosa, terrificante nuotata fino a riva…

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Pedalando dalla Lettonia, l’evoluzione tecnologica di un mini-camper anfibio

Quando si considerano le caratteristiche della Batmobile, nero bolide in cui converge il gusto estetico e la funzionalità nel suo particolare ambiente d’impiego, ciò che ne definisce più di ogni altra cosa il ruolo è l’inerente versatilità. Armi, corazza, propulsori, di un veicolo che può a seconda del bisogno superare corsi d’acqua, spiccare grandi balzi, trasformarsi in un carro armato. Al punto che il suo utilizzatore viene in qualche modo caratterizzato, e al tempo stesso ridefinito, come autista in marcia verso un obiettivo chiaro: combattere il crimine impiegando al meglio la tecnologia più avanzata prodotta dalla Wayne Industries di Gotham City. Immaginate ora che il crociato incappucciato scelga di deporre temporaneamente il suo costume, essendo giunto anche per lui il momento (non ditelo!) di prendersi una breve vacanza. E che in questi tempi di contro-cultura minimalista, la sua preferenza per percorrere le strade senza fretta sia virata verso il senso e quella logica ecologista, integrata, spontanea di raggiungere un luogo di villeggiatura usando prevalentemente l’energia dei propri bat-muscoli straordinariamente allenati. Chiaramente egli non potrebbe certo rinunciare, in tal frangente, a quel livello di preparazione in ogni circostanza che più di ogni altro aspetto rappresenta il suo carattere di abile risolutore di problemi. E in uno dei possibili universi in cui i supereroi dei fumetti sono una pura e semplice realtà, sarebbe assai probabile il verificarsi di un incontro quanto meno informale tra lui e Aigars Lauzis, inventore, architetto di giardini, CEO presso la località lettone di Bilska Parish, avventuroso esploratore d’Asia ed Europa. Il cui progetto principale, nel corso degli ultimi tempi, si è confermato essere questo eclettico veicolo costruito con fibra di vetro, compensato, passione e componenti frutto della stampa 3D. Il cui nome, in qualità di potenziale primo successo della relativa startup Zeltini, è Z-Triton con chiaro riferimento alle ottime potenzialità anfibie. Come appare chiaro al primo sguardo, dato l’aspetto essenzialmente di una barca da cartone animato, con piccole finestre poligonali e due ruote retrattili più quella frontale, che può essere bloccata in posizione sollevata di circa 45 gradi. Poco prima di raggiungere il punto di raccordo tra l’acqua e la terra, ove a seguito di una breve riconversione, sarà possibile abbassare l’elica, aggiungere una coppia di galleggianti stabilizzatori ed avviarsi via, verso nuove (pescose?) località di svago. RV o Recreational Vehicle per definizione, volendo utilizzare il termine anglofono che include i camper, le roulotte et cetera, il singolare veicolo risulta quindi dotato non di uno bensì due motori elettrici da 250 Watt, finalizzati ad assistere la pedalata durante la marcia su strada e quindi farlo muovere attraverso i flutti, collegati a una batteria da 36 Volt capace di garantirgli un autonomia di 40 Km su terra e 10 in acqua, comunque più che sufficienti ad esplorare un lago o corso d’acqua dalla corrente non eccessivamente impetuosa. Perseguendo il ritmo di viaggio certamente non fulmineo, considerate le soste per ricaricare, che rientra a pieno titolo nella visione ideale di un processo di relax che tutti tra noi, persino chi combatte contro clown satanici e colleghi malfattori, dobbiamo qualche volta accontentarci di perseguire…

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Mano ferma e piè leggero sulla strada più pericolosa dell’Est Europa

Foschia e vento, ghiaccio, ghiaia, precarietà. Perfetta identità tra obiettivo e meta, scopo e intento, percorso e destinazione: questo serve, e molto altro, per giustificare la discesa entro il baratro delle profonde possibilità, fino alla porta della storia di un simile luogo. Omalo in Georgia, con la sua fortezza del XIII secolo e le alte torri ricoperte di licheni, usate un tempo come impenetrabili bastioni contro la venuta dei banditi, eserciti nemici o cercatori di fortuna provenienti dai confini del paese. O almeno i pochi, tra di loro, che si dimostrassero abbastanza intraprendenti da poter raggiungere il fondo attraverso una delle quattro gole che circondando il territorio interno della regione di Tusheti: Gometseri, Pirikiti, Chagma e Chanchakhovani. Tutte egualmente ripide, inaccessibili ed accomunate dall’odierna presenza, alquanto utile in linea di principio, di lunghe e serpeggianti strade create per gli autoveicoli dei nostri giorni. Riconoscibili in quanto tali, tra le loro caratteristiche, più che altro dall’occasionale impiego dell’asfalto, materiale utile a evitarne la disgregazione al sopraggiungere di ciascun inverno. Poiché la strettezza, quantità di curve e grado d’inclinazione parrebbero più che altro adatte a muli, ragni o altri animali dalle zampe cariche di un senso di cautela inerente. Mentre al quinto, o sesto tornante s’inizia comprendere l’effettiva natura dei piccoli “santuari” disseminati ad intervalli variabili, croci accompagnate, in ciascun caso, dalla foto e il nome di qualcuno, un’altra vittima chiamata dalle voci del vento e lo scorrere dei torrenti montani. Poiché è consigliabile prestare massima attenzione, mantenersi concentrati per quanto possibile, ma l’imprevisto, a Tusheti, resta sempre in agguato: frane improvvise, crolli dovuti all’escursione termica, l’incontro di autoveicoli incontrati in posizione sfortunata. O il semplice, quanto irrimediabile, guasto meccanico del proprio mezzo nel momento veicolare della verità. Seguìto da… riuscite a immaginarvelo?
La strada dalle multiple diramazioni, che assomiglia al caotico disegno di un bambino capriccioso sulla tela digitale di Google Maps, parte da un’altezza di 3.000 metri e discende fino ai 1.880 di Omalo stessa, capitale dell’intera regione definita come un parco naturale, benché abitata da un totale di appena 37 coraggiosi uomini e donne, di cui soltanto una parte resta in questo luogo per l’intero estendersi dei mesi invernali. La stessa connessione con la civiltà, del resto, viene meno quando il ghiaccio riesce a ricoprire quel sentiero in bilico, identificando l’unico possibile collegamento nel volo di elicotteri, utilizzati occasionalmente al fine di rifornire di vettovaglie questo luogo talvolta dimenticato. In attesa di un miglioramento delle infrastrutture, lungamente promesso, che al momento attuale sembrerebbe sempre più lontano, data l’impossibilità di ottenere il via libera dagli enti di protezione ambientale. Le diverse strade possibili fino a questo nesso di una civiltà inaccessibile quindi, da molti di coloro che la osservano dalle alte vette circostanti, presentano del resto un’ulteriore problematica al momento del ritorno, quando l’ambizioso visitatore dovrà ritrovarsi a percorrerle in salita, ovvero la maniera in cui le prestazioni di un motore automobilistico, normalmente, iniziano a degradarsi al di sopra di una certa altitudine. Richiedendo una pressione sempre più intesa sul pedale dell’acceleratore, il che a sua volta, può costituire la ragione ultima di un catastrofico, inconcepibile disastro. Va da se che per chiunque voglia affrontare una simile sfida, l’impiego di un veicolo 4×4 in ottime condizioni di manutenzione sia pressoché insostituibile allo scopo…

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